Perché tutte a me? La disperazione nella depressione maggiore

Perché tutte a me? La disperazione nella depressione maggiore

La disperazione nella depressione maggiore

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Introduzione

Voltaire ha detto: “quando abbiamo perso tutto, inclusa la speranza, la vita diventa una disgrazia e la morte un dovere”.

Spesso quando parliamo di depressione o pensiamo ad una persona depressa, immagiamo tristezza, perdita di interesse e motivazione, ritiro sociale e così via. Tutto vero. Ma se guardiamo attentamente nella profondità della vita, possiamo scorgere mancanza di scopi, angoscia, annichilimento. Una disperazione nera, lacerante. Il disinteresse per l’esistenza stessa. Il senso delle e per le cose è un ricordo avvizzito. Anche la mente fa fatica a ricordarlo.

Che cos’è la disperazione

La disperazione è un aspetto prominente della depressione, che postula che gli individui con uno stile inferenziale negativo hanno maggiori probabilità di provare perdita di speranza quando si confrontano con eventi di vita negativi (NLE), infatti vi sono prove evidenti a sostegno del ruolo di uno stile inferenziale negativo nella patogenesi della depressione maggiore.

È stato ipotizzato che gli individui formino attribuzioni causali lungo tre diverse dimensioni, da interno a esterno, da stabile a instabile e da globale a specifico: coloro che attribuiscono un evento negativo a cause interne, stabili e globali hanno maggiori probabilità di sviluppare la depressione. 

Questa teoria potrebbe predire, per esempio, che un individuo che ha una discussione con un conoscente è più probabile che si deprima se interpreta questo evento come un prodotto della sua scarsa capacità interpersonale (interna), che creda non cambierà mai (stabile) e influenzerà negativamente tutte le altre interazioni sociali (globali). Al contrario, l’individuo è a basso rischio di depressione se attribuisce lo stesso evento all’irritabilità del conoscente (esterno), determinato dall’avere una brutta giornata (instabile), e ritiene che questo non sia caratteristico delle altre interazioni sociali (specifiche).

Nel 1989 è stato descritto da Abramson & Alloy un particolare sottotipo di depressione, la hopelessness depression (HD). Chi ne è affetto è convinto di non avere alcuna speranza, né di poterne avere in futuro, interpreta ogni avvenimento in modo assolutamente negativo e si percepisce privo di risorse e strumenti per poter modificare la situazione. L’individuo si costruisce l’aspettativa che eventi molto desiderati non abbiano alcuna probabilità di verificarsi, mentre, per contro, eventi molto temuti accadranno sicuramente senza che lui possieda alcuna opportunità di impedirlo. Da ciò deriva il profondo sentimento di disperazione (hopelessness).

Sintomi della disperazione

Secondo gli autori della Hopelessness Theory of Depression la HD si caratterizza per 12 sintomi:

  • La tendenza a ritardare l’inizio delle risposte volontarie ad agire;
  • L’umore triste per l’aspettativa negativa riguardo al futuro;
  • L’ideazione suicidaria e i tentativi di suicidio;
  • La mancanza di energia;
  • L’apatia;
  • Il rallentamento psicomotorio, come conseguenza della mancanza di motivazione ad agire;
  • La ruminazione;
  • I disturbi dell’addormentamento;
  • Le difficoltà di concentrazione;
  • I pensieri negativi esacerbati dall’umore;
  • La bassa autostima;
  • La tendenza alla dipendenza.

Questi pazienti hanno una grande difficoltà a smettere di pensare all’evento negativo e alle sue conseguenze, non riescono a “staccarsi” dai pensieri intrusivi negativi e a concentrarsi su altro. In tal modo i pensieri negativi esacerbati dall’umore non fanno altro che mantenere il circolo vizioso per cui i pensieri diventano sempre più negativi.

La bassa autostima è legata alla tendenza ad attribuire stabilmente a sé stessi, generalizzando, la causa degli eventi negativi (es. “il fallimento è dovuto alla mia persona”) e ad attribuire agli altri, senza la possibilità di alcun controllo, gli eventi positivi. L’individuo si percepisce incapace di far fronte alle situazioni e si valuta inferiore agli altri (da cui deriva la tendenza a sentirsi dipendente).  Tale modalità di pensiero viene chiamata dagli stessi autori, stile cognitivo depressogeno. Individui che possiedono tale stile di pensiero, in presenza di un evento negativo, con molta probabilità sperimenteranno la hopelessness, causa prossimale sufficiente a far comparire il disturbo depressivo.

Conclusioni

Ponendo, quindi, come assunto di base il fatto che gli individui con una tendenza a formare inferenze negative siano vulnerabili alla depressione quando vivono un evento di vita negativo, individui con una tendenza a formare inferenze positive sulla causa, le conseguenze e le auto-caratteristiche associate ad un evento di vita positivo siano predisposte a diventare più speranzose, con un conseguente miglioramento della sintomatologia depressiva. In questo modo, uno stile inferenziale positivo può funzionare come un fattore di resilienza che interagisce con gli eventi di vita positivi per produrre un effetto migliorativo sul senso di speranza e di umore dell’individuo.

Nel corso degli anni ci sono state una serie di elaborazioni della teoria della disperazione, incluso un percorso cognitivo-evolutivo grazie al quale è emerso che l’abuso infantile contribuisce alla vulnerabilità cognitiva alla successiva depressione.

 

 

Riferimenti

  • Abramson, L.Y., Metalsky, F.I., & Alloy, L.B. (1989). Hopelessness depression: A theory based subtype of depression, Psychological Review, 96 (2).
  • Beck, A.T., Rush, A.J., & Emery, G. (1979). Terapia cognitiva della depressione. Torino. Bollati Boringhieri.
  • Clark, D.A., Beck, A.T. & Alford, B.A. (2001) Teoria e terapia cognitiva della depressione. Milano. Masson.

Sitografia

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Mariangela Ferrone - Psicologa - Psicoterapeuta - Istituto Beck
Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Psicoterapeuta TMI (terapia metacognitiva interpersonale) livello EXPERT. Per molti anni è stata Coordinatrice del Centro di Psichiatria Perinatale e Riproduttiva, del Servizio di Psicoterapia e Counseling Universitario presso la UOC di Psichiatria – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Attualmente è docente per l’insegnamento di “Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione” nel corso di laurea in Scienze Infermieristiche, sede Sant’Andrea presso la Facoltà di Medicina e Psicologia – Sapienza Università di Roma, nonché docente interno e supervisore clinico dell’Istituto A.T. Beck per le sedi di Roma e Caserta. Socio Aderente della SITCC (Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva).

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