L’impatto dell’omofobia sociale sull’espressione genetica

L’impatto dell’omofobia sociale sull’espressione genetica

L’impatto dell’omofobia sociale sull’espressione genetica

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Introduzione

Un numero purtroppo sempre troppo alto di persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ ha subito o sta subendo ancora oggi, esperienze di omofobia sociale. I fatti di cronaca continuano a rendere orribilmente attuale questo fenomeno e le continue discussioni politiche sull’argomento non fanno altro che confermare a tutta la comunità il diffuso pensiero di essere mal tutelati persino dal proprio Stato (basti considerare che nel nostro Paese sono ancora molto accese le discussioni sull’approvazione del DDL Zan). A sostegno di ciò, la European LGBT Survey nel 2019 ha intervistato un numero significativo della popolazione omosessuale italiana osservando che il 92% dei partecipanti “non si sente tutelato dallo stato” e che il 40% si è sentito vittima di omofobia in ambiente lavorativo o scolastico.

Uno studio americano pubblicato nel 2020 sulla rivista “Brain Behavior and Immunity” si è soffermato ad indagare come, esperienze ripetute di vittimizzazione omofobica (intesa come quell’insieme di abusi verbali o fisici, singoli o ripetuti, che rendono una persona vittima di omofobia sociale) possano impattare sulla vita di un individuo, andando addirittura ad alterare alcuni particolari meccanismi genetici.

I geni racchiudono in sé tutte le informazioni che ci costituiscono e regolano processi importantissimi per la nostra salute fisica e mentale. Studi recenti hanno già dimostrato come stress ripetuti possano andare ad alterare alcuni pattern genetici, ovvero dei piccoli segmenti di uno o più geni, tra cui uno particolare chiamato CTRA (Brown et al., 2019; Cole, 2019; Levine et al., 2017; Thames et al., 2019). Il pattern genetico CTRA è in grado di alterarsi se l’individuo è sottoposto particolari avversità (come l’emarginazione sociale o la povertà) andando a “sovraesprimersi”, ovvero a funzionare in maniera disregolata. Numerosi studi hanno dimostrato che, oltre ad essere particolarmente coinvolto nella regolazione della risposta immunitaria, la sovraespressione del pattern genetico CTRA è correlata all’insorgenza di malattie quali il diabete di tipo II, l’arteriosclerosi e il cancro (Cole, 2019; Flentje et al., 2018; Fredrickson et al., 2013; Powell et al., 2013) ma anche allo sviluppo di malattie psichiatriche come l’ansia e la depressione (Dantzer et al., 2008; Sloan et al.,2007). Gli autori si sono posti come obiettivo quello di studiare se il pattern genetico CTRA possa andare incontro ad una sovraespressione anche in tutti quei soggetti vittime di omofobia sociale ripetuta nel tempo.

Metodi

Lo studio ha preso come campione di riferimento una popolazione di 70 partecipanti omosessuali maschi di etnie diverse (42 neri e 38 bianchi-latini) che sono stati sottoposti ad assessment clinico (sono stati raccolti i dati anagrafici e le principali esperienze di vita dei soggetti). Per escludere che l’espressione del pattern CTRA fosse influenzata da altre variabili, è stato chiesto ai partecipanti, oltre se avessero subito esperienze di vittimazione omofobica (vissute negli ultimi 12 mesi) anche quale fosse la loro etnia, la loro condizione lavorativa (occupato/disoccupato), la loro abitudine al fumo, se facessero abuso di alcol, se vivessero in un ambiente domestico instabile (inteso come la non accettazione del proprio orientamento sessuale da parte di un coabitante)  e quale fosse il loro indice di massa corporea. Contemporaneamente, sono stati condotti dei prelievi di tessuto sanguigno dal quale è stato possibile valutare l’eventuale sovraespressione del pattern CTRA. 

Risultati

Lo studio ci mostra inizialmente una fotografia del campione; dei 70 partecipanti, circa il 53% dichiarava di essere stato vittima di omofobia negli ultimi 12 mesi, il 61% era disoccupato, il 40% aveva subito instabilità domestica e la maggior parte non faceva abuso di alcol né aveva l’abitudine al fumo. Gli autori hanno correlato inizialmente la sola variabile di vittimizzazione omofobica alla sovraespressione del pattern CTRA; successivamente, sono state poi correlate tutte le variabili insieme per valutarne l’interazione.

I risultati mostrano che, in entrambe i casi, episodi ripetuti di vittimizzazione omofobica alterano significativamente il pattern genetico CTRA mentre tutte le altre variabili non sembrano avere un impatto significativo. Curiosamente, solo la variabile “etnia” insieme a quella di “vittimizzazione omofobica” ha mostrato un’interazione significativa al CTRA, confermando come questo pattern genetico risponda anche da altri tipi di discriminazione, come quella etnica; tuttavia, confrontando l’impatto delle due discriminazioni subite (orientamento sessuale vs etnia) sul pattern CTRA, è emerso come l’effetto fosse maggiore nei soggetti che erano stati vittime di omofobia sociale rispetto a quelli che erano stati vittime di discriminazione etnica.

Conclusioni

Lo studio dimostra come essere vittima di omofobia sociale per un periodo di tempo considerevole aumenti la sovraespressione del pattern genetico CTRA, indipendentemente da variabili sociodemografiche, comportamentali e biologiche. Gli autori sottolineano quindi come, la maggiore presenza di malattie psichiatriche e patologie croniche sperimentate da una grande parte della popolazione omosessuale (Bouris et al., 2016; Flynn et al., 2016; Hatzenbuehler, 2014; Hatzenbuehler et al., 2008; Hoy-Ellis and Fredriksen-Goldsen, 2016; Kosciw et al., 2018) possa avere anche un correlato biologico che sostiene tale sintomatologia. I risultati di questo lavoro devono farci riflettere non solo sull’enorme impatto che le esperienze di omofobia sociale hanno sul benessere psicofisico di un individuo ma, come concludono gli autori, su quanto sia “necessario un intervento su più livelli: uno a livello istituzionale, che possa portare ad una diminuzione dello stigma verso l’omosessualità e l’altro da un punto di vista psicologico-farmacologico che possa attenuare l’azione di pattern biologici come quello del CTRA e possa portare ad un miglioramento della qualità della vita su questa parte di popolazione discriminata”.   

 

 

BIBLIOGRAFIA

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