ANSIA E DISTURBO DI PANICO
Un’elevata percentuale di pazienti affetti da disturbo di panico riporta una storia di traumi infantili e riferisce di aver sviluppato il primo attacco di panico dopo l’evento traumatico.
I sopravvissuti a un abuso sessuale infantile con disturbo di panico (che rappresentano il 10% delle persone che hanno subìto questa specifica tipologia di trauma, come indicato dal report della World Health Organization del 2007) sono caratterizzati da una maggiore gravità dei sintomi e del quadro clinico complessivo (per esempio, la comorbilità con altri disturbi psicopatologici come la depressione; Klauke et al., 2010). La presenza di una storia traumatica si è mostrata associata a un più precoce sviluppo del disturbo (Kipper et al., 2007) e un evento traumatico in infanzia, rispetto a quello vissuto in età adulta, è risultato maggiormente associato a una prevalenza lifetime della sintomatologia (Zlotnick et al., 2008).
Vi è un accordo sempre maggiore nella comunità scientifica rispetto al fatto che non sia necessaria la presenza di una predisposizione biologica per l’insorgenza degli attacchi di panico, poiché questi possono essere scatenati anche da una storia traumatica, quindi dalla presenza di eventi in cui lo stato di allarme è dettato da un reale pericolo (come quello che si verifica quando un bambino subisce un abuso).
Vi sono due ipotesi principali che spiegano la causa della stretta associazione tra trauma infantile e disturbo di panico.
TEORIA EZIOPATOGENICA: il trauma produce un eccesso di attivazione nel sistema limbico (coinvolto sia nella risposta allo stress che nel panico) e una serie di alterazioni neurochimiche dei recettori che modulano l’ansia. Dopo l’evento traumatico, dunque, i sopravvissuti sperimentano uno stato cronico di iper-arousal e di iper-vigilanza, che induce una riduzione della soglia di attivazione necessaria per innescare il panico. Il trauma precoce, quindi, induce dei cambiamenti fisiologici che aumentano la vulnerabilità allo stress e all’ansia, contribuendo ad aumentare il rischio d’insorgenza del disturbo di panico.
RISPOSTA ALLA PAURA: in questa ipotesi si ritiene che gli attacchi di panico che insorgono dopo il trauma rappresentino appunto delle risposte di paura che i sopravvissuti continuano a emettere anche dopo anni rispetto all’evento scatenante. Alcune evidenze scientifiche hanno mostrato che gli attacchi di panico durante l’esperienza traumatica e nella fase peritraumatica giocano un ruolo molto importante nella risposta psicopatologica al trauma. Durante l’esperienza traumatica la vittima può presentare (nel 50-90% dei casi) una reazione di allarme che genera il panico e, conseguentemente, ciò può determinare un’associazione tra gli stimoli collegati al trauma e le successive risposte di panico. In altre parole, al momento del trauma si sarebbe stabilito un condizionamento tra i segnali interni ed esterni presenti durante l’evento e il panico sperimentato, tali segnali con il tempo diventerebbero dei veri e propri trigger scatenanti gli attacchi di panico.
E’ necessario sottolineare che, anche per i sopravvissuti a un trauma, le interpretazioni disfunzionali sulle sensazioni somatiche svolgono un ruolo diretto nell’innesco degli attacchi di panico; infatti, nonostante la risposta di panico sia spesso scatenata dai ricordi legati al trauma, fino al 30% delle persone riporta anche attacchi di panico in presenza di stimoli e segnali non associati all’esperienza traumatica.
A dimostrazione della stretta associazione tra evento traumatico infantile e disturbo di panico, bisogna ricordare che quest’ultimo si presenta spesso in comorbilità con il PTSD. Nonostante il panico dopo il trauma per alcuni sia stato concettualizzato come sintomo fisiologico del PTSD in risposta a ricordi associati al trauma, vi è un accordo sempre maggiore nel considerare la sintomatologia panicosa come caratterizzante un’entità diagnostica a sé stante anche in questa popolazione di pazienti. I due disturbi, comunque, presentano molte caratteristiche cliniche e biologiche simili:
- alta familiarità;
- risposte psicofisiologiche di arousal;
- reazioni fisiche imprevedibili e incontrollabili;
- intenso stato di allarme;
- alti livelli di apprensione e timore per il verificarsi di eventi negativi.
Inoltre, i flashback e il numbing emotivo caratterizzanti il PTSD presentano elementi affini, rispettivamente, agli attacchi di panico e all’evitamento comportamentale che si rintracciano nella sintomatologia del disturbo di panico. Infine, i pazienti affetti da PTSD presentano alti livelli di anxiety sensitivity, che rappresenta un importante fattore di rischio per il disturbo di panico.
Dal punto di vista clinico, il disturbo di panico post traumatico produce delle conseguenze significative che possono interferire con il recupero generale della vittima e, in particolar modo, con gli interventi basati sull’esposizione. Il paziente potrebbe non riuscire a “tollerare” livelli di arousal e di ansia troppo elevati, aspetto che può interferire significativamente con gli interventi mirati alla rielaborazione del trauma. I sopravvissuti, infatti, sperimentano gli attacchi di panico specialmente di fronte ai trigger legati al trauma e ciò può contribuire alla messa in atto di condotte di evitamento. Per tali motivi, il trattamento deve prevedere l’utilizzo congiunto di tecniche TCC rivolte ai sintomi fisiologici, cognitivi e comportamentali associati al disturbo di panico e interventi specifici sul trauma (scelti tra quelli d’elezioni spiegati nella sezione Trattare il Trauma).
DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE
Il report della World Health Organization pubblicato nel 2007 ha mostrato che l’incidenza della depressione maggiore nei sopravvissuti ad abusi sessuali infantili è pari al 6%. Lo studio di Perez-Fuentes e collaboratori (2013) ha esaminato un campione costituito da più di 34.000 adulti riscontrando che le vittime di abuso sessuale infantile (pari al 10.14%, di cui il 75.2% donne) presentavano alto rischio di suicidio ed elevati livelli di depressione maggiore.
I traumi precoci hanno un forte impatto sul decorso della depressione. Persone con storie traumatiche durante l’infanzia hanno mostrato una precoce insorgenza dei sintomi, una maggiore durata degli episodi depressivi, un andamento cronico del disturbo e minori tassi di remissione. Circa il 20% dei tentativi di suicidio è risultata associata a una storia di abuso sessuale infantile protratto nel tempo (Evans et al., 2005). E’ stato mostrato, inoltre, che il maggiore grado di gravità dell’abuso (come la presenza di penetrazione) è significativamente correlato allo sviluppo della depressione dopo l’evento traumatico.
La comunità scientifica ha ipotizzato che la prevalenza della depressione maggiore nelle donne possa essere spiegata anche dalla vittimizzazione precoce legata all’abuso sessuale (più frequente nelle bambine, nonostante vi sia un’elevata incidenza anche per il sesso maschile), indicandola come un fattore di rischio e una condizione di vulnerabilità per lo sviluppo del disturbo.
L’abuso sessuale durante l’infanzia, quindi, costituisce un importante fattore di rischio per lo sviluppo della depressione in età adulta, non solo per l’insorgenza di un singolo episodio depressivo ma anche per la ricorrenza del disturbo (Vitriol et al., 2014).
Le esperienze traumatiche precoci determinano la persistente sensibilizzazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che rende vulnerabili alla depressione. Donne con storie di abuso sessuale infantile e con sintomi attuali di depressione hanno mostrato, oltre a un’aumentata risposta autonomica, una maggiore risposta allo stress da parte del CRF e dell’ACTH (rispettivamente, il fattore di rilascio per la corticotropina e l’ormone adrenocorticotropo, le cui principali funzioni sono di aumentare la produzione e il rilascio del cortisolo) rispetto ai controlli e ai pazienti con altri disturbi psicopatologici. Le risposte (regolate dal CRF, dall’ACTH e dall’asse ipolamo-ipofisi-surrene) agli eventi di vita stressanti, dunque, causano o precipitano l’episodio depressivo in chi è già vulnerabile. Un evento traumatico precoce sensibilizza la circuitistica della risposta allo stress, per cui quando le persone sono esposte a eventi stressanti nella vita si innesca un’iper-attivazione della risposta (che risulta, quindi, maladattiva) in grado di provocare i sintomi di depressione maggiore.
L’abuso sessuale nel bambino causa una serie di distorsioni nei pensieri e nelle interpretazioni su sé, gli altri e il mondo. Tali distorsioni rappresentano delle iniziali risposte adattive, cioè un tentativo di dare senso a ciò che accade e al mondo che lo circonda, e sono finalizzate, dunque, a trovare e mantenere un senso di ordine e controllo. In età adulta, tuttavia, queste credenze interiorizzate diventano distruttive e disfunzionali, ostacolando e impedendo l’instaurarsi di rapporti sani con sé, gli altri e l’ambiente.
La depressione maggiore dopo il trauma si presenta spesso in comorbilità con il PTSD, tanto che i due disturbi sono concettualizzati come un unico costrutto sintomatologico prodotto dallo stress traumatico o come due indipendenti conseguenze psicopatologiche al trauma che, comunque, interagiscono fra loro. A dimostrazione di ciò, un campione di donne affette da PTSD che aveva subìto abusi sessuali infantili presentava un’elevata incidenza di sintomi di depressione maggiore attuale (43%) e lifetime (81%). Dati di letteratura hanno indicato, inoltre, che la presenza di depressione in comorbilità predice la cronicità e la gravità del PTSD.
Entrambi i disturbi sono associati a simili alterazioni strutturali e funzionali nella corteccia mediale prefrontale, amigdala, insula e corteccia cingolata anteriore. Inoltre, la ruminazione e i livelli di stress auto-percepito rappresentano sia per la depressione maggiore che per il PTSD degli importanti fattori di mantenimento (Hu et al., 2013).
Sia la depressione maggiore che il PTSD, inoltre, si presentano spesso in concomitanza con i sintomi dissociativi. Quando il bambino viene abusato sessualmente si verifica molto spesso una dissociazione peritraumatica, che si è mostrata una variabile significativamente correlata e predittrice della gravità dei sintomi di PTSD, depressione maggiore e sintomi dissociativi in età adulta. La dissociazione durante l’abuso sessuale infantile, infatti, spiega l’incapacità di integrare e processare pienamente l’esperienza traumatica.
Uno dei trattamenti d’elezione, evidence-based, per la depressione maggiore è la TCC. La TCC è risultata efficace in tempi relativamente brevi sia per il trattamento dei sintomi depressivi (addirittura dopo sole 6-12 sessioni) che per il PTSD.
Il protocollo MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy), di comprovata efficacia per la prevenzione delle ricadute nella depressione, permette di ridurre la ruminazione, l’evitamento, aumenta il controllo esecutivo e modula quella che è stata definita Overgeneral Memory (OGM).
Quest’ultima si riferisce alla ridotta capacità di recuperare i ricordi autobiografici e rappresenta uno specifico indicatore della depressione, in quanto tratto cognitivo stabile indipendente dal tono dell’umore. La OGM è una variabile che si è mostrata particolarmente influenzata dal trauma ed è risultata fortemente associata alla depressione e al PTSD, contribuendo alla loro insorgenza e/o al loro mantenimento. La OGM può compromettere in maniera significativa alcuni aspetti del funzionamento cognitivo come la capacità di problem solving e l’abilità di immaginare eventi futuri. La letteratura scientifica ha dimostrato che la memoria autobiografica è modificabile e che la MBCT modula l’OGM, riducendo, in tal modo, la vulnerabilità di tratto alla depressione maggiore nei sopravvissuti a eventi traumatici infantili.
Riferimenti
Kipper, L., Blaya, C., Wachleski, C., Dornelles, M., Salum, G.A., Heldt, E. & Manfro, G.G. (2007). Trauma and defense style as response predictors of pharmacological treatment in panic patients. European Psychiatry, 22(2): 87-91.
Klauke, B., Deckert, J., Reif, A., Pauli, P. & Domschke, K. (2010). Life events in panic disorder an update on “candidate stressors”. Depression and Anxiety, 27(8): 716-730.
Leskin, G.A. & Sheikh, J.I. (2002). Lifetime trauma history and panic disorder: Findings from the National Comorbidity Survey. Journal of Anxiety Disorders, 16: 599-603.
Zlotnicka, C., Johnsonc, J., Kohna, R., Vicented, B., Riosecod, P. & Saldiviad, S. (2008). Childhood trauma, trauma in adulthood, and psychiatric diagnoses: results from a community sample. Comprehensive Psychiatry, 49(2): 163-169.
Evans, E., Hawton, K. & Rodham, K. (2005). Suicidal phenomena and abuse in adolescents: a review of epidemiological studies. Child Abuse and Neglect, 29: 45-58.
Hu, E., Koucky, E.M., Brown, W.J., Bruce, S.E. & Sheline, Y.I. (2013). The Role of Rumination in Elevating Perceived Stress in Posttraumatic Stress Disorder. Journal of Interpersonal Violence, 29(10): 1953-1962.
Pérez-Fuentesa, G., Olfsona, M., Villegasa, L., Morcilloa, C., Wanga, S. & Blancoa, C. (2013). Prevalence and correlates of child sexual abuse: a national study. Comprehensive Psychiatry, 54: 16-27.
Vitriol, V., Cancino, A., Weil, K., Salgado, C., Asenjo, M.A. & Potthoff, S. (2014). Depression and Psychological Trauma: An Overview Integrating Current Research and Specific Evidence of Studies in the Treatment of Depression in Public Mental Health Services in Chile. Depression Research and Treatment. ID: 608671.