L’ADHD non è, solo, roba da bambini
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Ci sono alcuni luoghi comuni sul disturbo da deficit d’attenzione/iperattività (ADHD): il primo è che riguarda solo i bambini, il secondo è che con l’età adulta il disturbo scompare, nonostante le recenti evidenze scientifiche affermino al contrario la sua natura cronica.
Ciò che si osserva è che i giovani adulti e gli adulti con una diagnosi di ADHD in età evolutiva, si adattano ai sintomi, riuscendo meglio a nasconderli e a far sì che il disturbo non interferisca con la loro vita quotidiana.
Un articolo del 2017 di CHADD, “Children and Adults with Attention Deficit Hyperactivity Disorder”, afferma che i meccanismi di coping, accompagnati spesso da programmi di trattamento mirati, aiutano a mitigare i sintomi dell’ADHD nella crescita. Tuttavia, gli esperti di CHADD si spingono oltre suggerendo che circa il 20% dei bambini che apparentemente “superano” l’ADHD da grandi, probabilmente include coloro che non hanno mai presentato il problema, ma sono incorsi in una diagnosi sbagliata.
Le caratteristiche chiave dell’ADHD sono disattenzione e mancanza di concentrazione, iperattività, impulsività o una combinazione di questi. Nei bambini può assumere la forma di agitazione, scoppi incontrollati di energia, sviluppo mentale rallentato, difficoltà di apprendimento e problemi di socializzazione. I sintomi presenti negli adulti sono disorganizzazione, impulsività nei processi decisionali, incapacità a concentrarsi o completare compiti, problemi con l’autogestione e quello che alcuni esperti chiamano “wandering attention” e “inquietudine interna.” Spesso, l’ADHD nell’adulto è aggravata dalla comorbidità con disturbi psichiatrici, quali ansia, depressione, abuso di sostanze e disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Le statistiche mostrano infatti che il 10% degli adulti con ADHD soffre di PTSD.
Nel loro ultimo studio, pubblicato online in un’edizione di agosto 2021 di The American Journal of Psychiatry, Sibley e colleghi sostengono che i pazienti possano sperimentare la remissione totale o parziale dei sintomi nei loro primi vent’anni, ma questi periodi di solito tendano ad essere solo temporanei. Il disturbo sembra “fluttuare “ probabilmente per tutto l’arco di vita dell’individuo. Gli autori hanno seguito più di 550 bambini per circa 16 anni, dagli 8 ai 25 anni e citano “l’alta ereditarietà” e “la predisposizione genetica” come fattori di rischio per l’espressione del disturbo e dei sintomi nell’adulto.
Un loro articolo precedente, pubblicato dalla rivista European Child & Adolescent Psychiatry, riporta che alcuni adolescenti con ADHD potrebbero non soddisfare più i criteri diagnostici del disturbo, ma che questa remissione non equivale ad un superamento; i pazienti manifestano ancora anomalie cerebrali strutturali e funzionali e conseguenti deficit nella memoria di lavoro.
Nel loro recente libro, “ADHD 2.0”, gli psichiatri Edward M. Hallowell e John J. Ratey, suggeriscono essere gli stressor ambientali a svolgere un ruolo cruciale nel determinare se una persona svilupperà una malattia (come l’ADHD) a cui è geneticamente predisposta. “Molti adulti non scoprono di avere l’ADHD fino a che il loro ambiente non cambia drammaticamente”, scrive Hallowell, come nel caso di una donna che dà alla luce il suo primo bambino o un giovane che si diploma all’università e inizia il suo primo lavoro di carriera. Altri sviluppano i sintomi a causa delle circostanze della vita moderna. L’ADHD potrebbe essere, secondo gli autori, una risposta al massiccio aumento degli stimoli che ora bombardano i nostri cervelli e il nostro mondo; l’uso frequente della tecnologia digitale può aumentare i sintomi, interferire con l’intelligenza emotiva e sociale, portare a comportamenti di dipendenza, aumentare l’isolamento sociale e interferire con lo sviluppo del cervello e il sonno.
Hechtman e colleghi specificano le marcate differenze a livello neurologico e sintomatologico fra gli adulti con esordio del disturbo nell’infanzia e gli adulti con esordio tardivo. Tali risultati sollevano la possibilità che gli adulti con sintomi propri dell’ADHD non presentassero il medesimo disturbo del neurosviluppo nell’infanzia. Se questa evidenza fosse confermata, si dovrebbero riconsiderare il sistema di classificazione e l’eziologia dell’ADHD nell’adulto.
Riferimenti
- Sibley MH, Mitchell JT, Becker SP: Method of adult diagnosis influences estimated persistence of childhood ADHD: a systematic review of longitudinal studies. Lancet Psychiatry2016
- Sibley MH, Arnold LE, Swanson JM, Hechtman LT, Kennedy TM, Owens E, Molina BSG, Jensen PS, Hinshaw SP, Roy A, Chronis-Tuscano A, Newcorn JH, Rohde LA; MTA Cooperative Group. Variable Patterns of Remission From ADHD in the Multimodal Treatment Study of ADHD. Am J Psychiatry. 2021
- Hechtman L, Swanson JM, Sibley MH, et al.: Functional adult outcomes 16 years after childhood diagnosis of attention-deficit/hyperactivity disorder: MTA results. Am J Acad Child Adolesc Psychiatry2016
- Swanson JM, Arnold LE, Molina BSG, et al.: Young adult outcomes in the follow-up of the Multimodal Treatment Study of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder: symptom persistence, source discrepancy, and height suppression. Child J Psychol Psychiatry2017