Dopo la dieta riprendete peso? Scoperto il ruolo del contesto
Dopo la dieta riprendete peso? Scoperto il ruolo del contesto
Siamo a un mese dai festeggiamenti a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno e probabilmente ancora lamentiamo quei chili di troppo. Si calcola che in questo periodo ognuno di noi accumuli dai 2 ai 4 chili. La combinazione fatale di fattori include sicuramente gli eccessi dei giorni di festa, la maggiore sedentarietà tipica della vacanza e la cattiva abitudine di mangiucchiare durante tutto l’arco della giornata, con il pericolo di ingurgitare soprattutto quello che di Natale e Capodanno è più a portata di mano, ovvero dolci e dolcetti.
Molti di noi, comunque, hanno già cominciato una dieta per ritornare al proprio peso forma, in parte come buon proposito per il nuovo anno. Molto probabilmente saremo anche bravi a controllare quello che mangiamo durante una dieta, grazie ai consigli di un nutrizionista, il supporto di un’amica, la motivazione iniziale. Il problema arriva sul lungo periodo, ovvero quando la dieta finisce (o la interrompiamo noi): è proprio allora che corriamo il pericolo di vanificare tutti gli sforzi fatti, non controllando più quello che mettiamo nel piatto.
Alcuni ricercatori (Schepers & Bouton, 2017) hanno infatti ipotizzato che l’inibizione ad alimentarsi appresa nel momento della dieta sia specifica per quel contesto: cambiando le condizioni, l’inibizione si indebolirebbe notevolmente. Le condizioni di cui parlano non sono solo i fattori esterni, ma anche quelli interni come il senso di sazietà o pienezza: mangeremmo, cioè, quando ci sentiamo sazi. Proviamo a spiegare la loro teoria.
L’importanza del contesto nei processi comportamentali è evidente nel caso del rinnovamento, ovvero la risposta comportamentale al cambiamento di contesto dopo che un comportamento è stato soppresso o inibito. Per esempio, appunto, apprendiamo a non mangiare troppo nonostante le sensazioni di fame durante una dieta e, finita la dieta (cambiamento del contesto), anche il nostro comportamento cambia: potremmo essere portati a mangiare di più. La sensazione di pienezza, infatti, può essere uno stimolo a mangiare più del necessario. Questo effetto yo-yo sembra avere dei freni che funzionano selettivamente soprattutto per le persone che già hanno la tendenza a mangiare oltre la sazietà.
Occorrerebbe, quindi, relazionarsi in maniera diversa col cibo e fare più attenzione alle sensazioni che vengono dall’interno. Per questo può venirci in aiuto la mindful eating, ovvero l’applicazione dei principi della Mindfulness all’alimentazione. Rivolgendo la nostra attenzione a quello che mangiamo, oltre al modo in cui mangiamo, ci aiuta a identificare e riconoscere le sensazioni di sazietà e fame, slegandole da abitudini e tendenze personali.
E anche da emozioni che nulla hanno a che fare con il pasto: stiamo parlando della cosiddetta fame emotiva, ovvero quando a spingerci a mangiare non è la fame ma uno stato emotivo: ansia, tristezza, noia, rabbia. Spesso vengono scelti cibi che non hanno nulla di sano, i cosiddetti cibi spazzatura, pieni di grassi e zuccheri, che non andranno a soddisfare una necessità fisiologica di nutrienti ma un bisogno emotivo che in quel momento ci sta guidando verso il frigorifero.
Se non siamo consapevoli di questi meccanismi, essi continuano a far parte del nostro comportamento automatico. I risultati suggeriscono che gli stimoli enterocettivi di privazione del cibo possono giocare il ruolo del contesto nel controllo della ricerca di cibo. Se siamo stati precisi nella restrizione alimentare durante la dieta, dobbiamo quindi porre maggiore attenzione proprio quando torniamo al regime alimentare normale.
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Mindful Eating – Riferimenti:
- La fame come fattore di contesto
- Cos’è la Mindfulness