Autismo ed empatia: quale reale legame?

Autismo ed empatia: quale reale legame?

Empatia

Photo by Anna Kolosyuk on Unsplash

Nonostante la conoscenza della condizione dello spettro autistico venga sempre più conosciuta e riconosciuta dalla comunità scientifica e dai professionisti, alcune etichette e luoghi comuni continuano a rimanere diffuse e radicate convinzioni. Tra queste convinzioni vi è l’idea che le persone con autismo manchino di empatia, ovvero siano incapaci di provare emozioni, mettersi nei panni degli altri, sintonizzarsi con loro.

In un editoriale pubblicato sulla rivista Autism (2019), due studiosi invitano ad una riflessione sul costrutto dell “empatia” nelle condizioni dello spettro dell’autismo.

Gli autori, Sue Fletcher-Watson della University of Edinburgh e Geoffrey Bird della University of Oxford analizzano l’impiego del termine, il costrutto teorico e la sua misurazione.

Definire l’empatia: cos’è davvero?

Attualmente, sottolineano gli autori, non esiste una singola definizione di empatia, specifica e universalmente riconosciuta. Più volte è stata definita nei termini di: capacità di immedesimarsi, di provare affetto e affinità verso il prossimo, avvertire vicinanza, comprendere gli stati d’animo e le emozioni altrui.

Per capire meglio l’empatia, gli autori la suddividono in tre componenti:

  1. Notare che una persona sta provando qualcosa: ovvero prestare attenzione ai segnali esteriori mostrati dall’altro.

Le persone con autismo potrebbero avere più difficoltà, rispetto alle persone neurotipiche, nel prestare attenzione ai segnali emotivi altrui (Mundy, 2018); inoltre, le persone con autismo spesso sperimentano una forma di elaborazione di tipo monosensoriale, per cui prediligono una fonte di informazione alla volta (Murray, Lesser, & Lawson, 2005) e ciò potrebbe contribuire a perdere alcuni spunti sociali, quando qualcos’altro cattura la loro attenzione.

  1. 2. Identificare di cosa si tratta: ovvero dopo aver notato il comportamento emotivo di qualcuno, interpretare quel comportamento. (per esempio: “Questa persona sta piangendo di felicità o tristezza?” “Questa risata indica gioia o è una risata secca e sarcastica di frustrazione?”).

Questo potrebbe essere un altro passo difficoltoso per le persone con autismo in particolare, ancor di più se la persona ha difficoltà ad identificare le proprie emozioni e se deve interpretare il comportamento di un’altra persona neurotipica.

  1. 3. Reagire in un modo considerato opportuno. Ovvero, dopo aver notato e interpretato correttamente i segnali emotivi di un’altra persona, mostrare affinità, risuonare o rispecchiare con l’altro.

È importante considerare che le risposte che mettiamo in atto in seguito ai segnali emotivi mostrati dall’altro sono fortemente dettate da norme e aspettative della società, necessariamente definite dalla maggioranza della popolazione, che è neurotipica. Il fatto dunque, di non seguire un copione comportamentale socialmente atteso dalle persone neurotipiche, in risposta alla sofferenza altrui, potrebbe far apparire le persone con autismo come prive di empatia.

Risulta dunque primario, al fine di comprendere il grado di empatia sperimentato dalle persone con autismo, saper riconoscere i processi di attenzione sociale, elaborazione delle emozioni e aspetti comportamenti normativi che circondano il fenomeno.

Quantificare l’empatia: come si misura?

Un altro aspetto che va ripensato, secondo gli autori dell’editoriale, riguarda la misurazione del costrutto di empatia nello spettro dell’autismo. Gli studi che sostengono la prova di una ridotta empatia tra le persone autistiche infatti, spesso si basano sui risultati ottenuti all’ “EQ- Quoziente Empatico”, un test auto-somministrato nel quale viene chiesto di rispondere a 60 affermazioni in base a quanto ci si trova d’accordo o in disaccordo (Baron-Cohen & Wheelwright, 2004).

Fletcher e Bird sottolineano quelli che secondo loro sono i limiti di questo test così predominante nella letteratura sull’autismo. Spiegano: “il mito della mancanza di empatia nell’autismo è ormai talmente radicato che una persona che dichiarasse di non avere un deficit di empatia si troverebbe a mettere in discussione la visione della maggioranza della comunità scientifica, o addirittura a screditare la propria diagnosi”. Dunque, secondo gli autori, molti potrebbero riportare una mancanza di empatia anche quando ciò non avviene.

Teorie sull’empatia: di cosa parliamo?

Un ulteriore questione, sottolineata dagli autori, che riguarda gran parte delle ricerche sul tema dell’empatia, è che spesso questa viene confusa con altri processi cognitivi sociali come ad esempio quello di “teoria della mente”. Questa confusione è una conseguenza, almeno in parte, della mancanza di una definizione univoca del costrutto. Al momento, due modelli teorici sembrano aiutare nel fare chiarezza rispetto alla distinzione tra empatia e l’inferenza di complessi stati mentali altrui.

  1. Il primo modello riguarda l’alessitimia L’alessitimia si distingue dall’autismo – non è né necessaria né sufficiente per una diagnosi di autismo-inoltre ci sono persone con autismo senza alessitimia e individui alessitimici senza autismo, ma l’alessitimia è molto più diffusa nelle persone con autismo che nella popolazione neurotipica. Nuove prove suggeriscono che l’autismo sia associato alla mancanza di una teoria della mente dell’altro, ma non all’empatia, mentre l’alessitimia sia associata ad una mancanza di empatia ma non di teoria della mente dell’altro (Brewer, Happé, Cook e Bird, 2015).
  2. Il secondo sviluppo chiave riguarda un focus recente sullo stato di” outgroup” delle persone autistiche in relazione alla popolazione neurotipica. Un corpus crescente di ricerche rileva che i processi identificati come “deficit” nell’autismo sono in effetti meglio compresi se visti come sfide interattive e di comunicazione che operano in entrambe le direzioni attraverso il divario tra due modi di funzionare ovvero quello autistico e quello neurotipico. Si è visto come, infatti, persone neurotipiche mostrino difficoltà a giudicare le espressioni emotive delle persone con autismo (Edey et al., 2016; Sheppard et al., 2016) e quindi a comprenderle.

Conclusioni

Parlare di mancanza di empatia , in relazione all’autismo, porta con sé un forte potenziale impatto negativo nella vita delle persone nello spettro.

Cosa si può fare? Come sottolineano gli autori un primo passo è certamente quello di prendere in considerazione ciò che le persone con autismo riportano della loro esperienza di empatia. Quelle che vengono considerate delle mancanze, in riferimento al concetto di empatia, potrebbero essere rilette infatti come semplici differenze.

Le persone neurotipiche possono presumere che noi autistici siamo incapaci di provare empatia, quando in realtà, ci capita di esprimerlo in modo diverso. Le reazioni attraverso le nostre espressioni facciali e il nostro linguaggio del corpo potrebbero non corrispondere a ciò a cui la società è abituata e si aspetta. ( Hari Srinivasan)

RIFERIMENTI

  • Fletcher-Watson, S., & Bird, G. (2019). Autism and empathy : what are the real links ? Autism, (September), 1–4. https://doi.org/10.1177/1362361319883506

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Morena Salvati
Psicologa, psicoterapeuta in formazione. Si occupa da diversi anni di disturbi dell’età evolutiva, e possiede esperienza in particolare nella diagnosi e nel trattamento dei Disturbi dello Spettro autistico e dei disturbi del comportamento. Attualmente esercita la libera professione in collaborazione con l’Istituto Beck for Kids di Roma.

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