L’effetto Scheherazade: una prospettiva evoluzionistica

L’effetto Scheherazade: una prospettiva evoluzionistica

L’effetto Scheherazade: una prospettiva evoluzionistica
L’effetto Scheherazade: una prospettiva evoluzionistica

L’effetto Scheherazade: una prospettiva evoluzionistica

Probabilmente molti e molte di voi conosceranno racconti quali “La lampada di Aladino”, “Alì Babà e i 40 ladroni” o “I 7 viaggi di Sinbad il marinaio”. Esse sono soltanto alcune delle storie raccontate dalla principessa Scheherazade e racchiuse nel libro “Le mille e una notte”. Il libro racconta di un sultano che scopre l’infedeltà della moglie e per questo la fa giustiziare. In preda al rancore, decide quindi di sposare una nuova vergine ogni giorno, e di farla prontamente giustiziare dopo aver trascorso con lei la prima notte di nozze. Una giovane, di nome Scheherazade, contro le resistenze del padre, si offre volontaria per andare in sposa e trascorrere una notte col sultano. Una volta giunta nella camera del sultano, inizia a narrargli quello che sarà il primo di una lunga serie di racconti, che ogni notte interromperà sul punto più bello, col fine di concluderlo e iniziarne uno ancora più avvincente la notte successiva. Il sultano, quindi, di volta in volta rimanda la sua esecuzione facendo trascorrere, così, mille e una notte, in cui ascolta ammaliato le storie di Scheherazade. Quando l’ultima notte Scheherazade gli comunica che non ha più storie da raccontargli, egli ormai ne è innamorato e dopo aver avuto 3 figli ed essere stato reso un uomo più saggio e gentile, le risparmia la vita accogliendola come sua regina.

Lo psicologo cognitivo Geoffry Miller (2000) ha dato il nome della famosa principessa araba a un effetto, noto appunto come “effetto Scheherazade”, secondo cui le abilità comunicative delle persone si sono sempre più evolute nel tempo, anche con il fine di renderci più interessanti per gli altri e mantenere le relazioni sociali, in modo particolare con il proprio partner o la propria partner. Egli ha osservato questo effetto soprattutto nelle donne eterosessuali, dando come possibile spiegazione il fatto che le donne hanno sempre dovuto, più degli uomini, utilizzare maggiori strategie per tenere a sé il proprio partner, considerando la maggiore libertà, anche sessuale, che avevano gli uomini in passato.

Alcuni studi condotti da Dunbar et al. (1993; 2013) hanno messo in luce le 5 macrocategorie di parole che uomini e donne generalmente utilizzano per descrivere se stessi. Se per gli uomini l’ordine delle cinque macrocategorie è il seguente: 1) Attrattiva; 2) Impegno; 3) Abilità Sociali; 4) Risorse; 5) Sensualità;

per le donne invece è questo: 1) Impegno; 2) Abilità Sociali; 3) Risorse; 4) Attrattiva; 5) Sensualità.

Secondo questi risultati, le donne, più degli uomini, tendono maggiormente a mettere in evidenza le proprie abilità sociali e comunicative.

Anche gli studi di Kenrick et al. (2013) sembrano supportare l’esistenza dell’effetto Scheherazade. Egli sottolinea che entrambi i sessi considerano le abilità sociali come importanti, in particolare il senso dell’umorismo, qualità posseduta e messa in luce anche dalla principessa Scheherazade. Tuttavia egli suggerisce che il senso dell’umorismo abbia un significato un po’diverso per uomini e donne: più improntato al mantenimento della relazione per le donne, mentre più improntato all’apprezzamento di sé per gli uomini.

Il fatto che le donne, rispetto agli uomini, abbiano un vocabolario più ampio e una migliore abilità di produzione linguistica, viene giustificato da Miller attraverso una prospettiva evoluzionistica. Egli suggerisce che una volta che un uomo ha effettivamente utilizzato il corteggiamento verbale per conquistare una donna, sente che questa energia non ha più bisogno di essere spesa. Fondamentalmente, una volta stabilita una relazione sessuale, l’uomo è disposto a spendere una certa quantità di energia per mantenerla. Le donne, invece, tenderebbero a utilizzare il corteggiamento verbale anche dopo che si è stabilita la relazione, in quanto, secondo la teoria evoluzionistica, il loro comportamento sarebbe finalizzato alla protezione delle risorse che ricevono dagli uomini per garantire il benessere della prole. Miller spiega in modo eloquente e pratico perché mantenere un corteggiamento verbale è importante: sviluppando un apprezzamento delle abilità cognitive offerte da una buona conversazione con un partner, gli uomini potrebbero aver smorzato la loro ossessione per le novità fisiche di altre donne.

E’ ovvio che una prospettiva di stampo evoluzionista come questa va anche calata ai nostri giorni, in cui le donne non sono alla ricerca delle risorse dell’uomo, in cui le relazioni sono fluide e non necessariamente monogame e in cui le abilità comunicative del corteggiamento vengono a scontrarsi con la realtà ipertecnologica del nostro tempo. Scheherazade sarebbe riuscita a conquistare il cuore del sultano se invece di narrargli le sue storie, gliele avesse scritte per chat?

Marco Salvati

Bibliografia

  • Dunbar, R. I. (1993). Coevolution of neocortical size, group size and language in humans. Behavioral and Brain Sciences16(4), 681-694.
  • Kenrick, D. T., Neuberg, S. L., & White, A. E. (2013). Relationships from an evolutionary life history perspective. The Oxford Handbook of Close Relationships, 13-38.
  • Miller, G. (2000). The mating mind. How sexual selection shaped the evolution of human nature. New York: Anchor Books.
  • Redhead, G., & Dunbar, R. I. M. (2013). The functions of language: an experimental study. Evolutionary Psychology11(4), 147470491301100409.

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