Abilità sociali nell’autismo: una questione di “doppia empatia”?

Abilità sociali nell’autismo: una questione di “doppia empatia”?

Abilità sociali nell'autismo

Photo By Kelly Sikkema on Unsplash

Che le persone con autismo abbiano difficoltà a leggere efficacemente la mente degli altri è un dato ormai molto consolidato (Baron-Cohen, 1995). Avere difficoltà nel leggere la mente dell’altro, ovvero capire come si sentono gli altri, cosa intendono fare e cosa cercano di comunicare, può risultare molto svantaggioso nell’ambiente sociale. Allo stesso tempo tuttavia, potrebbe risultare socialmente svantaggioso anche avere una mente difficile da leggere da parte delle altre persone. Milton (2012) ha teorizzato che ogni qualvolta due interlocutori si muovono sulla base di norme e aspettative sociali differenti (come spesso accade tra persone con autismo e tipiche) c’è una tendenza ad una “disgiunzione nella reciprocità”, o una mancanza di empatia. Ovvero si tratta di un “problema della doppia empatia”, in cui le difficoltà di interazione sociale vissute da persone con autismo derivano, non da deficit individuali, ma da fallimenti bidirezionali nella comunicazione tra partner differenti (persone con autismo e tipiche) nelle leggere reciprocamente la mente dell’altro.

Lo studio recente

I ricercatori dell’Università del Texas a Dallas hanno recentemente acceso i riflettori sull’interazione sociale nell’autismo esaminandola come una strada a doppio senso. I loro risultati, pubblicati sulla rivista Autism, (Sasson et al., 2019) suggeriscono che le interazioni di successo per gli adulti con autismo ruotano attorno alla compatibilità dei partner e non solo al set di abilità mostrate da entrambe le persone singolarmente.

Lo studio si è concentrato sul cosiddetto “problema della doppia empatia”, che prevede che due persone neurologicamente diverse e che hanno modalità distinte di comunicazione e comprensione, potrebbero avere problemi di connessione tra loro, come si verifica comunemente nelle interazioni tra persone con autismo e quelle neurotipiche.

N.J. Sasson, autore dell’articolo suggerisce che non solo gli adulti con autismo possono mostrare difficoltà a dedurre i pensieri e le motivazioni degli adulti neurotipici-il che è stato ben documentato con gli studi sulla teoria della mente dell’altro- ma è vero anche il contrario ovvero che le persone tipiche possono avere difficoltà a dedurre ciò che le persone con autismo stanno pensando.

Lo studio ha coinvolto 125 adulti a cui è stato chiesto, attraverso una conversazione non strutturata di 5 minuti, di “interagire” con una persona non familiare. Tra i partecipanti, a 77 era stato precedentemente diagnosticato un disturbo dello spettro dell’autismo.

A seguito della conversazione, ad ogni partecipante è stato chiesto di valutare in modo indipendente la qualità dell’interazione e le prime impressioni sul proprio partner.

I risultati mettono in luce come gli adulti con autismo non siano stati classificati come meno intelligenti, affidabili o simpatici né da parte degli altri partecipanti con autismo, né da parte dei partecipanti tipici. Inoltre, le interazioni avvenute tra persone con autismo sono state considerate in maniera più favorevole, da parte di questi ultimi, rispetto a quelle avvenute con partner tipici.

Mentre i partecipanti tipici hanno preferito l’interazione avvenuta con altri partner tipici rispetto ai partner con autismo, gli adulti con autismo tendevano effettivamente al contrario, preferendo l’interazione con altri adulti nello spettro. I risultati hanno evidenziato come i partecipanti con autismo hanno rivelato più su sé stessi ai partner con autismo e si sono sentiti più vicini ai loro partner rispetto ai partecipanti tipici.

I partecipanti tipici infine hanno anche valutato il contenuto della conversazione con partner con autismo e con partner tipici di qualità simile. Ciò dimostra che le valutazioni negative degli adulti autistici da parte degli adulti tipici potrebbero basarsi maggiormente sulle differenze rispetto alla presentazione sociale, gli aspetti non verbali e le atipie comportamentali piuttosto che non sul contenuto effettivo della conversazione.

Conclusioni

Questi risultati suggeriscono che le difficoltà relative agli aspetti di interazione sociale nell’autismo potrebbero non essere lette come una caratteristica assoluta dell’individuo, quanto piuttosto, sulla base di una caratteristica relazionale che dipende dall’adattamento tra la persona e l’ambiente sociale circostante. Esaminare le differenze individuali a seconda del contesto sociale piuttosto che sulla base dei deficit individuali, può rappresentare una migliore comprensione delle difficoltà sociali mostrate dalle persone con autismo e può essere un dato utile se letto in una prospettiva di intervento.

 

RIFERIMENTI

  • Morrison, K. E., DeBrabander, K. M., Jones, D. R., Faso, D. J., Ackerman, R. A., & Sasson, N. J. (2019). Outcomes of real-world social interaction for autistic adults paired with autistic compared to typically-developing partners. Autism: the International Journal of Research and Practice.

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Salvati Morena
Psicologa, psicoterapeuta in formazione. Si occupa da diversi anni di disturbi dell’età evolutiva, e possiede esperienza in particolare nella diagnosi e nel trattamento dei Disturbi dello Spettro autistico e dei disturbi del comportamento. Attualmente esercita la libera professione in collaborazione con l’Istituto Beck for Kids di Roma.

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