Auto-critica, auto-compassione: stesse basi neurali, diversi effetti sulla salute

Auto-critica, auto-compassione: stesse basi neurali, diversi effetti sulla salute

Auto-critica, auto-compassione

Photo by Alexander Van Steenberge on Unsplash

La relazione tra self-compassion o auto-compassione e salute mentale è oggetto di attenzione ormai da qualche anno, anche a livello neurofisiologico. Un recentissimo (aprile 2020) ed interessante studio australiano ha portato alla luce inaspettate scoperte.

Il gruppo di ricerca d’oltreoceano è partito dai dati di ricerca già presenti riguardo l’autocritica, ipotizzando che l’auto-compassione potesse essere connessa a due stili di autocritica: uno focalizzato sulle opportunità di migliorarsi, mentre l’altro, sicuramente più nocivo, sull’odio per se stessi ed i propri errori. Quest’ultimo, ovvero l’odio verso di sé, sembrerebbe associato a varie forme di psicopatologia quali disturbi alimentari e depressivi, ansia sociale, disturbi di personalità, autolesionismo e suicidio. Potrebbe quindi rappresentare un target transdiagnostico per il trattamento.

Lo studio ha coinvolto 40 partecipanti, sottoposti ad una serie di compiti e misurazioni neurofisiologiche (risonanza magnetica funzionale, fMRI; frequenza cardiaca, HRV). L’obiettivo era identificare i correlati neurofisiologici della compassione e della critica, nonché il cambiamento fisiologico durante la coltivazione della compassione.

Durante le prime due settimane sono state esaminate le risposte neurali (tramite la risonanza funzionale, fMRI) dei partecipanti ad alcuni stimoli (scritti) riguardo l’autocritica e l’auto-rassicurazione – ad esempio espressioni negative quali “Non riesco a tenere il passo con i miei impegni nella vita”, o espressioni neutre come “Tengo il passo con i miei impegni nella vita”.

Circa una settimana dopo l’esperimento fMRI, i partecipanti hanno cominciato un periodo di due settimane di ascolto della meditazione guidata di 15 minuti “Coltivare il sé compassionevole”. Il Compassionate Mind Training prende di mira l’odio verso di sé adottando deliberatamente uno stato mentale di auto-rassicurazione nel momento in cui sorgono autocritiche; esso aiuta ad apprendere il radicamento e la postura del corpo, la respirazione ritmica, la consapevolezza dell’autocritica quando si presenta e infine aiuta a coltivare stati mentali compassionevoli. L’HRV veniva misurata prima e dopo questo periodo di addestramento all’auto-compassione.

Risultati

Interessante la scoperta riguardo il fatto che sia la critica che la rassicurazione modulino percorsi neurali simili, piuttosto che operare su regioni neurali distinte. Ma non essendo un obiettivo dello studio, non è stato approfondito ed è stata anzi suggerita la necessità di ulteriori ricerche sul tema.

In secondo luogo, è stato riscontrato un aumento dell’HRV durante l’addestramento alla compassione. Inoltre, il breve protocollo di addestramento alla mente compassionevole è stato anche in grado di spostare un sottogruppo di partecipanti fuori da un intervallo clinicamente a rischio cardiaco per l’HRV che mostravano a riposo.

Altro interessante dato emerso è che gli individui che avevano una HRV a riposo inferiore si sono impegnati maggiormente nell’intervento e hanno ottenuto maggiori benefici fisiologici (cioè un aumento) nell’HRV, mentre gli individui con una HRV a riposo più alta si sono impegnati meno con minori benefici fisiologici come conseguenza. Questi dati sottolineano come esistano differenze individuali nella risposta compassionevole, per cui per alcuni individui potrebbe non verificarsi un cambiamento significativo tra le sessioni. I dati sembrano suggerire sostanzialmente che gli individui che avevano un reale bisogno della pratica, fisiologicamente, l’hanno usata.

Per comprendere meglio chi può trarre vantaggio dalla coltivazione della compassione, sarebbe necessario un lavoro più esteso, per poter valutare un eventuale effettivo spostamento della linea di base, sia nei campioni “normali” che clinici.

Riferimenti:

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Mariangela Ferrone - Psicologa - Psicoterapeuta - Istituto Beck
Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Psicoterapeuta TMI (terapia metacognitiva interpersonale) livello EXPERT. Per molti anni è stata Coordinatrice del Centro di Psichiatria Perinatale e Riproduttiva, del Servizio di Psicoterapia e Counseling Universitario presso la UOC di Psichiatria – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Attualmente è docente per l’insegnamento di “Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione” nel corso di laurea in Scienze Infermieristiche, sede Sant’Andrea presso la Facoltà di Medicina e Psicologia – Sapienza Università di Roma, nonché docente interno e supervisore clinico dell’Istituto A.T. Beck per le sedi di Roma e Caserta. Socio Aderente della SITCC (Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva).

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