Non binarismo di genere: consigli per il clinico

Non binarismo di genere: consigli per il clinico

Non binarismo di genere

Photo by Delia Giandeini on Unsplash

In una ricerca condotta negli USA nel 2015 su 27715 persone trans, il 35% del campione ha   dichiarato un’identità di genere non binaria o genderqueer. Lo stress subito da questa porzione della popolazione LGBTQIA+ ha delle caratteristiche peculiari rispetto al minority stress generale, ad esempio le persone non binarie possono sentirsi invalidate quando sentono dire che il non binarismo di genere non esiste, che si tratta di una malattia mentale o che semplicemente è un loro modo per attirare l’attenzione degli altri. Diventa perciò prioritario per i professionisti sanitari che si trovano ad interagire con le persone genderqueer evitare di contribuire in qualsiasi modo a stigmatizzare e invalidare l’identità di genere non binaria. Alcuni ricercatori della Division 44 dell’American Psychological Association (APA) hanno quindi redatto una scheda informativa che fornisce alcune raccomandazioni cliniche utili da seguire per garantire un accesso alle cure inclusivo.

Vediamo insieme di cosa si tratta.

ESPLORARE I PROPRI VALORI, GLI ATTEGGIAMENTI E LE CREDENZE RIGUARDO IL NON BINARISMO DI GENERE

vivere ina una società cis-sessista espone tutti quanti all’interiorizzazione di messaggi transnegativi che possono manifestarsi in modo automatico. Per i professionisti psy è importante riconoscerli e metterli in discussione per limitare l’impatto negativo che possono avere nel loro lavoro clinico con le persone non binarie.

FORMARSI

cercare informazioni riguardanti il non binarismo di genere, studiare la letteratura scientifica sul tema e chiedere supervisioni sono tutti modi per evitare che sia la persona a dover formare il professionista sul tema dell’identità di genere non binaria. Chiaramente l’esperienza di ogni persona è unica, arricchisce ed integra la conoscenza teorica del clinico.

ESPLICITARE IL PROPRIO APPROCCIO AFFERMATIVO

è importante che al paziente/cliente sia chiaro di trovarsi in un contesto inclusivo affinché si senta accolto, compreso e si crei fin da subito un rapporto di fiducia. Sarebbe auspicabile che l’ambiente fosse strutturato in modo non binario (es: bagni gender neutral, possibilità di usare pronomi neutri o differenziare il nome legale dal nome corrente nei moduli scritti, etc).

CHIEDERE I PRONOMI DA USARE

ascolta il modo in cui la persona parla di sé e usa gli stessi pronomi quando ti rivolgi a lui/lei/* oppure chiedi direttamente quali pronomi usare per riferirsi al genere. Allenati ad usare i pronomi inclusivi anche al di fuori del colloquio clinico (es: negli appunti personali, nel confronto con i colleghi) così sarà sempre più facile farlo.

RESTARE APERT* ALL’ESPLORAZIONE DEL GENERE

a volte le persone desiderano esplorare il proprio genere nel corso del lavoro clinico ed è importante tenere a mente che non c’è un traguardo definito da raggiungere. Restare aperti alle varie possibilità, affermando che l’identità e l’espressione di genere possono variare nel tempo, consente alla persona di esplorare pienamente e liberamente senza timore di essere giudicati e provare vergogna.

CONCETTUALIZZARE IL CASO CONSIDERANDO I FATTORI DI STRESS SPECIFICI

il clinico nella comprensione del funzionamento della persona non binaria dovrebbe considerare l’impatto dello stigma e del conseguente gender minority stress sullo sviluppo dei sintomi psicopatologici e della eventuale disforia.

 

Riferimenti

Autore/i dell’articolo

Marco Stefanelli
Psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Docente presso l’Istituto di Psicoterapia cognitivo- comportamentale A.T.Beck di Roma e di Caserta. Socio Ordinario della SITCC (Società Italiana di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva) e Terapeuta EMDR I livello. Vanta esperienza clinica in ambito adulto e si occupa prevalentemente di tutti i disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e omofobia interiorizzata.  

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