I ragazzi visti da dentro la tv: intervista a Matteo Sintucci, presentatore del programma televisivo per ragazzi Rob-O-Cod
Phto by Scott Webb on Unsplash
Rob-o-cod è stato un programma tramesso la scorsa primavera sul canale Rai Gulp. Chi appartiene alla mia generazione forse ricorderà il programma “Per un pugno di libri”: il format è lo stesso ma i protagonisti dei romanzi più belli della letteratura mondiale hanno lasciato il posto al mondo informatico digitale. I Robocoder, infatti, provenienti dalle scuole di tutta Italia, si sono sfidati su campi di gara ispirati a mondi fantastici, dal medioevale al post apocalittico, dalla fantascienza all’horror.
In questo articolo però l’attenzione non è rivolta ai giudizi e alle riflessioni in merito alla tecnologia ma è lo spazio in cui ho il piacere di trascrivere l’intervista fatta a Matteo Sintucci, attore e presentatore del programma. Classe 1993 e romagnolo doc, Matteo nasce con una formazione teatrale presso il Teatro Stabile di Genova per poi approdare anche al cinema e alla televisione.
Ringrazio Matteo per la sua disponibilità e per darci l’occasione di conoscere il mondo della tv per ragazzi da chi sta “dentro lo schermo”.
Cosa significa per un attore presentare un programma TV per ragazzi? E cosa ha significato per te Rob-o-cod?
E’ una esperienza diversa sia dal fare teatro che dal recitare in televisione, non mi ero mai trovato ad avere a che fare con più di quattro telecamere in contemporanea. E’ più simile ad una coreografia di quanto si crede. Si concordano i movimenti con il regista, si discute di cosa dire e quando, si scelgono le camere che gireranno il “blocco” e poi si comincia.
All’interno del programma, io sono il maggiordomo di casa, mi occupo di fare stare bene i giocatori ed il pubblico. Mi diverto. Robocod ha un ampio sguardo sulla gamma 11-14 anni ma, più precisamente, parla a quei ragazzi interessati all’informatica, matematica, robotica, intelligenze artificiali, eccetera. Per me questo programma è una scommessa perché mi rendo conto che premiare questo genere di dedizioni nei ragazzi è coraggioso e anche piacevolmente fuorimoda. Ci si aspetta che chi conosce l’ambiente lo possa approfondire divertendosi e chi non lo conosce ne rimanga affascinato guardando le prodezze dei piccoli giocatori quando si tratta di stringhe di codice e di strategia.
Tenendo conto di una prospettiva dall’ interno, cosa è cambiato a tuo avviso nei format dei programmi per ragazzi? E’ ancora possibile legare il concetto di tv al solo “schermo grande” del salotto di casa?
Conosco solo una piccola parte del mondo della TV dei ragazzi, ma posso ipotizzare che con l’arrivo della fruizione di contenuti online i ragazzi siano orientati più sullo schermo del computer che su quello di una televisione. Quella che stiamo vedendo in questo periodo è una televisione che ha capito che “deve darsi una mossa”, una televisione in corsa per ammodernarsi.
Credo che da questo possano nascere molte possibilità, non so se tutte verranno colte, comunque sia pro e contro, saremo lontani da quei programmi per ragazzi che a chiusura dicevano al telespettatore “ora spegni la tele, vai a leggere un libro”.
Nel programma che presenti c’è il pubblico dal vivo: Trovi delle differenze rispetto a quando avevi la loro età?
Il me tredicenne e il pubblico di Robocod in comune hanno l’esuberanza, i sorrisi coi denti un po’ storti e l’euforia di essere fuori dalla scuola e di averla scampata, magari, ad una interrogazione. Sia al me tredicenne che a loro capita di dire delle cavolate, di fare casino senza ragione, di non sapere gestire le rivoluzioni del loro mondo interiore, di emozionarsi tanto da rimanere immobili ad arrossire. Il me tredicenne non ti chiedeva l’account di Instagram, ma ti chiedeva Msn, non sapeva i balletti di Fortnite, ma sapeva giocare a Magic, e forse non avrebbe riso davanti ad un meme, per quello c’era Bastardidentro.it. Erano ragazzi e “so’ ragazzi”, insomma. Ma una differenza l’ho trovata, è sempre la prima che mi viene in mente. Mai così spesso, per la continuità di un mese, ho sentito tante volte la parola “ansia”. Non ho praticamente ricordi che fosse mai un adulto a pronunciarla, erano sempre i ragazzi.
Rispetto alla tua esperienza, quali pensi siano gli ingredienti giusti per entrare in sintonia con i ragazzi oggi?
Conoscere il loro mondo. Per me è stato facile perché non mi ci sono mai davvero scollato. Non gioco ai videogiochi ma mi tengo informato su cosa succede, mi piace l’elettronica, gettare uno sguardo vergine alle vastità dei campi scientifici che trattano i robot, l’intelligenza artificiale.
In più siamo fruitori molto simili di vari prodotti di intrattenimento: Breaking Bad, Stranger Things, Adventure Time e Steven Universe.
Diciamo che credo che la linea di demarcazione che separa i ragazzi dagli adulti sia meno profonda di quanto fosse prima e che se uno fosse disposto a fare un passo verso l’altro non troverebbe più il vuoto sotto ai suoi piedi.
Cosa ti ha lasciato dentro a livello professionale e umano lavorare con e per i ragazzi?
All’inizio avevo paura al pensiero di dovermi trovare davanti ai ragazzi, tutti i giorni, per un mese.
Non sapevo bene cosa avrei potuto dire loro, in che modo: come sarei risultato? Simpatico?
Poi man mano ho capito che basta mollare i freni, eliminare la ricerca di un risultato e pensare a divertirsi. Purtroppo è più facile a dirsi che a farsi, ma quando ci si riesce e ci si trova in quella situazione in cui ti permetti di divertirti, allora a risponderti troverai ragazzi che si divertono con te. In quei momenti in tempo vola.
Sitografia
- https://www.rai.it/raigulp/news/2019/04/Rob-o-Cod-c82fd814-8153-4696-844b-99c0f479d8cb.html