Armare gli insegnanti? Ecco perché non è la soluzione alle sparatorie di massa
Armare gli insegnanti? Ecco perché non è la soluzione alle sparatorie di massa
“Gli alunni armati verranno combattuti da insegnanti armati, che nel caso dovessero impazzire verrebbero abbattuti da bidelli armati, che se dovessero perdere la brocca sarebbero annientati dal Preside, più armato di tutti. Se anche lui diventa un problema, si bombarda la scuola.” [Michele Dalai via Twitter]
E’ un commento sicuramente d’effetto quello raccolto su Twitter qualche giorno dopo l’ennesima strage in una scuola statunitense: mercoledì 14 febbraio un ragazzo di 19 anni ha aperto il fuoco e ucciso 17 persone, ferendone gravemente altre 3. Una delle sparatorie più gravi mai avvenute in un istituto scolastico degli Stati Uniti, seconda solo al massacro avvenuto nel 2012 in Connecticut in cui furono uccise 26 persone, di cui 20 bambini. L’entità del fenomeno è tale che, purtroppo, sta diventando normale. Così normale che le scuole nordamericane fanno regolarmente delle esercitazioni per istruire studenti e personale su cosa fare in caso di sparatoria. Quello che accade, per esempio, in Giappone in caso di terremoto.
Siamo a marzo e dall’inizio del 2018 ci sono stati ben 8 attacchi con feriti e morti nelle scuole degli Stati Uniti: questo continua a essere il Paese con più sparatorie di massa nell’intero pianeta, il 31% di tutte quelle accadute, nonostante gli statunitensi siano il 5% della popolazione mondiale. Se abitate in uno dei cinquanta stati a stelle e strisce, avete una maggiore possibilità di morire in una sparatoria se siete a lavoro o a scuola, uno scenario che nel resto del mondo si verifica solo vicino a installazioni militari.
Secondo alcuni ricercatori, il fenomeno sarebbe contagioso: il verificarsi di una sparatoria di massa aumenta la probabilità che se ne verifichi un’altra nelle successive due settimane. Questo particolare, peculiare degli Stati Uniti, è dovuto principalmente alla facilità di accesso alle armi: circa uno statunitense su tre possiede un’arma a casa. Inoltre, dopo ogni sparatoria di massa, nelle interviste viene registrato un aumentato favore verso la detenzione di armi.
Il presidente Donald Trump non sembra fare eccezione. Durante un incontro con insegnanti, genitori delle vittimi e studenti sopravvissuti alla sparatoria in Florida, ha parlato dell’eventualità di addestrare alcuni insegnanti e fornire ogni scuola di armi da custodire e utilizzare all’occorrenza. Da qui il commento di introduzione alla news. La risposta a questa proposta da parte degli astanti è stata negativa: non serve armare gli insegnanti ma lavorare di prevenzione e limitare l’acquisto delle armi.
La prevenzione passa anche da un’accurata analisi del problema. Le ricerche ci dicono, per esempio, che c’è una correlazione tra bullismo e possesso d’armi (ricordiamo che in USA si possono acquistare armi legalmente al compimento dei 18 anni) e la correlazione è positiva sia che si parli di bulli che di vittime di bullismo. Gli studi, inoltre, specificano che le vittime sono più a rischio dei bulli di possesso d’armi, in particolar modo quelle che hanno avuto esperienza di uno o più episodi negativi: aggressione fisica, minacce e assenza da scuola per timore della propria incolumità.
Il problema è dunque molto articolato e non sembra che mettere in circolazione più armi possa contribuire a risolverlo. Il lavoro va, quindi, fatto un passo prima nella cronologia del processo, quando le persone hanno accesso alle armi e, ancora prima, quando emergono le condizioni per utilizzarle.
Benino Argentieri
Riferimenti: