Omofobia, Bifobia e Transfobia in Italia – Parte II: Istituzioni Sociali e Chiesa

Omofobia, Bifobia e Transfobia in Italia – Parte II: Istituzioni Sociali e Chiesa

Omofobia, Bifobia e Transfobia in Italia
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Perché l’Italia è in ritardo

La ricerca più recente offre una varietà di spiegazioni sul perché l’Italia sia in ritardo rispetto a Paesi comparabili quando si tratta di uguaglianza queer. Alcuni ricercatori propongono che il ritardo sia dovuto ai rigidi costrutti di genere e alle nozioni di famiglia tradizionale (Ruspini, 2009, p. 126); altri sostengono che la Chiesa Cattolica Romana abbia “una presa potente sull’immaginazione popolare” che permea la legge e i mass media (Benozzo, 2013, p. 337). Culturalmente, gli stereotipi italiani sull’effeminatezza maschile gay sono visti come incompatibili con le norme restrittive sulla mascolinità che pesano sugli uomini – i ruoli di genere maschili, che ci si aspetta che seguano gli uomini e i ragazzi (Weibel-Orlando, 2008).

Inoltre, come abbiamo già accennato, gli sforzi verso l’acquisizione di tutele complete per le unioni omosessuali italiane hanno incontrato l’opposizione diretta della Chiesa, data la ferma posizione del cattolicesimo romano sulle “famiglie naturali” (Garelli, 2007; Lasio et al., 2018). Sebbene Papa Francesco abbia rilasciato dichiarazioni che segnalano l’accettazione degli individui LGBTQ+ (“Pope Francis”, 2013), il Vaticano rimane fermo nella sua definizione del matrimonio come unione tra un uomo e una donna cisgender.

Di seguito ci concentreremo sui fattori socio-storici e sulle istituzioni sociali chiave – tra cui la Chiesa cattolica, la famiglia e la politica – che pongono dei limiti alle persone queer italiane.

Per rendere più fruibile la lettura discuteremo ciascuno di essi a turno, anche se chiaramente sono interconnessi.

Molto importante è anche l’interazione sociale, dove si svolgono i processi che derivano da queste forze sociali più grandi. Per esempio, l’organizzazione intorno a questioni basate sull’identità rimane una sfida in Italia (Benozzo, 2013), perché gli individui sono spesso incoraggiati a rimanere in silenzio riguardo al loro essere queer. È evidente come la tendenza culturale italiana verso il tradizionalismo e il conformismo di genere giochi un ruolo pesante in questo silenzio e spiegheremo adesso come queste pressioni a livello macro siano attuate a livello micro.

Influenze socio-storiche e istituzioni sociali

Attualmente, le spiegazioni più comuni sulla queer-fobia nostrana si concentrano su quelle che sono probabilmente le due istituzioni sociali più potenti in Italia: la Chiesa e la famiglia.
Queste istituzioni sono strettamente intrecciate dalla loro enfasi su presunte differenze e distinzioni naturali di ruolo tra uomini e donne. Questa tesi si allinea con un modello di lavoro e famiglia a sfere separate: definire donne e uomini come opposti e quindi assegnare atteggiamenti, diritti e responsabilità diverse a donne e uomini. Chiaramente, questo modello di famiglia include solo le coppie eterosessuali, poiché sono le uniche diadi che si crede siano in grado di trasformare le loro differenze in famiglie stabili, dove il lavoro è diviso secondo rigide linee di genere.

Questo modello essenzialista di genere è stato rifiutato decenni fa dagli studiosi che hanno scritto a lungo sulla natura socialmente costruita di una imposizione di ruoli restrittivi e discriminatori verso gli uomini che incarnano atteggiamenti e azioni tradizionalmente definiti come “femminili” (mascolinità egemonica come discriminatoria verso le altre mascolinità non-egemoniche) e verso le donne che fanno lo stesso con quelli tradizionalmente dichiarati “maschili” (femminilità egemonica come discriminatoria verso le altre femminilità non-egemoniche).
Particolarmente importanti e rilevanti per il nostro discorso sono le pressioni di genere sugli uomini, che per via dell’aspettativa ad incarnare lo stereotipo del sesso “forte”, del “protettore” e del “breadwinner” – cioè di “colui che mantiene il partner e porta a casa il pane” – sono ancora oggi la stragrande maggioranza dei senzatetto, dei morti sul lavoro, dei suicidi (soprattutto per motivi economici), dei morti in guerra, degli abbandoni scolastici, sono stigmatizzati socialmente nel caso in cui vogliano occuparsi dei figli, sono la stragrande minoranza dei genitori collocatari nei divorzi (perdendo quasi sempre la casa coniugale e soprattutto la possibilità di vedere continuativamente i figli), sono ancora iscritti nelle liste di leva, sono la stragrande minoranza delle persone casalinghe, sono discriminati nell’assunzione in lavori di cura, viene negato loro l’accesso ai servizi e ai centri antiviolenza quando vittime di violenza domestica e sessuale, e in caso di emergenze come guerre, affondamenti o disastri naturali sono spinti od obbligati a cedere il loro posto per dare la priorità ad altre fasce di popolazione nell’ottenimento di aiuti umanitari (Benatar, 2012).
Non a caso, la maggioranza delle vittime di omobitransfobia sono uomini cisgender e donne transgender MtF (che sono socialmente percepite dalle persone transfobiche come “uomini”), il che dimostra come la società tradizionalista abbia un problema enorme verso gli uomini (o le donne percepite come uomini) che violano le rigide aspettative di genere su cosa un uomo “dovrebbe fare” e che non si conformano al ruolo di “colui che protegge e mantiene economicamente la moglie e la famiglia” (University of Surrey, 2021).

In Italia il modello tradizionale delle sfere separate per genere rimane una corrente potente ancora oggi: è stato invocato come giustificazione politica per negare il matrimonio e l’uguaglianza familiare alle famiglie LGBTQ+ sia dal Vaticano (Garelli, 2007) che dai politici. Uno studio di Lasio e colleghi (Lasio et al., 2018) ha mostrato che i parlamentari italiani di più partiti politici hanno argomentato contro il riconoscimento delle famiglie LGBTQ+ al fine di preservare i ruoli tradizionali di madre e moglie delle donne come distinti dai ruoli familiari di padre e marito degli uomini. Come esempio, Antonio Azzolini, del partito della Democrazia Cristiana, ha sostenuto che “la maternità e la paternità hanno caratteristiche, emozioni, affetti e funzioni sociali distinte e questa diversità deve essere mantenuta” (p. 5).

La Chiesa

La Chiesa Cattolica Romana ha storicamente esercitato un enorme potere sulla società italiana. Il cattolicesimo è stato la religione di stato ufficiale fino al 1986, quando il governo italiano e il Vaticano hanno firmato un accordo che ha messo fine a questo status quo. Citando la Gazzetta Ufficiale, Lasio e colleghi (2018) notano lo stretto legame tra il cattolicesimo e il “patrimonio storico del popolo italiano”, che autorizza il Vaticano a “intervenire su questioni morali e critiche che vengono alla ribalta nel dibattito politico” (p. 3). Di conseguenza, Garelli (2007) sostiene che il Vaticano giochi un ruolo fuori misura nella politica riguardante le famiglie e la sessualità. Data la dottrina ufficiale della Chiesa sul matrimonio come unione eterosessuale, alcuni studiosi indicano la Chiesa cattolica come il principale agente culturale nel ritardare l’acquisizione delle libertà civili LGBTQ+ (ad esempio, Lasio et al., 2018). Lo Stato Vaticano ha etichettato le persone queer come “una minaccia all’istituzione culturale della famiglia” (Callahan & Loscocco, 2021) e, storicamente, il Vaticano è stato apertamente antagonista verso le crescenti comprensioni sul genere e sulla sessualità: a partire dagli anni ’90, il sintagma “teoria di genere” o “teoria del gender” ha cominciato a essere utilizzato dal Vaticano per identificare un sistema di pensiero alla base del lavoro pianificato, lento e costante di sovvertimento dell'”ordine naturale di genere, sessualità, riproduzione e parentela” (Lasio & Serri, 2019, p. 503).

La Chiesa Cattolica continua certamente ad essere invischiata nella politica italiana. Attraverso le linee di partito, i politici attingono e contribuiscono alla retorica della Chiesa (Lasio et al., 2018), e la sua “potente presa sull’immaginario popolare” (Benozzo, 2013, p. 337) permea le procedure legislative.

Per esempio, nel periodo precedente al voto del 2016 che ha legalizzato le unioni civili tra persone dello stesso sesso, il Vaticano era contrario al provvedimento. Nel celebrare la vittoria, il presidente onorario di Arcigay, la principale organizzazione per i diritti LGBTQ+ in Italia, ha sottolineato la forza della Chiesa Cattolica Romana: “Il muro eretto soprattutto dal Vaticano contro i diritti civili in questo paese è caduto” (Povoledo, 2016).

Nel 2020, la Chiesa ha rapidamente condannato la già citata legislazione Zan che aggiunge l’identità di genere, l’orientamento sessuale e il genere alla legislazione esistente che vieta la discriminazione sulla base di razza, etnia e religione.

Sostenendo che la legge proposta sarebbe stata un colpo alla libertà di parola, la Conferenza Episcopale Italiana ha rilasciato una dichiarazione che sosteneva che questa legge anti-discriminazione avrebbe discriminato le persone che credono che le famiglie richiedono un padre e una madre (Conferenza Episcopale Italiana, 2020). Anche se la dichiarazione affermava l’importanza di lavorare contro l’omofobia – in gran parte attraverso l’educazione – era chiaramente intesa a soffocare la legislazione vista come vitale dagli attivisti LGBTQ+ e dai loro alleati.

In diversi casi, è sembrato che la Chiesa sotto Papa Francesco potrebbe ammorbidire la sua posizione dottrinale contro l’intimità tra persone dello stesso sesso. In particolare, nel 2013, ha fatto la sua famosa dichiarazione “chi sono io per giudicare?”, e si dice che abbia anche accolto i sostenitori dei diritti LGBT in Vaticano. In un documentario, Papa Francesco avrebbe “appoggiato il riconoscimento legale delle unioni civili tra persone dello stesso sesso”, come ha detto il Rev. James Martin, un gesuita sostenitore LGBTQ (Harlan, Boorstein, & Bailey, 2020). In un noto libro di Luciano Moia, ispirato dal magistero del Papa, l’autore offre le voci di coloro che cercano il pieno riconoscimento della comunità LGB da parte della Chiesa. Egli chiede anche di cambiare la dottrina cattolica, sostenendo che la castità non deve significare astinenza, ma solo fedeltà – un argomento che paragona le relazioni omosessuali al matrimonio eterosessuale (Bermudez, 2020).

Eppure il Vaticano ha spento le speranze dei cattolici gay nel marzo del 2021 con un decreto, approvato dal Papa, sottolineando che le unioni dello stesso sesso sono “disordinate” e ai sacerdoti è vietato benedirle perché “Dio non può benedire un peccato” (Winfield, 2021). Come notano Harlan e Bailey (2021), il decreto mostra che Francesco non ha rivoluzionato la posizione della Chiesa sull’uguaglianza LGBT; piuttosto, ha adottato “un approccio molto più complicato, parlando in termini accoglienti pur mantenendo l’insegnamento ufficiale.”

Riferimenti

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  • Ruspini, E. (2009). Italian forms of masculinity between familism and social change. Culture, Society and Masculinities, 1(2), 121–136.
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  • Weibel-Orlando, J. (2008). A room of (his) own: Italian and Italian-American male-bonding spaces and homosociality. The Journal of Men’s Studies, 16(2), 159–176.
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Autore/i dell’articolo

Dott. Alberto Infante
  • Dottore in Psicologia
  • Redattore Volontario per la ONLUS Il Vaso di Pandora - La Speranza dopo il Trauma
  • Content Creator per l'Istituto Beck

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