Disturbo evitante di personalità: funzionamento

Disturbo evitante di personalità: funzionamento

Disturbo evitante di personalità: funzionamento

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Il Disturbo Evitante di Personalità (DEP) ha una prevalenza di circa il 2,4%, spesso è associato a disturbi d’ansia, alla depressione e all’abuso di sostanze e chi ne è affetto è più a rischio di ideazione e tentativi suicidari (Lampe, Malhi, 2018).

Le caratteristiche essenziali del DEP sono l’evitamento delle situazioni sociali e l’inibizione nei rapporti interpersonali, affiancati a sentimenti di inadeguatezza e inettitudine, ansia rispetto alla possibilità di essere valutati negativamente e rifiutati, paura di sembrare ridicoli o sentirsi in imbarazzo. Ciò inizia entro la prima età adulta ed è presente in svariati contesti (APA, 2014).

La persona evitante si sente profondamente inadeguata nel contatto con gli altri, ne teme il giudizio, è fortemente inibita e dominata da emozioni di ansia e vergogna.

Un senso di estraneità pervade i rapporti duali, uno di esclusione quelli gruppali: non riesce a provare un pieno e appagante senso di condivisione e appartenenza.

Nelle relazioni intime e significative affiora il senso di esclusione e inadeguatezza. L’aspettativa è di essere rifiutata o giudicata negativamente dagli altri, quindi, alla luce di tale previsione, evita i rapporti sociali. L’affetto e l’intimità tanto desiderati diventano inafferrabili, qualcosa di irraggiungibile, a causa della compresenza di una costante paura del rifiuto e del giudizio.

Alla persona non resta che ritirarsi in una solitudine intrisa di tristezza.

Quando riesce a stabilire una relazione, asseconda l’altro per evitare quel rifiuto che confermerebbe l’immagine di sé inadeguata. Questo, però, fa sì che viva il rapporto in modo coercitivo generando rabbia e frustrazione e, dunque, di fronte a una eventuale separazione la persona con un disturbo evitante di personalità vive, solitamente, un senso di liberazione.

Una volta sola intraprende attività (guardare film, ascoltare musica, giocare al pc, ecc.) che, temporaneamente, la gratificano e la proteggono dai rapporti interpersonali, ma ciò è come neve al sole; infatti si deprime profondamente appena diviene consapevole che tutto questo è indice dell’incapacità a vivere la vita come tutti gli altri.

Un’emozione centrale del disturbo evitante è la vergogna: le situazioni sociali vanno evitate in quanto è lì che le proprie inadeguatezze saranno esposte alla vista di tutti (Dimaggio, Montano, Popolo, Salvatore, 2013; Dimaggio, Ottavi, Popolo, Salvatore, 2019; Dimaggio, Semerari, 2003).

 

Riferimenti

  • American Psychiatric Association (2014). DSM-5: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina, Milano.
  • Dimaggio, G., Montano, A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Raffaello Cortina, Milano.
  • Dimaggio, G., Ottavi, P., Popolo, R., Salvatore, G. (2019). Corpo, immaginazione e cambiamento. Terapia metacognitiva interpersonale. Raffaello Cortina, Milano.
  • Dimaggio, G., Semerari, A. (2003). I disturbi di personalità. Modelli e trattamento. Editori Laterza, Bari-Roma.
  • Lampe, L., Malhi, G.S. (2018). Avoidant personality disorder: current insights. Psychology Research and Behavior Management, 11:55-66.

 

Autore/i dell’articolo

Dott. De Gabrielis Gabriele
Psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, psicoterapeuta TMI (Terapia Metacognitiva Interpersonale). Ha conseguito il I livello della formazione in EMDR. Ha svolto la sua attività in diversi contesti: strutture semiresidenziali, centri clinici, U.O.C. Tutela Salute Donna ed Età Evolutiva – ASL Roma 2, U.O.C. Psichiatria – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Da anni si dedica allo studio dei sistemi motivazionali nell’ottica cognitivo-evoluzionista contribuendo, attraverso diverse ricerche, allo sviluppo della Teoria Evoluzionistica della Motivazione (TEM). Attualmente collabora in qualità di psicologo e psicoterapeuta presso l’Istituto A.T. Beck di Roma.

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