Alla scoperta della neuroanatomia del media-multitasking: quali aree si attivano e come interagiscono tra di loro

Alla scoperta della neuroanatomia del media-multitasking: quali aree si attivano e come interagiscono tra di loro

media-multitasking

Photo by Alina Grubnyak on Unspash

La maggior parte degli essere umani è in grado di eseguire due o più attività contemporaneamente, soprattutto quando una delle due è così radicata da poter essere svolta in maniera quasi del tutto automatica. Siamo ad esempio in grado di portare avanti una conversazione mentre si cammina o beviamo un caffè mentre siamo al telefono. I media e la tecnologia, presenti nella nostra vita quotidiana, possono offrirci molti vantaggi e benefici, ma se dobbiamo imparare qualcosa di nuovo o concentrarsi su due compiti contemporaneamente possono non essere pienamente di aiuto.

Il multitasking, l’esecuzione di due attività simultaneamente, è un fenomeno divenuto ormai consueto nella società moderna ed è considerato, soprattutto a livello lavorativo, un modo per massimizzare i risultati. E’ stato inoltre favorito dalla velocità con cui si sono diffusi i dispositivi tecnologici, in ambito organizzativo e privato, per cui oggi si parla sempre più di media-multitasking o multitasking multimediale: svolgimento di due o più compiti, uno dei quali mediante l’utilizzo di un mezzo tecnologico (Lang e Chrzan, 2015).

Computer, smartphone e tablet hanno reso le comunicazioni istantanee, le interazioni più veloci, ed in generale hanno semplificato molti aspetti della nostra vita quotidiana, creando però un ambiente di enorme distraibilità, tanto che negli ultimi anni molti ricercatori stanno mettendo in dubbio l’efficienza di queste pratiche.

Uno studio iniziale di Ophir e collaboratori (Ophir et al., 2009) seguito da decine di ricerche successive (Van DerSchuurWA et al., 2015; Melina R. Uncaphera et al. 2018), ha mostrato come l’utilizzo del media-multitasking conduca a un considerevole decremento dell’attenzione e quindi ad una maggiore probabilità di distrarsi e di peggiorare le prestazioni in compiti che implicano il controllo cognitivo.

I meccanismi innescati da questo frenetico cambio di attività, sono stati ampiamente studiati, fino a dimostrare che il multitasking aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e di adrenalina, che possono portare anche allo sviluppo di un comportamento aggressivo ed impulsivo. Il multitasking crea un circolo vizioso di dipendenza dalla dopamina, portando effettivamente il cervello a perdere la concentrazione e a cercare stimoli esterni. A peggiorare le cose è la corteccia prefrontale, la regione del cervello su cui facciamo affidamento per rimanere concentrati sul compito, che è facilmente disturbata poiché naturalmente attratta da stimoli nuovi.

Le informazioni acquisite mentre si fa multitasking si dirigono al corpo striato, una regione specializzata nella memorizzazione di nuove procedure e competenze, invece di raggiungere l’ippocampo che dovrebbe organizzarle per poterle recuperare quando necessario.

A tutto ciò si devono aggiungere i costi metabolici, poiché chiedere al cervello di spostare l’attenzione da un’attività all’altra lo costringe a bruciare rapidamente glucosio ossigenato, il combustibile di cui abbiamo bisogno per restare concentrati. Per tale motivo l’organismo potrebbe riscontrare stanchezza e disorientamento anche dopo un breve periodo di tempo.

Come afferma Earl Miller, neuroscienziato del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e tra i massimi esperti mondiali di attenzione divisa, il nostro cervello non è cablato per il media-multitasking: quando pensiamo di farlo, in realtà, stiamo solo passando molto velocemente da un’attività ad un’altra e ogni volta che questo succede c’è un costo cognitivo che il nostro cervello affronta.

Partendo da queste considerazioni, emerge chiaramente il bisogno di studiare il multitasking e le ripercussioni che può avere sulle funzioni cognitive di un individuo per valutarne le conseguenze positive o negative sull’apprendimento e sulla qualità delle prestazioni lavorative. Interessante sarebbe inoltre indagare gli effetti sul comportamento psicosociale, strutturare interventi efficaci per fronteggiare gli effetti del media-multitasking, tenendo in considerazione l’età del soggetto coinvolto, il tipo di media utilizzato e il profilo neuro-cognitivo.

Resta infine da chiedersi: siamo sicuri che il multitasking sia un’abilità da aggiungere al curriculum, o piuttosto un’ abitudine da ridurre all’interno del nostro quotidiano?

Riferimenti:

  • Melina R. Uncaphera, and Anthony D. Wagner (2018)Minds and brains of media multitaskers: current findings and future directions, Proceedings of the National Academy of Sciences115(40):201611612
  • Melina R. Uncapher, Lin Lin, Larry D. Rosen, Heather L. Kirkorian, Naomi S. Baron, KiraBailey, Joanne Cantor, David L. Strayer, Thomas D. Parsons, Anthony D. Wagner (2017)Media Multitasking and Cognitive, Psychological, Neural, and Learning Differences. Pediatrics
  • DOI:10.1542/peds.2016-1758D2017;140;S62Learning while multitasking: short and long-term benefits of brain stimulation: B. Frank,S. Harty,A. Kluge &R. Cohen Kadosh (2016)
  • Miller E. (2018) Earl Miller offers advice on multitasking in Redbook.  Family and Life – Redbook May

 

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