Età evolutiva e concetto di “moralità”: distinguere ciò che è sbagliato è possibile già 3 anni di vita

Età evolutiva e concetto di “moralità”: distinguere ciò che è sbagliato è possibile già 3 anni di vita

Età evolutiva e concetto di moralità

Photo by Max Goncharov on Unsplash

L’argomento che intendiamo approfondire in questo articolo prende spunto da evidenze scientifiche secondo cui i bambini, di età inferiore ai 3 anni, mostrano specifici cambiamenti neurobiologici nell’assistere alla violazione di norme morali e/o convenzionali.

Per comprendere a pieno cosa intendiamo con questi ultimi due concetti, possiamo chiaramente porre un quesito. Se qualcuno ci chiedesse: «È più grave distruggere un bene pubblico, quale ad esempio la facciata di un palazzo storico, o barare durante una partitaa carte ?». Ci appare abbastanza scontato notare che nel primo caso si assiste alla violazione di una norma ‘morale’, che tende a preservare i diritti degli altri; nel secondo caso la norma è di tipo ‘convenzionale’, dunque focalizzata a garantire una pacifica convivenza di gruppo.

Allo stesso tempo, si pensa che interiorizzare il significato di concetti così complessi, richieda un grado di sviluppo avanzato. Tuttavia, una nuova ricerca condotta presso l’Università della Virginia è riuscita a dimostrare, attraverso la misurazione di modificazioni fisiologiche, quali la dilatazione delle pupille degli occhi, che bambini di tre anni riescono a cogliere la natura di tali norme, distinguendone le specificità.

In linea generale, tutti noi siamo consapevoli del fatto che alcune regole sono più importanti di altre e che risulta fondamentale garantire la correttezza di una condotta rispetto ad un’altra. L’apporto significativo dello studio in questione, pubblicato nella rivista “Frontiers in Psychology”, sta nell’aver fatto luce sulla capacità dei bambini (in tenera età) di dimostrarci che non è “giusto” essere aggressivi verso gli altri, che è peggio colpire un compagno piuttosto che infrangere una regola nel gioco pur di vincere la partita.

È importante capire: come fanno gli esseri umani a distinguere le diverse tipologie di regole? È perché una ci appare più importante di un’altra?

Lo studio, condotto nel 2016, ha coinvolto 66 bambini in età prescolare e 64 studenti universitari. Durante il suo svolgimento, essi sono stati osservati mentre guardavano attentamente due tipi di video: uno in cui delle persone degradavano delle opere d’arte, strappandole e uno in cui i protagonisti violavano le regole di un gioco. La chiave di lettura dell’intera ricerca fa leva sugli occhi (non a caso definiti lo “specchio dell’anima”). La dilatazione delle pupille aumentava in modo scientificamente significativo se la violazione della norma era di tipo morale, in misura minore se di natura convenzionale.

Meltem Youcel, principale autore dello studio, ha altresì evinto che, per quanto questi video avessero la stessa durata, sia i bambini che gli universitari prestavano attenzione in modo diverso a seconda che si riferisse alla vittima della violazione morale (con maggiore signficiatività) o al testimone alla violazione della norma convenzionale.

Il valore dello studio in questione non sta tanto nell’averci spiegato la differenza tra norma morale e non (concetto già molto approfondito negli anni) ma di come i processi affettivi ed emotivi siano coinvolti durante questa distinzione.

In altri termini, questo lavoro, che ha ottenuto l’internazionale riconoscimento Albert Bandura Graduate Research Award come documento di ricerca più significativo del 2020, ci sprona a comprendere, attraverso l’analisi delle misurazioni fisiologiche, a quale età esattamente i bambini riescano ad operare una distinzione così pregnante.

Riferimenti 

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Fantacci Chiara
Psicologa Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Iscritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Lazio dal 15/10/2012 n. 19486. Esperta nel settore dei disturbi in età evolutiva e, in particolare, nell’attività diagnostica finalizzata all’individuazione di aspetti sintomatologici che possano rallentare e/o interferire con il benessere di natura psicologica ed emotiva del bambino. Si occupa, inoltre, del trattamento e di fornire sostegno psicologico a genitori ed insegnanti implicati nel processo di crescita del paziente. Ha conseguito il primo livello di formazione in EMDR e secondo livello in Terapia Metacognitiva Interpersonale dei Disturbi di Personalità.

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