Un nuovo punto di vista sull’ inibizione emotiva e sul disturbo ossessivo compulsivo di personalità: il ruolo del cervelletto

Un nuovo punto di vista sull’ inibizione emotiva e sul disturbo ossessivo compulsivo di personalità: il ruolo del cervelletto

cervelletto

Photo by Alina G on Unsplash

Il cervelletto è una struttura cerebrale ben specifica con caratteristiche morfologiche e funzionali particolari ed è collocato nella parte posteriore del nostro cervello, sotto i lobi occipitali e temporali ed appena sopra il tronco cerebrale. Apparentemente sembra molto piccolo ma in realtà il cervelletto comprende più della metà dei neuroni di tutto il cervello pur avendo una dimensione decisamente ridotta. Esso svolge funzione di controllo sulle capacità motorie e visuospaziali (O’Halloran, Kinsella, Storey, 2012), in particolare relativamente all’equilibrio ed al movimento fine ma, recenti studi su popolazioni sane e cliniche, hanno concluso che tale struttura riveste un ruolo importante in vari domini emotivi regolando il riconoscimento, l’apprendimento e l’elaborazione delle emozioni (Adamaszek, D’agata, Ferrucci, Habas, Keulen, Kirkby, et al. 2017) con ovvie ripercussioni dal punto di vista della vita sociale ed affettiva sia intra che interpersonale.

Alla luce di tutti questi dati è possibile sviluppare un modello interpretativo sul ruolo del cervelletto molto più complesso. Se infatti, precedentemente, tale struttura rivestiva un ruolo solo dal punto di vista motorio e visuocostruttivo, o comunque strettamente cognitivo, in termini soprattutto di velocità e precisione nello svolgimento di determinati compiti (Bolceková, Mojzeš, Van Tran, Kukal, Ostrý, Kulišťák, et al., 2017) ad oggi possiamo affermare che lesioni cerebellari possono giustificare la presenza di disturbi della personalità e di deficit nell’ambito delle emozioni che creano quindi delle difficoltà nel rapporto con gli altri. Sappiamo bene, infatti, che il costrutto dell’alessitimia comprende una generale difficoltà di riconoscimento delle emozioni proprie e altrui, rendendo difficile e complesso il rapporto consapevole con se stessi e con gli altri.

Infatti, attraverso uno studio con stimolazione magnetica transcranica, si è notato il ruolo del cervelletto sinistro in un compito di etichettamento di espressioni emotive rispetto a quelle neutre (Ferrari, Oldrati, Gallucci, Vecchi, Cattaneo, 2018) mentre uno studio su una lesione cerebellare, in questo caso destra, ha permesso di constatare lo sviluppo di comportamenti disinibiti, inappropriati ed impulsivi unitamente ad un pensiero rigido ed al ritiro sociale. Ovviamente, se il danno cerebellare incorre nella prima parte della vita, viene minato tutto lo sviluppo sociale e comunicativo delle emozioni (Siuda, Chrobak, Starowicz-Filip, Tereszko, Dudek, 2014).

I cambiamenti emotivi associati al deterioramento cerebellare sono stati anche collegati all’insorgenza di diversi condizioni psichiatriche inclusi i disturbi depressivi (Liu, Zeng, Li, Ma, Li, Shen, et al, 2012), il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) (Narayanaswamy, Jose, Kalmady, Agarwal, Venkatasubramanian, Reddy, 2016) ed il disturbo borderline di personalità (Lupo, Olivito, Siciliano, Masciullo, Bozzali, Molinari, et al. 2018)

Gold e Toomey (2018) hanno descritto il caso di una ragazza con tumore al cervelletto in età infantile, trattato con diverse operazioni chirurgiche ed una serie di sequele in termini di capacità motorie fini e di mantenimento dell’equilibrio. Oltre a questo, aveva sviluppato un DOC (verso cui vi era una familiarità ben precisa in quanto anche il padre aveva ricevuto diagnosi di DOC) ed una sindrome depressiva, fin dagli 8 anni. La paziente riferiva, infatti, di spendere molto del suo tempo nel fare programmazioni, elenchi, nel contare e ricontare, nello svolgere operazioni di controllo sul cibo e sull’igiene personale, sui compiti scolastici, con frequenti perseverazioni, talmente tanto da risentirne nelle attività sociali ed in generale funzionali delle sue giornate. Inoltre la paziente aveva sviluppato un disturbo da accumulo compulsivo ed aveva anche riferito di aver perso interesse nei rapporti sociali ed intimi descrivendosi come “anedonica” e completamente lontana dagli altri. Per alcuni versi, la ragazza si era etichettata come “autistica” per sottolineare la dimensione di disinteresse verso gli altri e verso tutto quello che concerne il mondo emotivo e sociale preferendo attività private e lontane dagli altri. Nel corso del tempo, in seguito alla valutazione neuropsicologica e psicologica, la diagnosi di DOC è stata riformulata in DOCP (Ecker, Kupfer, Gonner, 2014) in quanto, pur essendo presenti precisi pensieri intrusivi ossessivi seguiti da compulsioni o neutralizzazioni, allo scopo di sopprimere o controllare i primi, la paziente mostrava un profilo psicologico che includeva testardaggine, preoccupazione, perfezionismo, poca flessibilità ed efficienza e rigidità di pensiero tale da soddisfare i criteri diagnostici del DOCP secondo il DSM 5. Tale osservazione, inoltre, è fondamentale alla luce della difficile diagnosi differenziale tra DOC e DOCP: nel 23-32% dei casi vi può essere, infatti, una sovrapposizione tra le due condizioni (Starcevic V, Berle, Brakoulias, Sammut, Moses, Milicevic, et al., 2013) ma è bene valutare se esse siano eventualmente scisse per ragioni non soltanto diagnostiche ma soprattutto di trattamento. Non a caso, nel caso clinico, si legge come la paziente avesse ricevuto un trattamento CBT per il DOC con pochi effetti positivi. In quel caso, essendo stata formulata una diagnosi errata, anche l’impatto del trattamento ne ha risentito notevolmente.

Le neuroscienze sono in continua evoluzione e stanno ampliando sempre di più le evidenze sul ruolo di alcune strutture cerebrali in relazione ai processi psicologici, come in quelli cognitivi ed emotivi. Alcuni risultati sono davvero sorprendenti in quanto arricchiscono il patrimonio di conoscenza sul funzionamento mentale dell’individuo fornendo nuovi spunti di riflessione dal punto di vista applicativo.

Riferimenti

  • Adamaszek M, D’agata F, Ferrucci R, Habas C, Keulen S, Kirkby K, et al. (2017). Consensus paper: cerebellum and emotion. Cerebellum, 16(2):552–76.
  • Bolceková E, Mojzeš M, Van Tran Q, Kukal J, Ostrý S, Kulišťák P, et al. (2017). Cognitive impairment in cerebellar lesions: a logit model based on neuropsychological testing. Cerebellum ataxias, 4(1):13.
  • Ecker W, Kupfer J, Gonner S. (2014). Incompleteness as a link between obsessivecompulsive personality traits and specific symptom dimensions of obsessivecompulsive disorder. Clinical psychol psychother,21(5):394–402.
  • Ferrari C, Oldrati V, Gallucci M, Vecchi T, Cattaneo Z. (2018). The role of the cerebellum in explicit and incidental processing of facial emotional expressions: a study with transcranial magnetic stimulation. NeuroImage, 169:256–64.
  • Gold, A.K., Toomey, R. (2018) The role of cerebellar impairment in emotion processing: a case study. Cerebellum & Ataxias 5:11.https://doi.org/10.1186/s40673-018-0090-1
  • Liu L, Zeng L-L, Li Y, Ma Q, Li B, Shen H, et al. (2017). Altered cerebellar functional connectivity with intrinsic connectivity networks in adults with major depressive disorder. PLoS One.;7(6):e39516.
  • Lupo M, Olivito G, Siciliano L, Masciullo M, Bozzali M, Molinari M, et al. (2018). Development of a psychiatric disorder linked to cerebellar lesions. Cerebellum,1–9.
  • Narayanaswamy JC, Jose D, Kalmady SV, Agarwal SM, Venkatasubramanian G, Reddy YJ.(2016). Cerebellar volume deficits in medication-naïve obsessive compulsive disorder. Psychiatry Res Neuroimaging,254:164–8.
  • O’Halloran CJ, Kinsella GJ, Storey E. (2012). The cerebellum and neuropsychological functioning: a critical review. J Clin Exp Neuropsychol, 34(1):35–56.
  • Siuda K, Chrobak AA, Starowicz-Filip A, Tereszko A, Dudek D. (2014). Emotional disorders in patients with cerebellar damage–case studies. Psychiatr Pol.;48(2):289–97.
  • Starcevic V, Berle D, Brakoulias V, Sammut P, Moses K, Milicevic D, et al. (2013). Obsessive-compulsive personality disorder co-occurring with obsessivecompulsive disorder: conceptual and clinical implications. Aust N Z J Psychiatry.47(1):65–73.

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