Leadership antisociale VS prosociale: quando il leader compete per se stesso

Leadership antisociale VS prosociale: quando il leader compete per se stesso

Leadership antisociale

Photo by Riccardo Annandale on Unsplah

Leader si nasce?

Innanzitutto, leader non si nasce, ma si diventa. Una buona leadership si sviluppa infatti attraverso un processo senza fine che comprende studio di sé, training, formazione ed accumulo di esperienza. Infatti, è sempre più diffusa l’idea secondo la quale per essere un bravo leader occorra avere esperienza, conoscenza, coinvolgimento, pazienza e, più di tutto il resto forse, la capacità di negoziare con gli altri per raggiungere gli obiettivi.

Al di là dei diversi stili di leadership, un bravo leader ispira, motiva, dirige, al fine di facilitare il raggiungimento degli obiettivi del gruppo.

Argomento complesso e multisfaccettato significa numerose teorie a riguardo, con molti punti in comune e molti altri no. Tra le teorie maggiormente condivise viene sostenuto che in qualche misura la leadership sia un processo che implica l’indurre un gruppo di persone al raggiungimento di obiettivi. Insomma, in ogni caso si tratta di avere un leader e dei seguaci del leader in questione.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crescente ricerca sui diversi stili di leadership in relazione a stili competitivi e focalizzati su di sé rispetto a stili prosociali, cooperativi e compassionevoli. La ricercatrice Jaskaran Basran ha recentemente portato a termine il suo progetto di ricerca che esamina la relazione tra stili di leadership prosociale e antisociale ed alcune dimensioni quali paura della compassione, sicurezza dell’attaccamento e stili di comportamento competitivo.

Obiettivi

L’ipotesi di partenza era che gli stili antisociali sarebbero risultati correlati a atteggiamenti ipercompetitivi, tratti narcisistici, sforzo per colmare l’insicurezza, paura della compassione, stile di attaccamento evitante e sentirsi socialmente insicuri. Al contrario, è stato ipotizzato che lo stile di leadership prosociale mostrasse uno schema totalmente opposto. 

Metodi

Inizialmente sono stati raccolti i dati demografici dei 219 partecipanti allo studio: genere, età, corso di studi universitario. Successivamente sono stati somministrati diversi questionari self-report:

  • Narcissistic Personality Inventory (valutazione di tratti narcisistici di personalità)
  • Friendship Compassionate, and Self-Image Goals (valutazione di obiettivi compassionevoli e obiettivi legati all’immagine di sé)
  • Striving to Avoid Inferiority Scale (valutazione delle credenze sullo sforzo di competere per evitare sentimenti di inferiorità o rifiuto da parte degli altri in caso di fallimento)
  • Experiences in Close Relationships Scale (valutazione dello stile di attaccamento evitante e ansia)
  • Social Safeness and Pleasure (SSPS) Scale (misura in cui gli individui sentono un senso di calore, accettazione e connessione nelle relazioni sociali)
  • Hypercompetitive Attitudes (HCA) Scale (valutazione della competitività)
  • The Rank Style With Peers Questionnaire (valutazione dello stile di leadership dominante, costruzione della coalizione e “autoavanzamento spietato”)
  • Fears of Compassion (timore di esprimere compassione per gli altri, paura di ricevere compassione dagli altri e timore di compassione per se stessi)

Risultati

Mentre gli stili di leadership prosociale si concentrano sui bisogni e sulle difficoltà degli altri, con l’intenzione di essere utili piuttosto che dannosi, gli stili di leadership antisociali hanno un’insopportabile indifferenza verso i bisogni e le difficoltà degli altri e tendono ad essere dannosi pur di difendere la loro posizione.

Dai risultati sembra che lo stile di leadership antisociale adotti le sfide della competizione per le risorse con uno stile basato sulla minaccia e sulla competitività focalizzata su di sé per trovare uno status ed una posizione sociale nel mondo. In effetti, ci sono leader che utilizzano minacce per ottenere supporto o per mettere a tacere i dissensi, mostrandosi spesso insensibili al danno che potrebbero causare adottando metodi coercitivi. Solitamente, infatti, hanno effetti distruttivi sul gruppo. Di contro, lo stile di leadership prosociale è associato invece ad obiettivi compassionevoli e al sentirsi socialmente sicuri ed accettati.

Limiti e ricerca futura

Trattandosi di uno studio trasversale condotto con una popolazione studentesca, sorgono problemi di generalizzabilità. Gli studi successivi dovrebbero coinvolgere persone che ricoprono posizioni di leader. Inoltre, potrebbe essere auspicabile lo sviluppo di strumenti di misura specificamente progettati per confrontare la leadership prosociale e antisociale, piuttosto che basarsi su misure progettate per altri scopi. Non sono state esplorate le variazione legate al genere, che potrebbero invece avere un ruolo da non sottovalutare; infatti, lo studio ha coinvolto una percentuale maggiore di femmine rispetto ai maschi (139/80).

Numerose altre variabili che non sono state prese in considerazione nello studio sono importanti in relazione allo stile di leadership: per esempio empatia, regolazione delle emozioni e ragionamento morale potrebbero essere dimensioni studiate nelle future ricerche.

In conclusione ci sono molte ragioni per cui le persone competono per status sociale, risultati, obiettivi e risorse. Uno di questi è basato sulla minaccia, per evitare di essere resi inferiori, emarginati o rifiutati attivamente. È importante sottolineare che, così come evidenziato dallo studio, vi è una forte correlazione tra lo stile di leadership antisociale e il tentativo di evitare l’inferiorità e le relative paure di perdere, essere trascurato e rifiutato. In un ambiente altamente competitivo, questi risultati potrebbero avere gravi conseguenze.

Appare evidente come lo stile di leadership antisociale sia fondamentalmente una minaccia e un orientamento competitivo auto-focalizzato alle sfide della competizione per le risorse e della ricerca di status e posizione sociale nel mondo. Non sorprende quindi che ci siano spesso leader che utilizzano il linguaggio della minaccia e la sottomissione per generare supporto o ridurre il dissenso e sono insensibili al danno che possono causare. La storia mostra che sono spesso orientati al potere e hanno un impatto molto distruttivo sui gruppi che guidano. Chiaramente, se vogliamo promuovere un mondo più compassionevole e socialmente giusto, è necessario comprendere meglio le dinamiche di questi stili di leadership e il modo in cui promuoverle. Sarebbe anche necessario imparare come garantire che gli stili prosociali risultino attraenti per coloro che potrebbero votare per loro o seguirli. Questi sono fondamentali per lo sviluppo delle società morali ed etiche che molti cercano di creare.

 

Riferimenti:

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Mariangela Ferrone - Psicologa - Psicoterapeuta - Istituto Beck
Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Psicoterapeuta TMI (terapia metacognitiva interpersonale) livello EXPERT. Per molti anni è stata Coordinatrice del Centro di Psichiatria Perinatale e Riproduttiva, del Servizio di Psicoterapia e Counseling Universitario presso la UOC di Psichiatria – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Attualmente è docente per l’insegnamento di “Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione” nel corso di laurea in Scienze Infermieristiche, sede Sant’Andrea presso la Facoltà di Medicina e Psicologia – Sapienza Università di Roma, nonché docente interno e supervisore clinico dell’Istituto A.T. Beck per le sedi di Roma e Caserta. Socio Aderente della SITCC (Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva).

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