L’artrite reumatoide: cosa può fare la psicoterapia?

L’artrite reumatoide: cosa può fare la psicoterapia?

artrite reumatoide

Photo by Imani Clovis on Unsplash

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica, a patogenesi autoimmunitaria e di eziologia sconosciuta, che causa una riduzione funzionale a livello delle articolazioni e quindi, può compromettere negativamente la qualità di vita del paziente affetto.

L’approccio medico-farmacologico all’artrite reumatoide si basa sulla riduzione del dolore, in quanto sintomo persistente e invalidante, riducendo l’infiammazione e cercando di migliorare la funzionalità delle articolazioni. L’influenza dei fattori psicologici e la relazione individuata tra stati emotivi negativi, come l’ansia e la depressione, e il dolore pongono in rilievo la rilevanza delle risposte emotive e affettive in questo disturbo, in particolare rispetto alla persistenza e al mantenimento del dolore.

La perdita della funzionalità contribuisce in molti casi alla comparsa di reazioni emotive disadattive (ansia, depressione, rabbia, apatia), che aggravano il dolore e peggiorano il decorso della malattia. Per questo è necessario che sia la valutazione che il trattamento avvengano all’interno di un modello bio-psico-sociale del dolore che favorisca l’adozione di un approccio multidisciplinare (fisioterapia, psicoterapia, terapia farmacologica, eventuale terapia chirurgica).

Da una prospettiva psicologica, di tipo cognitivo-comportamentale, il dolore, la limitazione funzionale, le emozioni negative e le cognizioni sono considerati variabili interrelate da tenere in considerazione nel trattamento dei pazienti. L’intervento psicologico nell’artrite reumatoide consiste principalmente nel fornire al paziente risorse e strategie specifiche per ridurre l’esperienza del dolore, per gestire le emozioni negative associate al dolore e per affrontare il dolore in modo attivo, così da migliorare anche l’aderenza al trattamento (compliance). A seconda delle caratteristiche di ciascun caso (contesto, profilo evolutivo e conseguenze del dolore) l’intervento psicologico generalmente è centrato sui seguenti obiettivi:

  • sviluppare strategie psicologiche finalizzate a gestire i vari aspetti dell’esperienza del dolore (intensità psicofisiologica e cognizioni associate);
  • gestire le contingenze di rinforzo del dolore e promuovere lo sviluppo di comportamenti alternativi;
  • sviluppare abilità di coping e di gestione della risposta emozionale negativa associata (cambiamenti dell’umore, rabbia, umore depresso)
  • potenziare la capacità di adattamento all’ambiente e ridurre l’isolamento sociale

A livello fisiologico, tenendo in considerazione il ruolo potenziatore dell’attivazione fisiologica sulla percezione del dolore, si utilizzano differenti tecniche di riduzione dell’arousal, come il rilassamento progressivo, la respirazione diaframmatica o il training autogeno. La finalità principale di queste tecniche è la riduzione dell’attivazione fisiologica del sistema nervoso simpatico, della tensione muscolare localizzata nelle zone del dolore (articolazioni) e l’aumento del senso di dominio e competenza del paziente su se stesso, in modo da promuovere un certo grado di controllo sul proprio funzionamento psicofisiologico.

A livello comportamentale si possono evidenziare le seguenti strategie dirette all’esperienza del dolore:

  • programmazione graduale di attività ed esercizio fisico per ridurre l’inattività, tenendo in considerazione le raccomandazioni del medico rispetto al riposo/livello di attività;
  • gestione delle contingenze di rinforzo per aumentare la frequenza dei comportamenti utili a ridurre il dolore e, nei casi di consumo eccessivo di analgesici, ridurre l’uso dei farmaci fino al raggiungimento di quanto strettamente raccomandato dal medico;
  • skills training per migliorare l’autocontrollo e per generalizzare/mantenere quanto è stato appreso a lungo termine.

A livello cognitivo si evidenziano le seguenti tecniche:

  • autoistruzioni per promuovere un coping attivo e adattivo, che favorisca una migliore risposta ed un maggior controllo sull’esperienza del dolore;
  • tecniche immaginative per favorire l’accesso a stati di benessere e di rilassamento;
  • ristrutturazione cognitiva per identificare e modificare le credenze irrazionali relative al dolore e alle sue conseguenze, per favorire il controllo della riposta emotiva negativa e soprattutto aumentare il livello di autoefficacia.

La psicoterapia risulta quindi una risorsa importante nel trattamento dell’artrite reumatoide e sul lungo termine può contribuire a ridurre il livello di disabilità del paziente, soprattutto se considerata fin dalle prime fasi come una componente rilevante della cura e affiancata alla terapia farmacologica.

 

Riferimenti:

  • www.bresciareumatologia.it
  • Royal  College  of  Physicians  of  London,  National  Collaborating  Centre  for  Chronic
  • Conditions. Rheumatoid arthritis : National Clinical Guideline for Management and Treatment in  Adults.  London:  Royal  College  of  Physicians  of  London;  2009.

Autore/i dell’articolo

Dottor Marco Stefanelli - Psicologa - Psicoterapeuta - Istituto Beck
Psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Docente presso l’Istituto di Psicoterapia cognitivo- comportamentale A.T.Beck di Roma e di Caserta. Socio Ordinario della SITCC (Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva) e Terapeuta EMDR I livello. Vanta esperienza clinica in ambito adulto e si occupa prevalentemente di tutti i disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e omofobia interiorizzata.  

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