I vari livelli di stigma sessuale: in che modo l’eterosessimo compromette la salute mentale delle persone LGBTQ
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La teoria del minority stress di Meyer afferma che gli individui che appartengono ad una minoranza, come le persone LGBTQ (Lesbiche-Gay-Bisexual-Transgender-Queer), vivono frequentemente una condizione di stress cronico, prodotto dallo stigma sociale e dagli eventi negativi di vita, come la discriminazione e la violenza. Il minority stress, quindi, espone gli individui ad un rischio maggiore di psicopatologia, che può manifestarsi in vari modi a livello cognitivo (es: aspettative di rifiuto da parte degli altri, eccessiva preoccupazione/rimuginio, etc), emotivo (es: vergogna prodotta dall’omofobia interiorizzata, paura costante di essere discriminati, etc), comportamentale (es: evitamento di situazioni sociali, impulsività, abuso di sostanze, etc). La sofferenza delle persone LGBTQ che subiscono lo stigma sociale può essere meglio compresa se ci si rende conto di quanto le esperienze vissute costituiscono una invalidazione della propria identità o di alcuni aspetti di essa; i messaggi che vengono trasmessi e che possono essere interiorizzati e diventare delle auto-invalidazioni, sono del tipo “non dovresti provare quello che senti”, “il tuo modo di essere è sbagliato”, “sei una persona anormale”, “i tuoi desideri sono immorali/contronatura”.
Un modello per comprendere meglio l’invalidazione overt e covert, determinata dai processi di stigmatizzazione sociale è quello di Herek e colleghi (2009), che descrive vari livelli dello stigma sessuale, da quello macro (strutturale) a quello micro (attuato, percepito, interiorizzato). Lo stigma sessuale viene definito come “la considerazione negativa, lo stato inferiore e la relativa mancanza di potere che la società attribuisce collettivamente a chiunque venga associato con comportamenti, identità, relazioni o comunità non eterosessuali” e può assumere varie forme.
Lo stigma strutturale (Structural) è quello determinato dalla cultura eterosessista che, attraverso le istituzioni (poltiche, religiose, mediche, etc), trasmette messaggi invalidanti basati sul presupposto che le persone sono eterosessuali e che tutti coloro con identità di genere e orientamenti sessuali non conformi non esistono o, se diventano visibili, sono anormali. Per anni l’eterosessimo ha influenzato pesantemente anche la società scientifica, basti pensare al fatto che l’omosessualità sia stata considerata una patologia fino a qualche decennio fa, ma ancora oggi può influenzare la pratica clinica, ad esempio esprimendosi attraverso quelle brevi “microaggressioni” verbali e non verbali, che i terapeuti possono agire nei confronti dei loro pazienti/clienti, spesso senza rendersene conto e che invalidano i loro stati emotivi e/o i comportamenti (es: chiedere ai pazienti di sesso maschile se hanno una fidanzata, manifestare una velata sorpresa/imbarazzo nell’apprendere che la paziente è lesbica, etc). L’invalidazione vissuta a causa dello stigma strutturale ha un impatto significativo sul benessere delle persone LGBTQ, tanto che coloro che vivono in ambienti dove l’eterossessimo è molto presente hanno un’aspettativa di vita inferiore di 12 anni rispetto a chi vive in aree culturalmente più aperte (Hatzenbuehler et al, 2014).
Ad un livello micro l’invalidazione può avvenire attraverso esperienze di stigma di vario tipo. Lo stigma attuato (Enacted) riguarda gli episodi di violenza e/o discriminazione subiti in prima persona o vissuti come testimoni (es: crimini d’odio, aggressioni fisiche/verbali, rifiuto di affittare una casa a persone LGBTQ,etc) e rappresenta la forma più evidente di invalidazione, che, traducendosi in conoscenze ed aspettative rispetto alle reazioni dell’ambiente verso le persone non eterosessuali diventa stigma percepito (Felt). Quest’ultimo riguarda quindi la conoscenza condivisa rispetto agli atteggiamenti collettivi verso le relazioni ed i comportamenti delle persone LGBTQ, le quali, ad esempio, potrebbero di conseguenza sentirsi a disagio nel baciarsi in pubblico o nel camminare per strada mano nella mano con il proprio partner. Lo stigma percepito influenza perciò il grado di apertura/svelamento, la facilità di fare coming out e può contribuire a generare comportamenti di evitamento e occultamento per timore del rifiuto sociale. Infine, lo stigma sessuale può generare auto-invalidazione quando diventa stigma interiorizzato (Internalized), vale a dire che la persona assume come propri gli atteggiamenti e i pregiudizi eterosessisti, accettandoli come verità assolute che, inevitabilmente, facilitaeranno la costruzione di una visione di sé negativa. Il concetto è simile a quello di omofobia/omonegatività/transofobia/eterossessimo interiorizzati.
In conclusione, il modello teorico dello stigma sessuale può risultare utile nel lavoro clinico con le persone LGBTQ poiché consente di tenere in considerazione i vari livelli di invalidazione vissuta/percepita/interiorizzata nel corso della vita e che contribuiscono a determinare la sofferenza psicologica attuale. L’apprendimento di skills specifiche (come quelle della DBT- Terapia Dialettico Comportamentale di M. Linehan) potrebbe essere molto efficace nel ridurre i sintomi e le difficoltà relazionali prodotte dagli ambienti invalidanti e nell’aumentare le abilità di autovalidazione, necessarie a vivere serenamente il proprio orientamento sessuale e/o la propria identità di genere.
Riferimenti:
- Hatzenbuehler et al., (2014), “Structural stigma and all-cause mortality in sexual minority populations”, Social Science and Medicine 103, 33–41.
- Herek, et al., (2009), “Internalized stigma among sexual minority adults: insights from a social psychological perspective”, Journal of Counseling Psychology 56, 32–43.
- Skerven et al., (2019), “Applying dialectical behaviour therapy to structural and internalized stigma with LGBTQ+ clients”, The Cognitive Behaviour Therapist (2019), vol. 12, e9.