Le basi neurali dell’interazione medico-paziente

Le basi neurali dell’interazione medico-paziente

basi neurali dell’interazione medico-paziente

Photo by rene-asmussen on Pexels

Che l’interazione medico-paziente rappresenti un fattore fondamentale nell’esito del trattamento è ormai assodato. Quando l’interazione è positiva, ne risentono la fiducia reciproca, l’aderenza al trattamento e i risultati ottenuti. Se l’interazione non è ottimale, invece, la comunicazione medico-paziente ne risente, comportando spesso sfiducia e scoraggiamento del paziente e bornout del medico. Inoltre, sembra che la relazione che si instaura spieghi anche effetti mediati psicologicamente come il placebo.

Solitamente, però, questa interazione viene descritta e considerata come qualcosa di intangibile, mentre una comprensione scientificamente fondata del fenomeno (ossia dei meccanismi neurobiologici e comportamentali implicati), può fornire informazioni importanti che permettono di sfruttare al meglio il potenziale insito nel processo stesso.

Lo studio descritto ha voluto approfondire il rispecchiamento paziente-clinico nelle espressioni facciali e la concordanza dell’attività cerebrale tramite risonanza magnetica funzionale (fMRI). Entrambi i fattori sono stati considerati possibili meccanismi alla base delle interazioni.

Soggetti

Sono state coinvolte 23 pazienti di sesso femminile con diagnosi di fibromialgia, trattate con agopuntura per almeno un anno da 22 medici (dei quali 15 donne).

Ciascuna diade è stata assegnata ad una delle due condizioni.

Condizione 1: interazione clinica

Il medico ha incontrato il paziente per la presa in carico prima della sessione di scansione fMRI, per consentire alla diade di stabilire un rapporto clinico.

Condizione 2: nessuna interazione

Nella seconda condizione, quella di controllo, paziente e medico si sono incontrati per la prima volta solamente in occasione della fMRI.

Ipotesi

È stato ipotizzato che la concordanza dell’attività cerebrale dinamica sarebbe stata migliore per l’interazione clinica (condizione 1).

Procedura

Medico e paziente sono stati posizionati in due diversi scanner fMRI, collegati tramite un sistema audio-video per consentire la comunicazione tra i due. Sono state quindi utilizzate immagini video per estrarre le metriche di espressione facciale fotogramma per fotogramma.

Il medico aveva a disposizione una pulsantiera per applicare il trattamento di elettroagopuntura. Dopo ogni prova sono stati valutati il ​​dolore e gli affetti correlati del trattamento.

Dopo un periodo di riposo, a entrambi i partecipanti veniva mostrato un segnale visivo per indicare se il successivo stimolo doloroso sarebbe stato trattato (cornice verde) o non trattato (cornice rossa) dal medico. Questi segnali ponevano i medici a prepararsi ad applicare o non applicare il trattamento, evocando la corrispondente anticipazione per il paziente (di essere trattati o no). Dopo il segnale di anticipazione, è stato applicato un dolore da pressione moderatamente doloroso alla gamba sinistra del paziente, mentre il medico ha applicato o non ha applicato il trattamento, rispettivamente. Dopo un secondo periodo di riposo, i partecipanti hanno valutato il dolore (pazienti), il dolore indiretto (medici) e l’emozione (entrambi).

Risultati

I ricercatori hanno identificato il presunto meccanismo cerebrale-comportamentale che supporta la relazione paziente-medico, ed hanno anche supposto il modo in cui esso possa influenzare i risultati clinici.

La concordanza nell’attività cerebrale implicata nel rispecchiamento sociale era migliore nella condizione 1, ossia dopo la creazione di un’alleanza terapeutica attraverso l’interazione clinica. Questa concordanza cerebrale è stata associata ad un effetto analgesico maggiore, mediato dall’attivazione dei circuiti di modulazione del dolore nel paziente. Per di più, un miglior rispecchiamento facciale tra pazienti e medici è stato associato a una più forte alleanza terapeutica e una maggiore analgesia nel trattamento del dolore.

Dai dati è emerso che i circuiti cerebrali implicati nel rispecchiamento sociale durante l’anticipazione del dolore e del trattamento erano attivati ​​sia nei pazienti che nei medici solamente nella condizione 1, dimostrando che tale concordanza dinamica cervello-cervello fosse sensibile alla modulazione della relazione clinica.

Sono emerse inoltre notevoli differenze nella corrispondenza tra l’intensità del dolore del paziente e la stima del medico del dolore del paziente; per le diadi in cui il clinico valutava il dolore in modo più accurato, il paziente mostrava un maggiore sollievo dal dolore.

Un aspetto centrale riguarda il motivo per il quale la concordanza del cervello e il rispecchiamento comportamentale si manifestano nell’interazione clinica e siano vantaggiosi per i pazienti. Una spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che il rispecchiamento comportamentale e la sincronia possano causare concordanza cerebrale/fisiologica che, promuovendo uno stato affettivo-motivazionale positivo, porta a una maggiore analgesia. Da una prospettiva evoluzionistica, ricordiamo che l’appartenenza sociale segnala supporto, assistenza e sicurezza. Lo stato affettivo-motivazionale indotto dalla concordanza cerebrale può quindi segnalare la cura e la sicurezza per il paziente e ridurre l’avversività/minaccia percepita e, di conseguenza, l’intensità dello stimolo doloroso nel contesto clinico.

Studi futuri longitudinali potrebbero chiarire meglio come la concordanza del cervello e l’alleanza terapeutica si sviluppino nel tempo e come ciò contribuisca ai risultati nel trattamento del dolore cronico.

 

 

Riferimenti

Autore/i dell’articolo

Dott. De Gabrielis Gabriele
Psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, psicoterapeuta TMI (Terapia Metacognitiva Interpersonale). Ha conseguito il I livello della formazione in EMDR. Ha svolto la sua attività in diversi contesti: strutture semiresidenziali, centri clinici, U.O.C. Tutela Salute Donna ed Età Evolutiva – ASL Roma 2, U.O.C. Psichiatria – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Da anni si dedica allo studio dei sistemi motivazionali nell’ottica cognitivo-evoluzionista contribuendo, attraverso diverse ricerche, allo sviluppo della Teoria Evoluzionistica della Motivazione (TEM). Attualmente collabora in qualità di psicologo e psicoterapeuta presso l’Istituto A.T. Beck di Roma.

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