L’importanza del social signaling negli interventi RO DBT
Pandemia, misure di prevenzione e protezione e loro effetti sulla nostra esperienza affettiva e sociale
Mai come in questo momento storico, alle prese con la più grave pandemia dei tempi moderni che ha richiesto, tra le misure di prevenzione e protezione messe in campo per gestire e contenere l’emergenza sanitaria, l’utilizzo di mascherine facciali e il distanziamento sociale, emerge con evidenza l’importanza dei segnali sociali per la vita affettiva e relazionale delle persone. Secondo uno studio dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) pubblicato su Frontiers in Psychology, ad esempio, i bambini tra i 3 e i 5 anni sarebbero in grado di riconoscere le espressioni facciali che esprimono felicità, tristezza paura e rabbia, quando coperte dalla mascherina, solo nel 40% dei casi[1], con tutto ciò che ne potrebbe conseguire per il successivo sviluppo del ragionamento sociale ed emotivo, nonché delle loro abilità sociali[2]. Più “ottimistico” lo studio condotto dal Laboratorio di Neuroscienze Cognitive Sociali del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma, pubblicato su Nature Scientific Reports: è risultato che i partecipanti non soltanto riconoscono le emozioni di felicità e rabbia anche quando i volti sono parzialmente coperti, ma che l’uso di un DPI[3]appropriato ed efficace come la mascherina porterebbe addirittura a ridurre la distanza reciproca, con l’effetto di promuovere la relazione interpersonale[4].
Il social signaling e un approccio che ne fa obiettivo e strumento d’intervento
Con social signaling ci si riferisce a tutti quei processi finalizzati alla produzione, appunto, di segnali sociali, cioè di qualsiasi azione o comportamento manifesto, indipendente dalla sua forma, intento o consapevolezza di chi l’esegue, compiuto in presenza di un’altra persona: gesti, posture, tono della voce, espressioni del volto. Proprio grazie a queste complesse abilità di segnalazione sociale, secondo i teorici evoluzionisti, gli esseri umani avrebbero acquisito il prezioso vantaggio evolutivo di cooperare con altri individui con cui non erano legati da rapporti di parentela genetica, garantendosi la sopravvivenza in ambienti ostili. Tornando ai nostri tempi e, più precisamente, nell’ambito della RO DBT[5], un recente e innovativo approccio specificamente dedicato a disturbi caratterizzati da un eccessivo controllo inibitorio anche nell’espressione emotiva, che talvolta può apparire come insincera, si insegna ai pazienti che sono soliti reprimere l’emotività (perché bio-temperamentalmente predisposti o perché hanno appreso a farlo) le abilità di social signaling per creare connessioni con gli altri, e come attivare il sistema di sicurezza sociale, associato a sentimenti di contentezza e coinvolgimento sociale. La teoria alla base della RO DBT, infatti, postula che gli individui iper-controllati (con problemi cronici come, per esempio, la depressione refrattaria, l’anoressia nervosa, il DOCP[6]), in ragione della loro naturale tendenza a mascherare i sentimenti interni, abbiano meno probabilità di formare stretti legami sociali con gli altri. Magari oggi non ne è in gioco la sopravvivenza, ma il rischio d’incorrere in isolamento sociale, solitudine e disagio psicologico sì. Immaginate, ad esempio, una persona che, ad una festa, si mantiene ai margini delle conversazioni ed esibisce un’espressione vuota o imbronciata: presumibilmente anche gli altri, frustrati dall’assenza o dalla bassa frequenza dei cosiddetti segnali prosociali attesi o consuetudinari, come un sorriso, piuttosto che interagirci, preferiranno non avvicinarsi; a sua volta, memore di ripetute interazioni sociali spiacevoli, l’invitato iper-controllato sarà più propenso ad interpretare stimoli sociali neutrali o ambigui provenienti dagli altri (un’espressione accigliata del volto, un commensale che lo supera, schivandolo ecc.) come segni di disapprovazione o antipatia, generando un circolo vizioso che può culminare, nel lungo periodo, in ripetute esperienze di ostracismo sociale, rifiuto ed esclusione, con le conseguenze di cui sopra. Le sessioni di terapia individuale – un contesto in cui non soltanto è concessa, ma è fortemente incoraggiata la libera espressione delle emozioni – potrebbero essere per il paziente abituato a reprimersi la prima ed unica occasione per sperimentare delle esperienze di sicurezza sociale e modellare stili espressivi più efficaci, soprattutto grazie alle abilità degli stessi terapeuti di utilizzare in maniera diretta e autentica il proprio comportamento non verbale.
Riferimenti sito-bibliografici
- Calbi, M., Langiulli, N., Ferroni, F., Montalti, M., Kolesnikov, A., Gallese V., Umiltà M.A. (2021), The consequences of COVID-19 on social interactions: an online study on face covering, Scientific Reports vol. 11: 2601.
- Gilbert, K., Hall, K. & Codd, T. (2020). Radically Open Dialectical Behavior Therapy: Social Signaling, Transdiagnostic Utility and Current Evidence. Psychology Research and Behavior Management, 13: 19-28.
- Lynch, T.R. (2018). The Skills Training Manual for Radically Open Dialectical Behavior Therapy: A Clinician’s Guide for Treating Disorders of Overcontrol. Reno, NV: Context Press, an imprint of New Harbinger Publications, Inc.
- Marean, C. W. (2015) How Homo sapiens became world’s dominant species, Scientific American, 313(2).
[1] Per ulteriori approfondimenti, puoi leggere anche i nostri articoli ai link: https://www.istitutobeck.com/beck-news/utilizzo-delle-mascherine-e-riconoscimento-emotivo-nei-bambini e https://www.istitutobeck.com/beck-news/percezione-facciale.
[2] Più precisamente dal team di ricerca U-Vip (Unit for Visually Impaired People), composto da Monica Gori, coordinatrice, insieme con Lucia Schiatti e Maria Bianca Amadeo (https://www.iit.it/web/unit-for-visually-impaired people#:~:text=The%20main%20aim%20of%20the,motor%20signals%20develops%20during%20childhood.)
[3] Dispositivi di Protezione Individuale.
[4] L’articolo per intero al link: https://www.nature.com/articles/s41598-021-81780-w.
[5] Radically Open Dialectical Behavior Therapy.
[6] Disturbo di personalità ossessivo compulsivo.