La letteratura ad oggi relativa all’adozione nazionale e internazionale, mostra come i figli adottivi presentano più difficoltà rispetto ai loro coetanei non adottivi in diverse aree come quella della regolazione emotiva, nell’area relazionale, nell’adattamento sociale, così come nell’apprendimento. Alcuni tra disturbi maggiormente presenti sono: disturbi della condotta e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), un’incidenza maggiore nei bambini adottati di quest’ultimo disturbo secondo la ricerca appare collegata all’uso durante la gravidanza di alcool da parte della madre biologica, che andrebbe a determinare diverse problematiche nello sviluppo del feto e del bambino dopo la nascita, tra cui appunto difficoltà di attenzione e concentrazione (Streissguth et al. 2004).
Secondo la letteratura anche quando l’adozione avviene precocemente, ovvero nel primo anno di vita, i figli adottivi rispetto a quelli biologici hanno maggiori problematiche di natura psicologica, maggiore rischio di commettere suicidio, di comportamenti a rischio come abuso di alcool o sostanze (Howe 1998; Hjorn et al. 2002; Palacios et al. 2005).
Questa maggiore predisposizione a varie difficoltà psicologiche è da ricondurre alle esperienze avverse che questi minori hanno vissuto all’interno della famiglia biologica, infatti il maltrattamento infantile, l’abuso sessuale e fisico, la trascuratezza nelle cure, determinano un forte impatto negativo sull’organizzazione psicologica della persona (Chistolini 2010; Williams 2009).
Le moderne neuroscienze hanno anche permesso di evidenziare come l’impatto di queste esperienze traumatiche in età precoce può avere un’influenza diretta anche sul sistema nervoso centrale e sul suo funzionamento, determinando così delle conseguenze anche organiche in questi bambini (Malacrea, 2008; Gunner 2005).
Il 78% dei bambini adottati, in particolare se provenienti da lunghi periodi di istituzionalizzazione presentano un attaccamento disorganizzato (Della Giulia et al. 2012), in alcuni casi possono presentare invece un vero e proprio disturbo dell’attaccamento che può esprimersi con una sintomatologia internalizzante, con un disturbo reattivo dell’attaccamento o in modo esternalizzante, con un disturbo da impegno sociale disinibito.
Nel disturbo reattivo dell’attaccamento il bambino si mostra all’adulto fortemente ritirato dalla relazione, non risponde al conforto e presenta profonda tristezza e irritabilità.
Nel disturbo da impegno sociale disinibito invece il bambino mette in atto un comportamento verbale o fisico eccessivamente familiare anche con estranei e mostra una disponibilità ad allontanarsi con un adulto sconosciuto con minima o nessuna esitazione.
L’eziologia di entrambi i disturbi è la medesima ovvero: trascuratezza e deprivazione, mancanza di soddisfazione di bisogni emotivi e di conforto, ripetuti cambiamenti caregiver primari, allevamento in contesti insoliti (APA, 2014).
Il genitore adottivo deve dunque essere pronto ad affrontare non poche difficoltà che inevitabilmente si presenteranno. L’adozione, secondo la letteratura, potrebbe con il tempo rappresentare una trasformazione di queste prime esperienze avverse, fornendo una nuova modalità relazionale e di attaccamento. Si è visto che, grazie all’accoglienza in famiglia, le problematiche psicologiche e comportamentali si riducono attestandosi intorno al 30% circa dopo un periodo di almeno un anno di permanenza nella famiglia adottiva (Dellagiulia, Lionetti, Barone, 2012).
La famiglia adottiva, se ben preparata ad accogliere le difficoltà insite nell’adozione stessa, può rappresentare un fattore di resilienza nel difficile percorso di vita di questi minori.
Recenti studi hanno dimostrato infatti che programmi di informazione e preparazione dei genitori adottivi incentrati sulla conoscenza di come il trauma impatta sulla vita di questi minori, possono aumentare il senso di autoefficacia genitoriale e le abilità nel fronteggiare i comportamenti più difficili come quelli aggressivi (Sullivan, Murray, Ake, 2015).
Alcuni accorgimenti che possono aiutare il genitore adottivo sono:
- Capire che i comportamenti problematici e in apparenza provocatori sono spesso causati all’interpretazione che il bambino dà dei comportamenti altrui, e che questa è dettata dalle esperienze pregresse nella famiglia biologica. Tali esperienze pregresse hanno creato nel bambino un’immagine di sé stesso estremamente negativa, di bambino non amabile, rifiutato, questo renderà molto difficile fidarsi di nuovi genitori
- Provare ad assumere uno stile educativo equilibrato tra sostegno e conforto, nello stesso tempo proporre anche regole ferme e costanti, che hanno una funzione estremamente rassicurante per il bambino
- Utilizzare con il minore un linguaggio che lo aiuti a conoscere e distinguere le sue emozioni
- Creare insieme al bambino una sorta di album/libro che lo aiuti a narrare la sua storia e che contenga informazioni sulle sue radici, i suoi ricordi sulla famiglia biologica e poi l’incontro con la famiglia adottiva. Questo lo aiuterà a costruire insieme alla nuova famiglia diversi significati rispetto alla rappresentazione del trauma legato all’abbandono.
Nella fase post adottiva, per situazioni di maggiore criticità, è possibile e utile attivare diverse forme di aiuto alla famiglia e al bambino stesso, come: un sostegno psicologico ed educativo ai genitori, che possa guidarli a comprendere e rispondere al meglio ai comportamenti e alle esigenze dei figli; un sostegno psicologico al bambino, che possa aiutarlo ad esprimere i propri vissuti e bisogni e a sviluppare una capacità auto-riflessiva per dare significato alla propria storia; attivare un percorso di psicologico per le specifiche problematiche del bambino eventualmente presenti, come ad esempio disturbi specifici dell’apprendimento, ADHD, disturbi della condotta; lavorare in sinergia con la rete istituzionale che ha creato il progetto di adozione (Chistolini, 2010).