Il Disturbo da stress post-traumatico: i correlati neurali dei ricordi intrusivi dell’esperienza traumatica
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Sempre più spesso sentiamo parlare di trauma soprattutto relativamente a molte delle catastrofi naturali che negli ultimi tempi stanno sconvolgendo diverse zone del mondo (terremoti, alluvioni, ecc.) o anche in riferimento ai crescenti episodi di violenza fisica e psicologica (attacchi terroristici, abusi sessuali, bullismo). Ma cosa vuol dire la parola “trauma”? Essa letteralmente sta ad indicare una “ferita” che in senso ampio può riguardare sia il nostro corpo che la nostra mente. Se una ferita sulla pelle tende progressivamente a cicatrizzarsi per opera di specifiche cellule, la ferita psicologica procurata da un evento fortemente stressante (o percepito come tale) potrebbe rimanere aperta e diventare una voragine difficile da sanare. La percezione del rischio e l’impatto che tali esperienze hanno sul benessere dell’individuo risentono di una variabilità individuale; essa è principalmente determinata dalle risorse cognitive, emotive e comportamentali di cui ciascun individuo dispone, così come dalle sue risorse sociali. Supponiamo di essere sopravvissuti a un incidente stradale o di essere stati vittima di abbandono da parte di un nostro caregiver durante l’infanzia. Alcune condizioni, se presenti, potrebbero renderci maggiormente resilienti, ovvero metterci nelle condizioni di reagire positivamente agli eventi sfavorevoli: una buona autostima, un’adeguata capacità di problem solving, una buona flessibilità cognitiva, adeguate capacità comunicative e una rete sociale di supporto. Viceversa l’esperienza traumatica potrebbe condizionare fortemente tutta la nostra esistenza ed evolvere in un vero e proprio quadro sintomatologico: il Disturbo da stress post-traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD).
I ricordi intrusivi rappresentano un sintomo chiave del PTSD che emerge precocemente dopo l’esposizione a un trauma, predicendone l’evoluzione (Gvozdanovic et al., 2019). Non sempre l’atto di ricordare è frutto di un tentativo consapevole; molti ricordi riaffiorano alla mente innescati da stimoli attivanti presenti nell’ambiente esterno o interno. E così mentre siamo per strada possiamo avvertire un profumo che può farci riaffiorare il ricordo di una persona, oppure sperimentare uno stato emotivo di tristezza può portare alla consapevolezza uno o più ricordi spiacevoli del nostro passato. Secondo alcuni ricercatori dopo l’evento traumatico le persone possono fare ripetutamente esperienze senso-percettiva dell’episodio senza un deliberato e consapevole tentativo di rievocazione; esse tipicamente hanno la forma di immagini visive ma anche di suoni, odori, sensazioni corporee e tattili di intensità tale da generare emozioni dolorose (Iyadurai et al., 2018).
Per il loro forte potere destabilizzante e predittivo della psicopatologia, i ricordi intrusivi sono stati oggetto di molteplici studi e considerati come potenziali obiettivi di intervento (James et al., 2018). In ambito scientifico il principale paradigma sperimentale che è stato, ed è tuttora, adoperato per studiare i ricordi intrusivi prevede la visione di eventi stressanti/potenzialmente traumatici abbastanza potenti da indurre ricordi intrusivi nella vita quotidiana per diversi giorni (Lau-Zhu et al., 2018). In base a una delle più recenti ricerche, in alcuni individui esisterebbero dei circuiti cerebrali specifici in grado di riattivarsi in seguito all’esposizione a esperienze traumatiche vissute dall’individuo durante il corso della sua vita. Questi circuiti una volta riattivati sarebbero responsabili del ricordo intrusivo e automatico di episodi traumatici passati. E’ proprio questa sensibilità neurale che secondo gli studiosi, potrebbe spiegare la differente vulnerabilità individuale allo sviluppo del PTSD. Nel loro studio a 53 donne (in buona salute) è stato richiesto di visualizzare film concernenti episodi di violenza e film a carattere neutrale: le partecipanti sottoposte alla visione di scene violente riportavano fastidiosi ricordi intrusivi durante i giorni successivi. Le registrazioni dell’attività cerebrale hanno confermato l’ipotesi del coinvolgimento di alcune regioni cerebrali nel predire la comparsa dei ricordi intrusivi dell’evento traumatico. Più nello specifico si tratterebbe delle stesse aree cerebrali coinvolte nell’immagazzinamento dei ricordi e nel processamento emozionale: amigdala, insula anteriore, corteccia cingolata dorsale e rostrale anteriore, e ippocampo. Inoltre, l’effetto predittivo di questa attivazione riguardava solo le partecipanti che riportavano più di cinque eventi traumatici nelle loro vita (incidenti, aggressioni, abusi fisici e sessuali o disastri naturali); nelle partecipanti che riportavano da pochi o addirittura nessun episodio traumatico non è stata registrata alcuna relazione.
In base a quanto concludono gli autori delle studio, questa evidenza sperimentale apre le porte alla possibilità di prevenire lo sviluppo del PTSD in soggetti considerati a rischio per due ordini di motivi: la sensibilità di specifiche regioni cerebrali congiuntamente all’esposizione a ripetuti eventi traumatici durante il corso della vita (Rattel et al., 2019).
Bibliografia:
- Gvozdanovic G, Stämpfli P, Seifritz E, Rasch B. (2019). Structural brain differences predict early traumatic memory processing. Psychophysiology. https://doi.org/10.1111/psyp.13354
- Iyadurai L, Visser RM, Lau-Zhu A, Porcheret K, Horsch A, Holmes EA, James EL. (2018). Intrusive memories of trauma: A target for research bridging cognitive science and its clinical application. Clin Psychol Rev. DOI: 1016/j.cpr.2018.08.005
- Lau-Zhu A., Holmes EA, Porcheret K. (2018). Intrusive Memories of Trauma in the Laboratory: Methodological Developments and Future Directions. Curr Behav Neurosci Rep.; 5(1): 61–71.
- Rattel JA, Miedl SF, Franke LK, Grünberger LM, Blechert J, Kronbichler M, Spoormaker VI, Wilhelm FH (2019). Peritraumatic Neural Processing and Intrusive Memories: The Role of Lifetime Adversity. Biol Psychiatry Cogn Neurosci Neuroimaging. DOI: 1016/j.bpsc.2018.12.010