Asia Argento e la colpevolizzazione delle vittime di stupro

Asia Argento e la colpevolizzazione delle vittime di stupro

Asia Argento e la colpevolizzazione delle vittime di stupro
Asia Argento e la colpevolizzazione delle vittime di stupro

Asia Argento e la colpevolizzazione delle vittime di stupro

Negli ultimi due mesi non si sono spente le controversie intorno all’accusa di violenza sessuale mosse dall’attrice e regista Asia Argento contro il produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein. Quello a cui abbiamo assistito soprattutto in Italia (Weinstein ha ricevuto accuse anche da numerose attrici americane come Gwyneth Paltrow e Angelina Jolie) è una specie di polarizzazione tra quelli che solidarizzano con Asia Argento contro quelli che invece la accusano di aver atteso troppo tempo, di mentire, di esserci stata per ottenerne i favori, di “giustizia a colpo ritardato”, ecc. Addirittura Vladimir Luxuria, da sempre dalla parte delle minoranze LGBT, sostiene che Asia abbia sbagliato, che avrebbe potuto dire di no o denunciarlo subito dopo.

Questo intervento non mira a entrare nel merito delle decisioni di Asia Argento bensì proverà a spiegare le ragioni delle opinioni del pubblico. Come mai alcune vittime ricevono supporto e altre vengono colpevolizzate? In particolare, cosa spinge a considerare le vittime di uno stupro più responsabili di quelle di catastrofi naturali? Perché pensiamo che “se l’è andata a cercare”, quando la decisione dell’assalto è dell’aggressore e non della vittima?

Nel corso degli studi sull’argomento, sono state create teorie come la “credenza in un mondo giusto“, secondo la quale le persone hanno ciò che si meritano: «se mi fossi trovato io nella tua stessa situazione, mi sarei comportato in maniera diversa e dunque il risultato sarebbe stato diverso». Inoltre abbiamo la forte tendenza ad attribuire causalità e controllo ai partecipanti rilevanti di un evento. Questi possono essere visti come meccanismi di difesa che ci aiutano a mantenere l’idea di un mondo prevedibile (se… allora), ordinato e dove noi, comportandoci in un certo modo, non saremo vittime di aggressioni.

In realtà, quello di incolpare le vittime è qualcosa che facciamo anche senza rendercene conto. Ogni volta che diciamo “io mi sarei comportato diversamente” (come afferma Luxuria sul caso Argento), stiamo dando per scontato che è stata la vittima a fare qualcosa di sbagliato ed è come incolpare il derubato di aver messo il portafogli nella tasca posteriore. I miti sullo stupro possono essere definiti credenze che servono a negare o giustificare l’aggressione sessuale: riguardano stereotipi sulla vittima e sull’aggressore e il contesto dell’abuso.

Dietro a queste credenze esiste un complesso sistema di valori che include diversi processi psicologici, come le percezioni di contaminazione e danno e le attribuzioni di responsabilità. I valori morali influenzano l’atteggiamento e il giudizio morale verso le vittime. In particolare, quelli che si concentrano su vietare comportamenti che destabilizzano i legami di gruppo e relazionali: slealtà, disobbedienza all’autorità e condotte che riflettono immoralità spirituale e sessuale. Questi valori morali obbligatori sono abbastanza potenti da invertire il comune giudizio morale, così che venga rivolta indulgenza verso l’aggressore; sono quei valori che rendono giustificabile la punizione o marginalizzazione di un membro che, col suo comportamento, ha portato disonore nella comunità. Dunque i valori obbligatori sono predittori di insensibilità verso la sofferenza e sottraggono alla vittima il diritto di essere riconosciuta come tale.

In molte culture ancora oggi la donna è vista come portatrice dell’onore della famiglia di fronte alla comunità: una famiglia può sentirsi disonorata non solo se la donna volontariamente si comporta contro la morale comune (per es. avere rapporti sessuali prematrimoniali) ma anche se è vittima di stupro e, dunque, non arriva illibata alle nozze. Se questi valori ci sembrano primitivi, medievali e, in alcuni casi, mediorientali, potremmo andare a vedere anche su Youtube la trasmissione di un celebre processo per stupro del 1978: Tina Lagostena Bassi, volto celebre della trasmissione Forum fino a qualche anno fa, difendeva una donna ma, in generale, tutte le donne che, vittime di violenza sessuale, venivano allora come spesso oggi aggressivamente incalzate dall’accusa con domande che sottendevano il pregiudizio di fondo che, se v’era stata violenza, la donna non era “di buoni costumi” e quindi sarebbe stata in qualche modo consenziente.

Inoltre, il modo in cui gli eventi vengono presentati e discussi ha una certa influenza: spostando il focus dalla vittima all’aggressore, si riduce il senso di responsabilità della vittima e, di conseguenza, la sua colpevolizzazione. Nel caso tipico di stupro, esistono molte più informazioni sulla presunta vittima che sull’aggressore: per esempio com’era vestita, quanto è attraente, la sua posizione lavorativa, le sue abitudini relazionali e sessuali, tutte informazioni che vengono percepite rilevanti soprattutto perché le vittime sono donne. Nel caso Weinstein, si tratta di attrici molto conosciute, molto di più che il produttore. Ecco perché il linguaggio usato dai media è importante nel convogliare determinati messaggi.

La violenza sessuale è un crimine orribile che destabilizza le nostre credenze: non è possibile che l’aggressore fosse una persona normale, per cui cerchiamo informazioni che ci spieghino cosa ha fatto di sbagliato la vittima per esporsi o per non riconoscere il pericolo, così che noi possiamo dedurne informazioni utili alla nostra sicurezza. Invece dovremmo ammettere con noi stessi che l’aggressore è una persona normale: potrebbe essere nostro fratello, padre, amico, collega, capo e non necessariamente un estraneo in un vicolo buio. Nell’approcciarci ai casi di stupro è dunque importante essere consapevoli delle ideologie personali e anche ricordarsi di rivolgere l’attenzione sull’aggressore e l’empatia verso la vittima.

Benino Argentieri

BIBLIOGRAFIA:

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