Il contributo della mindfulness nel trattamento dei partner violenti

Il contributo della mindfulness nel trattamento dei partner violenti

contributo della mindfulness nel trattamento dei partner violenti. Ecco la pagina in cui si affronta nello specifico questo tema

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Il termine “violenza di genere” descrive tutte le forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dallo stalking allo stupro rivolte verso le donne. Tale costrutto comprende anche le mutilazioni genitali femminili, i delitti d’onore e la tratta di donne (WHO, 2013). Nel mondo le donne vittime di violenza sono circa il 35% della popolazione e nel 30% dei casi si parla di violenza domestica.

La violenza domestica è definita come la minaccia o l’uso di violenza fisica, psicologica e/o emotiva con l’intenzione di infliggere un danno o esercitare potere e controllo sulla vittima. Tale forma di violenza viene esercitata da un membro dell’ambiente domestico della vittima: un partner, un marito, un ex marito o ex partner, un familiare, un amico o un conoscente. Di norma, tale forma di violenza non descrive un singolo evento violento ma piuttosto un sistema di violenze complesso e perpetuato nel tempo che può caratterizzarsi anche per una compresenza delle diverse forme di violenza.

I dati del rapporto formulato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la violenza sulle donne è un fenomeno i cui numeri continuano ad aumentare nel corso degli anni. Essere vittima di violenza può comportare conseguenze sulla salute della donna a breve, medio o lungo termine. Questi effetti possono essere più o meno gravi: femminicidio, lesioni fisiche, gravidanze indesiderate, uso/abuso di alcol, disturbi psicosomatici e altri disturbi psicologici.

Tra le conseguenze psicologiche della violenza domestica numerosi studi hanno citato: depressione, ansia, attacchi di panico, nervosismo, insonnia, difficoltà di concentrazione, paura dell’intimità e calo di autostima. In particolare la letteratura mostra che il 37% delle donne vittime di violenza soffre di depressione, il 46% di ansia e/o attacchi di panico e il 45% ha un disturbo post-traumatico da stress (PTSD) (Flury, Nyberg, 2010).

Un nuovo studio pubblicato su “BCM psychiatry” e condotto da Nesset e colleghi ha rivolto l’attenzione al fenomeno ponendosi dal punto di vista dell’autore della violenza.

I fattori che spingono una persona ad agire in maniera violenta sono complessi e molteplici. Due di essi sembrano essere prevalenti: la disuguaglianza sociale nei confronti delle donne e l’uso normativo della violenza nella gestione dei conflitti. Senza nessuno di questi fattori, la violenza domestica potrebbe non verificarsi. Inoltre, questi elementi possono interagire con una rete di cause complementari che si traducono nella violenza. Ad esempio le ideologie della superiorità maschile legittimano l’uso della forza da parte degli uomini verso le donne (Jewkes, 2002).

Nel lavoro con gli autori della violenza la terapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata estremamente efficace per affrontare la rabbia disfunzionale e i comportamenti violenti. In particolare, si lavora sulle credenze disfunzionali che generano affetti negativi, motivazioni, comportamenti e risposte fisiologiche. La TCC può aiutare il partner violento a riconoscere i modelli di pensiero distorti e a migliorare la regolazione delle emozioni.

Lo studio condotto da Nesset e colleghi (2020) aveva come obiettivo valutare gli effetti della terapia cognitivo-comportamentale in un campione di uomini violenti nei confronti delle loro compagne. I partecipanti nel gruppo sperimentale hanno ricevuto due sessioni individuali e 15 sessioni di gruppo di terapia cognitivo-comportamentale. In questo intervento i ricercatori si sono concentrati sulle strategie di cambiamento comportamentale, sulla ristrutturazione cognitiva, la modifica delle convinzioni e degli schemi mentali e sulla prevenzione delle recidive di comportamenti violenti. I primi cinque incontri sono stati di psicoeducazione sulla rabbia e su come elaborare le risposte comportamentali. I restanti incontri sono stati di esercitazione sulle capacità di comunicazione e di risoluzione dei conflitti.

I soggetti del gruppo di controllo invece ricevevano 16 ore di intervento di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR). Lo scopo del programma basato sulla mindfulness era quello di insegnare ai partecipanti a riconoscere i pensieri negativi senza, però, evitarli. Mirava, inoltre, a migliorare la consapevolezza delle proprie sensazioni corporee nelle situazioni che provocano rabbia o nervosismo.

I risultati dello studio hanno mostrato che entrambi gli interventi (TCC e MBSR) sono efficaci nel trattamento dei partner violenti. Infatti, i partecipanti ad entrambi i gruppi al follow-up a 12 mesi hanno riportato una riduzione della violenza sia fisica che sessuale, senza alcune differenze tra i gruppi. Per quanto riguarda la violenza psicologica la riduzione è stata meno ampia per entrambi i gruppi probabilmente perché questa forma di violenza potrebbe essere più difficile da affrontare e da trattare.

Riferimenti

  • Flury, M., & Nyberg, E. (2010). Domestic violence against women: definitions, epidemiology, risk factors and consequences. Swiss medical weekly, 140(3536).
  • Jewkes, R. (2002). Intimate partner violence: causes and prevention. The lancet, 359(9315), 1423-1429.
  • Nesset, M. B., Lara-Cabrera, M. L., Bjørngaard, J. H., Whittington, R., & Palmstierna, T. (2020). Cognitive behavioural group therapy versus mindfulness-based stress reduction group therapy for intimate partner violence: a randomized controlled trial. BMC psychiatry, 20, 1-11.
  • World Health Organization. (2013). Global and regional estimates of violence against women: prevalence and health effect of intimate partner violence and non-partner sexual violence. Department of Reproductive Health and Research, London School of Hygiene and Tropical Medicine: South African Medical Research Council, 2-33.

Autore/i dell’articolo

Rita Massaro
Psicologa, iscritta all’Ordine degli Psicologi della Campania dal 27/01/2020 n° 8632. Svolge il ruolo di Research assistant occupandosi di raccolta dati nell’ambito di progetti di ricerca con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi della Campania. Collabora con l’Istituto Beck come tutor d’aula presso la sede di Caserta. Ha preso parte a progetti di prevenzione del disagio giovanile presso scuole primarie superiori e scuole secondarie del territorio. Ha svolto attività di tirocinio presso il servizio Materno Infantile dell’ASL di Caserta e un Centro di riabilitazione neuromotoria per minori.

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