Una memoria, tanti network

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Una memoria, tanti network
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Una memoria, tanti network 

Il sistema della memoria è da sempre oggetto di studio dei neuroscienziati e continua fonte di rivelazioni che svelano meccanismi sofisticati e in perfetto equilibrio dinamico tra di loro.

In un recente studio (Aug, 2017) il gruppo di lavoro del prof.  Tonegawa del MIT ha cercato risposte a una delle principali domande di chi studia la memoria e i suoi meccanismi, ovvero come si formano e come si recuperano i ricordi episodici e attraverso quali strade neuronali.

Per lungo tempo si è ritenuto che i circuiti neuronali che si attivano nel corso della “memorizzazione” fossero gli stessi ad attivarsi nel corso del “recupero” della memoria, come in una ipotetica via a doppia direzione.

Tutte le volte che acquisiamo una nuova esperienza la memoria di quell’evento viene codificata  in un circuito neurale che collega diverse regioni funzionali dell’ippocampo con altre strutture cerebrali sia profonde che corticali. Ogni cluster di neuroni dell’ippocampo può memorizzare aspetti diversi della memoria, come la posizione in cui si è verificato l’evento o le emozioni associate a esso.

Questo recente studio sperimentale ha dimostrato come per recuperare una memoria, in questo caso di tipo episodico, serva l’attivazione di un circuito “di deviazione”  differente da quello di memorizzazione.

L’ippocampo, struttura profonda del lobo temporale e nodo cruciale del circuito della memoria, è suddiviso in diverse regioni con varie funzioni correlate al network stesso. Molte di queste regioni sono state ampiamente studiate e se ne conoscono le funzioni e i meccanismi, altre sono ancora oggetto di studio, come ad esempio la regione del subiculum.

In questa sperimentazione i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sul subiculum, in particolare sulle modalità con cui questo si attiva e disattiva, utilizzando delle cavie sperimentali geneticamente  modificate. Le cellule subiculari di queste cavie rispondevano a un trigger luminoso per attivarsi o disattivarsi durante uno stimolo condizionato legato alla memoria episodica, fattore che le rendeva facilmente tracciabili.

Precedenti ricerche hanno dimostrato che la codifica delle memorie episodiche coinvolge le cellule di una parte dell’ippocampo chiamata regione CA1, che poi trasmette le informazioni a un’altra struttura del cervello, la corteccia entorinale. Nel corso di questo lungo processo vengono attivati ​​piccoli sottoinsiemi di neuroni che formano tracce di memoria conosciute come engram.

Per molto tempo si è ritenuto che gli engram fossero gli stessi ad attivarsi sia in fase di memorizzazione che in fase di recupero della memoria. La popolazione sperimentale oggetto di questa ricerca è stata suddivisa in due gruppi, entrambi sottoposti a uno stimolo da memorizzare, il primo gruppo con una inibizione selettiva del subiculum prima dell’esperienza da memorizzare, il secondo dopo l’esperienza da memorizzare.

Nel primo gruppo il ricordo era riattivabile, nel secondo il ricordo non era riattivabile a dimostrazione del coinvolgimento della struttura nella fase di recupero della memoria e non nella codifica della stessa.

Perché l’ippocampo avrebbe bisogno di due circuiti distinti , uno per la formazione e un altro per  il recupero della memoria? I ricercatori hanno ipotizzato due possibili spiegazioni:

La prima è che le interazioni dei due circuiti rendono più semplice modificare o aggiornare le memorie in quanto, quando il circuito di richiamo è attivato, l’attivazione simultanea del circuito di formazione della memoria consente di aggiungere nuove informazioni in tempo reale.

La seconda possibile spiegazione della necessità di avere un vero e proprio circuito di deviazione in fase di recupero della memoria potrebbe essere quella di favorire le risposte allo “stess”  a più lungo termine attraverso una connessione diretta di questa regione con l’ipotalamo, direttamente implicato nel rilascio dei glucocorticoidi attraverso l’asse ipotalamo – ipofisi – surrene.

Entrambe le ipotesi sono una giustificazione funzionale al meccanismo in quanto ci restituiscono l’immagine di una memoria ancora più dinamica di quanto pensassimo sino a oggi, modulabile, multifunzione, che si modifica durante gli eventi e che continua ad apprendere anche mentre agisce.

Un disegno funzionale che potenzialmente ci permette di ampliare le nostre conoscenze non solo in tutte le patologie neurodegenerative con aspetti dementigeni o con deficit della memoria, ma anche ai complessi meccanismi della “frammentazione” delle memorie traumatiche e a come poter riattivare questi canali di apprendimento in “corso d’opera” attraverso un meccanismo di rimodulazione delle memorie apprese e di codificazione di nuove.

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