Il caso Pirandello: mostra sullo scrittore del relativismo del 14 gennaio 2018

Il caso Pirandello: mostra sullo scrittore del relativismo del 14 gennaio 2018

Il caso Pirandello: mostra sullo scrittore del relativismo
Il caso Pirandello: mostra sullo scrittore del relativismo

Il caso Pirandello: mostra sullo scrittore del relativismo

Il 14 gennaio si è chiusa la mostra per i 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello. La mostra è stata allestita nel teatro di Villa Torlonia (Roma), nell’incantevole foyer la cui architettura di vetro e ghisa ne fa una maestosa ed elegante serra adornata da aiuole e piante. L’ecletticità della struttura ben si adatta ai lavori di Pirandello, Premio Nobel per la letteratura (1934) che ci ha lasciato romanzi, opere teatrali e persino dipinti.

Pirandello, nato nel 1867, ha vissuto un periodo in cui molti eventi, teorie e scoperte hanno rappresentato per le certezze umane un terremoto culturale. Proprio a cavallo tra il XIX e il XX secolo è stato pubblicato “L’interpretazione dei sogni” nel quale il medico viennese Sigmund Freud sottolineava la presenza e l’importanza di tutto quello che non affiora alla coscienza e non è direttamente controllabile. La teoria della relatività generale elaborata da Albert Einstein infrangeva la certezza che l’universo fosse ordinato e regolato da rigide leggi meccaniche. Le alleanze politiche europee stipulate per garantire stabilità furono, invece, causa del primo conflitto mondiale. Era dunque il tramonto del Positivismo e della sua fiducia nella scienza e nel progresso.

La sensibilità artistica dello scrittore siciliano percepisce questi epocali cambiamenti sociali e scientifici. La concezione vitalistica di Pirandello, il quale vede la vita come un continuo cambiamento, fu influenzata dalle teorie sulle alterazioni della personalità sviluppate dallo psicologo Alfred Binet, il quale osservava la compresenza nell’io di diverse e contrastanti personalità. La scelta del teatro di Villa Torlonia come sede della mostra sembra particolarmente appropriata anche perché Pirandello ci parla di “maschere” nella sua teoria del relativismo psicologico o conoscitivo: alla nascita siamo tutti potenzialmente liberi ma il contesto sociale in cui si viene alla luce annulla questa libertà, assegnando a ognuno una forma, un’immagine, un ruolo imposto che impariamo a chiamare “identità”. Emblematica è la frase della signora Ponza in “Così è (se vi pare)”: «Io sono colei che mi si crede… e per me nessuna!».

Va sottolineato che Pirandello parla di maschere al plurale perché siamo diversi a seconda dell’osservatore e del contesto: insite in noi stessi vi sono molteplici forme o personalità che tentiamo di ridimensionare all’illusoria identità unica. Il relativismo si esprime a livello orizzontale, ovvero interpersonale, e verticale, cioè intrapersonale. Pirandello approfondisce e porta la sua teoria sul palco e nei romanzi.

Il relativismo orizzontale si dispiega in “Il fu Mattia Pascal” (1904), storia di un piccolo borghese che, grazie a una vincita a Montecarlo e alla sua “morte ufficiale” (moglie e suocera lo riconoscono nel corpo di un uomo annegato), si costruisce una nuova identità e comincia a viaggiare finché, atterrito dallo smarrimento di quella vita fittizia, decide di cercare riparo nella vita familiare e ritornare a casa, dove troverà la moglie sposata con un altro uomo. Dal punto di vista psichiatrico potremmo definire quella del protagonista una condizione schizoide in cui, al di fuori delle maschere imposte, vi è l’io vero che si manifesta però in forma autistica, ovvero con distacco dalla realtà: alla notizia della propria “morte” Mattia dice: «…mi sentivo, allora, per un attimo, nel vuoto, come poc’anzi alla vista del binario deserto; mi sentivo paurosamente sciolto dalla vita, sperduto, nell’attesa di vivere oltre la morte…». Per Pirandello, siamo talmente dipendenti dall’illusione dell’identità che preferiamo la trappola del sistema sociale in cui siamo nati piuttosto che il vissuto di depersonalizzazione: «…mi pareva quasi di non essere più io, di non toccare me stesso…» dice Mattia di fronte allo specchio del barbiere che gli ha raso la barba.

Il relativismo verticale viene, invece, affrontato nell’ultimo romanzo di Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”, che potremmo considerare un compendio della sua prospettiva. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, al contrario di Mattia Pascal, riesce a liberarsi dal giogo delle maschere senza la necessità di trovarsene un’altra, accettando la molteplice frammentarietà dell’esistenza ma con l’ineluttabile conseguenza di estraniarsi ed essere considerato pazzo. Moscarda passa dal credersi uno a moltiplicarsi nelle centomila personalità assegnategli dagli altri fino ad annichilirsi dissolvendo la sua identità: come l’infante che vive se stesso solo in relazione alla madre, se cancelliamo i punti di vista altrui su di noi perdiamo ogni riferimento.

La spettacolare e geniale opera di Pirandello ci fa riflettere sulla nostra dimensione come esseri, su quanto fondamentali siano gli altri nella formazione della nostra identità. Dove finisco io e dove iniziano gli altri? si potrebbe chiedere uno degli eroi pirandelliani, realizzando che la personalità non è scolpita nel granito ma possiamo cambiare e diventare una versione migliore di noi stessi. All’inizio gli altri saranno sorpresi e ci vedranno «come un attore che recita una parte del copione che non gli è stata assegnata» (Quaderni di Serafino Gubbio operatore). Ma il vantaggio del relativismo è che il copione possiamo sceglierlo noi.

Cristina Marzano

Riferimenti

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