Etero fino a prova contraria: bias di categorizzazione e conseguenze sociali
Etero fino a prova contraria: bias di categorizzazione e conseguenze sociali
L’abilità di fare categorizzazioni è un aspetto psicologico e sociale molto importante: ci permette di fare un discrimine tra il “noi” e gli “altri”, tra coloro che fanno parte del nostro gruppo o gli esterni. Ma se da una parte questo ci aiuta a riconoscere quelli più simili a noi (e quindi, a grandi linee, più affini), dall’altra può perpetuare stereotipi e pregiudizi quando categorizziamo gli altri in gruppi socialmente stigmatizzati, come quello delle minoranze sessuali, contro cui i crimini d’odio non accennano a diminuire.
Lo stigma verso le minoranze sessuali avviene sull’orientamento sessuale percepito, più che su quello reale: nel caso del bullismo scolastico omofobico, per esempio, a essere presi di mira sono gli studenti percepiti come omosessuali o come non aderenti agli stereotipi di genere.
Il cosiddetto gaydar è uno “strumento cognitivo” più fantomatico che reale. In verità, tendiamo a percepire come eterosessuali molte persone che invece non lo sono. In tutti gli studi precedenti sulla categorizzazione in orientamenti sessuali, questo sempre presente “straight categorization bias” (errore di categorizzazione eterosessuale) è stato spesso trascurato: i ricercatori investigavano l’accuratezza del riconoscimento senza far distinzione tra orientamenti e senza approfondire le strategie decisionali dei soggetti. Tale focus potrebbe portare a un’idea incompleta o errata di come le persone categorizzano gli altri dal punto di vista dell’orientamento sessuale, con ricadute sociali importanti.
Una ricerca estensiva mirata all’investigazione su presenza e cause dello straight categorization bias ha delineato sei studi che analizzavano le aspettative sociali dietro la categorizzazione, aspettative sulla proporzione etero-omosessuale nella popolazione generale e sulle caratteristiche fisiognomiche collegate ai due orientamenti. I risultati sono molto interessanti.
Prima di tutto, i soggetti tendevano ad attribuire alle persone più spesso l’orientamento eterosessuale, probabilmente perché quello considerato più diffuso nella vita reale: tenderemmo quindi a sottostimare la presenza di omosessuali anche se ci viene esplicitamente detto quanti sono nel gruppo che osserviamo. Inoltre, per capire l’orientamento sessuale di una persona, ci affidiamo a uno stereotipo che vuole le persone omosessuali più androgine e quelle eterosessuali più visibilmente polarizzate verso gli estremi maschile e femminile secondo le aspettative culturali (euristica di inversione di genere): questa ipergeneralizzazione ha alla base l’erronea sovrapposizione di orientamento sessuale, ruolo di genere e sesso biologico. I soggetti della ricerca categorizzavano, quindi, come omosessuali i volti più androgini: se però venivano esposti a volti ipermascolinizzati prima della fase di categorizzazione, percepivano come omosessuali anche volti più maschili.
Questa ricerca prima di tutto mostra i limiti degli studi precedenti sull’argomento. Inoltre, sembra che la categorizzazione sociale, come altre decisioni fatte in situazioni di incertezza, sia influenzata dalle conoscenze personali (inclusi gli stereotipi), come nella categorizzazione di un aspetto non immediatamente evidente, quale l’orientamento sessuale. Lo studio dal punto di vista di valutazione e decision-making potrebbe aiutare ad approfondire ulteriormente il fenomeno.
Per quanto riguarda l’uso dell’euristica di inversione di genere e l’esposizione a volti ipermascolinizzati che rende meno estrema la polarizzazione omosessuale-androgino, i ricercatori auspicano uno sforzo congiunto tra scienze sociali e visive per un intervento sui media: ipotizzano, infatti, che una maggiore rappresentazione di gay maschili e lesbiche femminili potrebbe ridurre negli spettatori lo stereotipo che vuole l’omosessuale androgino.
Per concludere, questi studi sottolineano come vi sia un’evidente tendenza a categorizzare sconosciuti come eterosessuali, soprattutto se poco androgini. Tutti questi elementi contribuiscono a spiegare la marginalizzazione della popolazione con orientamento omosessuale che, seppure effettiva minoranza, viene ulteriormente percepita come categoria esterna e con caratteristiche diverse da quelle della normalità eterosessuale.
Benino Argentieri