Cosa ci spinge a fumare ancora un’altra sigaretta?

Cosa ci spinge a fumare ancora un’altra sigaretta?

Cosa ci spinge a fumare

Photo by Nguyen Linh on Unsaplash

Il fumo di sigaretta rimane, ad oggi, una delle principali cause di malattie potenzialmente mortali. In media ogni anno negli Stati Uniti 435.000 persone muoiono prematuramente a causa degli effetti legati al fumo (Benowitz, 2010). Infatti, la probabilità che un fumatore di lunga data muoia prematuramente a causa di una complicazione dovuta al tabagismo è di circa il 50% (Doll et al., 2004). Sebbene tali effetti collaterali siano ampiamente documentati e condivisi a livello di opinione pubblica, molti fumatori non riescono proprio a smettere.

Perché avviene questo?

Nel corso degli anni, molti sono stati gli studi volti ad esplorare tale quesito. È necessario innanzitutto comprendere la funzione svolta dalla nicotina, la quale gioca un ruolo fondamentale nell’indurre piacere e nel ridurre lo stress o stati emotivi a connotazione negativa. Consente allo stesso tempo di modulare i livelli di eccitazione, oltre che migliorare i livelli di concentrazione, i tempi di reazione e la performance in generale. Al contempo smettere di fumare, spesso, determina l’insorgenza di alcuni sintomi di astinenza quali: irritabilità, umore disforico, difficoltà di concentrazione, irrequietezza, ansia (Hughes & Hatsukami, 1986). Ne conviene, pertanto, che alla base della dipendenza da nicotina vi sia l’innesco di un circolo vizioso caratterizzato da combinazioni di rinforzi positivi e dall’evitamento dei sintomi legati all’astinenza (Dani & Heinemann, 1996).

Data la relazione esistente tra umore e fumo, la mera comprensione del meccanismo alla base della nicotina, tuttavia non consente di rispondere ad un’altra serie di domande. Che ruolo svolgono le emozioni in questo tipo di dipendenza? Perché alcuni fumatori effettuano tiri di sigaretta più intensi e frequenti rispetto ad altri? Perché la ricaduta può avvenire anche dopo molti anni in cui si è smesso di fumare? E soprattutto, sono le emozioni negative in generale ad innescare i comportamenti di dipendenza o vi sono emozioni specifiche a funzionare da trigger?

Dorison e colleghi (2020) hanno cercato di rispondere a tali interrogativi attraverso una serie di quattro studi:

  • Lo Studio 1 condotto su di un campione longitudinale di 10.685 persone, frutto di una raccolta dati di 20 anni, permise di rilevare come la tristezza, piuttosto che altre emozioni a valenza negativa, fosse maggiormente associata alla condizione dell’essere un fumatore ed a una maggiore probabilità di ricaduta anche a distanza di 10 o 20 anni dopo aver smesso.
  • Lo Studio 2, invece, si propose di indagare se effettivamente la tristezza, e non un’altra emozione negativa, fosse in grado di aumentare il craving (desiderio impulsivo e irrefrenabile verso una sostanza psicoattiva) per le sigarette. Per testare la suddetta ipotesi, furono reclutati 425 fumatori suddivisi in 3 gruppi. Al primo gruppo fu mostrato un video triste tratto dal film Up, riguardante la perdita del proprio partner. Il secondo gruppo, incluso nella condizione “neutra”, prese parte alla visione di una video sulla costruzione di mobili in legno. Mentre i partecipanti alla condizione “disgusto” osservarono un video tratto dal film Trainspotting, nel quale uno dei protagonisti usa un bagno non igienico. Infine, tutti i partecipanti furono invitati a scrivere di un’esperienza personale correlata alla propria condizione sperimentale. Sia prima che dopo l’induzione delle emozioni, gli autori misurarono i livelli di craving mediante tre questionari self-report. I dati ottenuti evidenziarono come le persone appartenenti alla condizione “tristezza” manifestarono un bisogno più elevato di fumare rispetto sia al gruppo neutro che a quello di disgusto.
  • Nello Studio 3 fu adoperato un paradigma sperimentale simile al precedente, con lo scopo, però, di valutare l’effettiva impazienza dei fumatori verso i tiri di sigaretta. Analogamente al secondo studio, quasi 700 partecipanti guardarono video e scrissero di esperienze di vita a valenza triste o neutra. Successivamente, essi furono invitati a decidere se fumare subito nonostante tale scelta comportasse meno tiri di sigaretta o più tardi ma con più tiri. Dai dati si evinse come i partecipanti alla condizione “tristezza” si dimostrarono, come ipotizzato, maggiormente impazienti di fumare rispetto al gruppo “neutro”.
  • Per ultimo, lo Studio 4 reclutò 158 fumatori al fine di testare come la tristezza influenzasse realmente il comportamento di fumare. Ai partecipanti fu richiesto di astenersi dal fumare per almeno 8 ore prima dell’appuntamento in laboratorio. Condizione verificata mediante un test sul monitoraggio del monossido di carbonio nel respiro. Come per lo Studio 3, seguendo lo stesso disegno sperimentale, i partecipanti furono assegnati in modo casuale alla condizione neutra o di tristezza. Gli autori decisero di testare, tra le altre variabili, soprattutto l’effetto della tristezza sul volume di ciascun tiro di sigaretta. L’indice di volume fu ottenuto dal prodotto della velocità per la durata di ciascun tiro. Gli autori scoprirono che i fumatori nella condizione di tristezza inalarono un volume maggiore del 30% per tiro di sigaretta rispetto ai fumatori nella condizione di controllo.

Come si evince, i risultati, offrono importanti spunti di riflessione che meritano tuttavia ulteriori approfondimenti in futuro. Gli autori, conclusero lo studio precisando che il loro lavoro non aveva l’obiettivo di ipotizzare che la tristezza fosse l’unica tra le emozioni negative a funzionare da trigger. Piuttosto, essi ipotizzarono e rilevarono che la tristezza rispetto altri stati emotivi presentava una forza maggiore nell’innescare l’uso di tale sostanza psicoattiva. Sembrerebbe, secondo Dorison e colleghi (2020), che la tristezza susciti una spinta motivazionale implicita volta a ristabilire un equilibrio, a sostituire la perdita attraverso un maggior consumo.

Riferimenti

  • Benowitz, N. L. (2010). Nicotine addiction. New England Journal of Medicine362(24), 2295-2303.
  • Dani, J. A., & Heinemann, S. (1996). Molecular and cellular aspects of nicotine abuse. Neuron16(5), 905-908.
  • Doll, R., Peto, R., Boreham, J., & Sutherland, I. (2004). Mortality in relation to smoking: 50 years’ observations on male British doctors. Bmj328(7455), 1519.
  • Dorison, C. A., Wang, K., Rees, V. W., Kawachi, I., Ericson, K. M., & Lerner, J. S. (2020). Sadness, but not all negative emotions, heightens addictive substance use. Proceedings of the National Academy of Sciences117(2), 943-949.
  • Hughes, J. R., & Hatsukami, D. (1986). Signs and symptoms of tobacco withdrawal. Archives of general psychiatry43(3), 289-294.

Autore/i dell’articolo

Alessandro Valzania
Psicologo, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Iscritto all’ordine degli psicologi della regione Lazio n. 18837. Dottore di ricerca in psicobiologia e psicofarmacologia presso il dipartimento di psicologia Università “La Sapienza di Roma”. Il Dott. Valzania è Docente dell’Istituto A.T. Beck per le sedi di Roma e Caserta. Inoltre, è Docente dell’International College of Osteopathic Manual Medicine Ha conseguito il Master “Guarire il Trauma: valutazione, relazione terapeutica e trattamento del trauma semplice e complesso” presso l’Istituto A.T. Beck di Roma; ha conseguito il Master “Dipendenze da internet e gioco d’azzardo. Ritiro sociale e cyberbullismo” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Il Dott. Valzania è inoltre terapeuta EMDR di I° livello. Il Dott. Valzania si occupa di clinica dell’età adulta, prevalentemente di Disturbi della personalità, Trauma semplice e complesso e di dipendenze comportamentali. Si occupa di ricerca preclinica e clinica con pubblicazioni internazionali sulla controllabilità dello stress, depressione, abuso di sostanze e trauma infantile.  

Se hai bisogno di aiuto o semplicemente vuoi contattare l’Istituto A.T. Beck per qualsiasi informazione,
compila il modulo nella pagina contatti.

Back To Top
Cerca