Depressione, fatica e sistema immunitario
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Essere stanchi è per tutti spiacevole, su questo siamo d’accordo. Ma la fatica cronica di chi soffre di depressione è molto più di questo: è un sintomo realmente invalidante capace di influenzare negativamente la quotidianità della persona che la vive.
Cosa si intende quando si parla di “fatica” in ambito medico? Come riportano le linee guida per il trattamento della Sclerosi Multipla, la fatica è definibile come la mancanza soggettiva di energia fisica e/o mentale, che interferisce con le attività abituali e desiderate. Non mi pare affatto trascurabile! E se ci ricordassimo anche che la depressione colpisce oltre 168 milioni di persone in tutto il mondo, allora apparirebbe evidente come siano davvero troppe quelle che si trovano a vivere una vita la cui qualità è così carente da portare ad un incremento della suicidalità di chi ne soffre.
Negli ultimi anni, la ricerca si è focalizzata non più solamente su depressione e fatica, ma anche sul ruolo della depressione e della fatica nei disturbi immuno-mediati (come la Sclerosi Multipla), poiché fattori quasi onnipresenti in questi quadri clinici.
Nella review di Lee e Giuliani (2019), è stata presa in esame la letteratura riguardo la relazione tra depressione, fatica e trattamenti ad essi dedicati attualmente esistenti. Ciò che emerge dalla loro analisi sono prove evidenti del fatto che cambiamenti nel sistema immunitario potrebbero essere dovuti all’azione delle terapie antidepressive: molti di questi farmaci riducono infatti l’attivazione infiammatoria nelle cellule immunitarie. Anche altri trattamenti quali terapia elettroconvulsiva, stimolazione transcranica (TDCs), psicoterapia ed esercizio fisico comportano una riduzione dei livelli infiammatori di citochine. E un livello inferiore di citochine infiammatorie ha dimostrato essere predittivo di una migliore efficacia dei trattamenti antidepressivi appena citati (tranne l’esercizio fisico).
Inoltre, sembra esistere ormai un diffuso consenso tra i ricercatori riguardo la relazione esistente tra sistema immunitario e sintomi quali affaticamento e depressione. Prove convincenti riguardo il ruolo dell’infiammazione nella causa di alcune forme di depressione e fatica sembrano esserci, in effetti.
Tassi più elevati di depressione e affaticamento sono stati dimostrati in una vasta gamma di condizioni associate all’attivazione del sistema immunitario come allergie, malattie autoimmuni (diabete di tipo 1, sclerosi multipla, lupus eritematoso sistemico e artrite reumatoide) e infezioni (sepsi): nel diabete, la risposta immunitaria infiammatoria attivata è implicata nella sua patogenesi, con l’attivazione immunitaria coinvolta nello sviluppo del diabete di tipo 1 e di tipo 2. Il 30% dei pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES) soffre di depressione: gli studi hanno anche dimostrato che livelli più elevati di affaticamento sono associati ad un aumentato rischio di depressione e che non vi è alcuna associazione con la gravità della malattia nei pazienti con LES. La depressione ha anche un’alta prevalenza nei pazienti con artrite reumatoide (RA): fino all’80% dei pazienti a cui è stata diagnosticata la RA ha affaticamento clinicamente rilevante.
Ma non tutte le domande hanno ancora trovato risposta. Ad esempio, che ruolo svolge questa relazione in patologie specifiche quali la Sclerosi Multipla? In malattie croniche come questa, esiste una reale difficoltà nel diagnosticare questi due sintomi (depressione e fatica), poiché non è semplice determinare quando essi siano propri della malattia stessa (sintomi primari), oppure quando siano il risultato della reazione alla diagnosi o alla disabilità causata dalla patologia (sintomi secondari). I risultati per le patologie immuno-mediate sono ancora contrastanti e ulteriori studi si rendono certamente necessari.
Ad esempio, l’ipotesi dei “due colpi” (formulata originariamente in campo oncologico) necessita senz’altro di ulteriori approfondimenti: il sistema immunitario “attivato” (ad esempio dall’utilizzo di farmaci immunosoppressivi), potrebbe risultare in una maggiore suscettibilità ad altri “colpi” bio-psico-sociali; per esempio, una maggiore gravità della depressione e della fatica in futuro. Il valore di questa scoperta sarebbe quindi prognostico.
Riguardo la fatica, attualmente i trattamenti esistenti sono numericamente scarsi. Ciò su cui si stanno concentrando i ricercatori sono potenziali bersagli farmacologici cerebrali, basati su cambiamenti noti che depressione e fatica comportano.
Infine, ma non di certo per minore importanza, la relazione tra sistema immunitario e la sfera psicologica svolgerà un ruolo chiave sia nella comprensione che nella progettazione di trattamenti ad hoc per il miglioramento della vita delle persone affette da questi sintomi.
Migliorare la comprensione dell’eziologia e dei meccanismi coinvolti nella depressione e nella fatica significa puntare a migliorare la qualità di vita di milioni e milioni di persone, che vedono le loro giornate gravemente compromesse.
Riferimenti: