La celiachia dal punto di vista dello psicologo
La diffusione della malattia celiaca nel mondo è piuttosto alta, stiamo infatti parlando dell’intolleranza alimentare più frequentemente ritrovata nella popolazione generale. La prevalenza in Europa e America è di circa l’1%, mentre nel resto del mondo questa percentuale varia, anche perché, secondo le stime, solo 1 celiaco su 6 arriva all’attenzione medica. In Italia, per esempio, i pazienti diagnosticati sono 198.427 (dati del Ministero della Salute), mentre secondo la prevalenza dovrebbero essere 600.000: significa che oltre il 70% degli italiani celiaci non sa di avere questa malattia.
Le persone affette da celiachia sviluppano un’infiammazione cronica dell’intestino tenue in caso di ingestione di glutine, ovvero le proteine contenute all’interno di alcuni cereali, in particolare frumento, orzo e segale. La diagnosi di celiachia viene effettuata attraverso precisi test del sangue e una biopsia della mucosa duodenale. Dopo la diagnosi, è necessario rispettare per tutta la vita una dieta che elimini gli alimenti che contengono glutine.
Diciamolo subito: è molto difficile eliminare il glutine dalla propria dieta in un Paese, come l’Italia, che consuma circa 26kg di pasta all’anno a persona, 3 volte più dei francesi e addirittura 5 volte più dei tedeschi. D’altronde noi italiani siamo famosi nel mondo anche per questo alimento così versatile, siamo infatti leader di esportazioni con ben 3,4 milioni di tonnellate diffuse ogni anni nel resto del pianeta. Accanto al massiccio consumo di pasta, si accosta quello di pane, pizza e prodotti preparati tradizionalmente con la farina di grano.
Le difficoltà che potrebbero sorgere coinvolgono sia la sfera privata che le relazioni con gli altri. Infatti, la malattia potrebbe non essere accettata di buon grado e vissuta come un pesante fardello che ci sconvolge la vita per sempre, ci obbliga a non mangiare alimenti che consideriamo gustosi e ci rende diversi dagli altri per una caratteristica molto diffusa nella nostra comunità. Inoltre, amici e parenti potrebbero mostrare poco tatto, per esempio mangiando in nostra presenza cibo a noi proibito, sottovalutando il problema o facendo poca attenzione alle accortezze igieniche che occorre osservare.
I cambiamenti nello stile di vita richiesti potrebbero interferire con la vita sociale: un invito a pranzo, una cena fuori, un compleanno, qualsiasi occasione in cui c’è del cibo potrebbe nascondere il proibito glutine. Anche se i vostri amici o il ristorante preparassero una pietanza a parte per voi, occorrerà essere sicuri che utensili e piatto non siano precedentemente venuti a contatto con altri ingredienti contenenti glutine.
L’ansia di non riuscire a rispettare le prescrizioni mediche è correlata a un futuro sviluppo di stati depressivi, mancata accettazione della malattia ed emozioni negative come rabbia e frustrazione. Poiché la celiachia è una condizione che accompagna per tutta la vita, sarebbe vantaggioso riuscire a gestire fin dall’inizio le emozioni negative e, con l’aiuto di uno psicologo, ricostruire l’immagine di sé e dotarsi delle risorse necessarie ad affrontare al meglio la situazione. Come con la persona con diabete, anche quella con celiachia può rivolgersi allo psicologo per ricevere sostegno all’aderenza alla dieta.
Accanto alla persona, anche la famiglia affronta questo cambiamento. Di conseguenza anche i familiari che condividono lo stesso tetto possono ricevere supporto per abituarsi alle nuove richieste quotidiane e affrontare insieme una condizione medica che, se gestita nel modo corretto, non intacca la qualità della vita.
Riferimenti:
- Associazione Italiana Celiachia
- Celiachia, Relazione annuale al Parlamento