Origini e Sviluppi Futuri della Psicologia dell’Aviazione

Origini e Sviluppi Futuri della Psicologia dell’Aviazione

Origini e Sviluppi Futuri della Psicologia dell’Aviazione

Dedico questo articolo, in occasione del suo compleanno (12 ottobre), al mio caro papà, Mario Infante, che è venuto a mancare pochi mesi fa (il 15 gennaio 2022).

Sono sicuro che gli sarebbe piaciuto e spero che lo apprezzi ovunque si trovi in questo momento. È stato infatti pilota e insegnante di volo per molti anni, prima di andare in pensione. È stato anche inventore, vinse il primo premio ai Cervelloni con Paolo Bonolis e Raffaella Carrà nel ’96 per la sua invenzione, la Motauto Basculante, che ha anticipato le moderne moto a tre ruote. Mio padre ha portato a termine azioni eroiche: ha salvato i mari dalle perdite di petrolio guidando dei sommergibili in supporto alle operazioni di soccorso e saldatura di falle in alcune navi. Ha fatto carriera militare nella Marina, per poi passare all’Aeronautica, portando personaggi illustri nei suoi voli. In ambito civile, è stato un insegnante straordinario per i suoi studenti, che hanno appreso da lui come volare. È stato un papà eccezionale, una persona con infinito senso dell’humor, che ha lasciato il segno ovunque sia andato. Mi è sempre stato accanto e mi ha sempre difeso e protetto in qualunque situazione. A presto, caro papà. Ti voglio tanto bene.

Vecchie Convinzioni sul Ruolo del Pilota nell’Aviazione

La storia dell’aviazione inizia circa 100 anni fa con il primo mezzo motorizzato più pesante dell’aria dei fratelli Wright nel 1903. Molti altri ricercatori dell’aviazione contribuirono alla nascita della disciplina oltre ai fratelli Wright: Otto Lilienthal, Samuel Langley, Octave Chanute e Glenn Curtiss sono solo alcuni dei pionieri che furono loro predecessori o contemporanei. Eppure, i contributi dei fratelli Wright alla nascita della moderna aviazione si distinguono non solo per essere stati i primi a dimostrare la fattibilità del volo con un motore più pesante dell’aria, ma anche per lo spettacolare equilibrio che hanno raggiunto nel combinare principi scientifici e pratica efficiente per raggiungere il loro obiettivo: pensiamo ad esempio alla creazione e all’impiego della prima galleria del vento per sviluppare la forma dell’ala del loro aereo, il Flyer; alla progettazione di eliche di efficacia senza precedenti per la sua propulsione; o ancora alla creazione del primo efficiente sistema di controllo a tre assi nel loro aliante del 1902 (Hallion, 1978; Jakab, 1997).

Con tutti questi risultati significativi e l’immagine avvincente del loro primo spettacolare volo, non sorprende forse che un altro importante contributo dei fratelli Wright sia stato molto spesso trascurato.
Essi avevano infatti una visione molto più chiara del ruolo del pilota rispetto a tanti loro contemporanei. Molti dei primi ricercatori dell’aviazione dell’epoca credevano che l’incertezza delle condizioni atmosferiche richiedesse la creazione di un velivolo intrinsecamente stabile che avrebbe risposto ai comandi di navigazione di un operatore umano, ma che anche senza comandi avrebbe volato autonomamente (Crouch, 1978). Al contrario, forse a causa del loro background come meccanici di biciclette, i fratelli Wright vedevano il pilota di aerei come un abile e attivo controllore di un veicolo instabile (Culick & Jex, 1987; Tsang & Vidulich, 1989). Questa intuizione li ha guidati nella costruzione di alianti sperimentali, da usare come mezzi non solo per testare le proprietà aerodinamiche dei loro prototipi e dei sistemi di controllo, ma anche per sviluppare le loro abilità come piloti. Il ruolo centrale della padronanza tecnica nella loro concezione del pilotaggio portò anche i fratelli Wright a diventare pionieri nel campo dell’educazione al volo. Forse è esagerato indicare i fratelli Wright come i primi psicologi dell’aviazione, ma la loro attenzione e apprezzamento per l’atto del pilotare come abilità era certamente un presagio di cose a venire.

La Nascita della Psicologia Scientifica dell’Aviazione

Roscoe (1980) sottolinea la difficoltà nell’identificare un unico fondatore della Psicologia Scientifica dell’Aviazione, ma individua nella Seconda Guerra Mondiale un evento seminale per l’emergere del campo. Un fatto non sorprendente, se si pensa che durante la guerra gli aerei divennero mezzi portatori di armi che potevano viaggiare a velocità senza precedenti e lanciare bombe con precisione da altitudini mai sperimentate. Il controllo di queste sofisticate macchine, la loro navigazione accurata e il loro utilizzo efficace richiedevano lo sviluppo di apparecchiature per il controllo umano molto ben progettate. Inoltre, il fatto che per velivoli come questi fosse necessario un equipaggio di molte migliaia di persone ha incoraggiato la ricerca di tecniche di addestramento più innovative.

In Inghilterra, Sir Frederick Bartlett dell’Università di Cambridge ha ispirato studi sul fattore umano nell’aviazione a sostegno dello sforzo bellico presso l’Unità di Psicologia Applicata. Le prime ricerche sulla vigilanza umana di Norman Mackworth e la compatibilità tra controlli e display di Kenneth Craik sono rappresentative del prezioso lavoro condotto da questo gruppo (Roscoe, 1997).

Ross McFarland. L’interesse di McFarland per gli effetti dell’altitudine sugli abitanti delle montagne risale al 1928, e lo portò a partecipare alla ricerca scientifica nel campo dell’aviazione negli anni ’30. Probabilmente i suoi contributi più noti sono due dei primi volumi mai pubblicati sui fattori umani nell’aviazione. Nel primo volume, “Human Factors in Air Transport Design” (1946), McFarland si occupava principalmente delle variabili fisiche che dovevano essere oggetto di controllo per soddisfare i requisiti del pilota e che potevano essere adottate come criteri di progettazione per gli ingegneri aeronautici. Riconoscendo che non tutti i problemi del volo potevano essere risolti dall’ingegneria aeronautica, nel suo secondo volume, “Human Factors in Air Transportation” (1953), McFarland rivolse la sua attenzione all’integrazione dell’operatore umano con l’equipaggiamento. Al centro dell’attenzione poneva le questioni relative alla selezione e alla formazione del personale di volo. In un momento in cui per la prima volta nella storia si iniziava ad assistere all’invecchiamento dei piloti di linea, McFarland si preoccupava di prolungare la vita utile di questi operatori altamente qualificati. L’approccio di McFarland spaziava dagli studi di laboratorio ad ampie osservazioni sul campo degli equipaggi di tutto il mondo. McFarland credeva che “i trasporti aerei possono essere gestiti in modo sicuro ed efficiente solo nella misura in cui le variabili umane sono comprese e controllate. I contributi di molti scienziati specializzati sono necessari per risolvere questi problemi in continua evoluzione. Inoltre, la ricerca di base deve essere continuata e i risultati interpretati con successo e integrati con gli aspetti pratici delle operazioni di volo.” (1953, p. ix).

Paul Fitts. Negli Stati Uniti, la ricerca in tempo di guerra sui fattori umani ha incoraggiato la formazione nel maggio 1945 del ramo di Psicologia dell’Aero Medical Laboratory a Wright Field, sotto la guida di Paul Fitts (Fitts, 1947; Grether, 1995). Tra i numerosi contributi di Paul Fitts alla Psicologia dell’Aviazione c’erano i suoi studi dettagliati sugli errori dei piloti (Fitts & Jones, 1961a, 1961b), sui comportamenti di scansione oculare dei piloti (Fitts, Jones e Milton, 1950) e sugli aspetti di ergonomia del controllo del traffico aereo (Parsons, 1972). I suoi contributi si estendono tuttavia ben oltre il campo della Psicologia dell’Aviazione, per includere la produzione di una delle prime e più influenti tassonomie per l’allocazione di funzioni tra esseri umani e macchine (Fitts, 1962) e la valutazione delle caratteristiche del controllo manuale umano (Fitts, 1954). È giusto quindi considerare Paul Fitts come uno dei fondatori dell’intero campo di studio dei fattori umani moderni, non solo della Psicologia dell’Aviazione.

Alexander Williams. Sebbene Roscoe (1980) abbia da subito riconosciuto i contributi di pionieri come Bartlett, McFarland e Fitts, l’individuo da lui battezzato quale “padre della Psicologia dell’Aviazione” è stato Alexander Williams. Dopo aver prestato servizio come aviatore navale durante la Seconda Guerra Mondiale, Williams ha fondato l’Aviation Psychology Laboratory presso l’Università dell’Illinois nel 1946. Fra le eredità delle ricerche di Williams vi sono preziose indagini sulla scomposizione delle attività, sull’addestramento dei piloti e sulla progettazione dei display e dei controlli (Roscoe, 1980; Williams, 1980). Tuttavia, ancor più importante dei suoi contributi di ricerca individuali, vi è stato lo sviluppo del laboratorio da lui fondato, sebbene questo abbia in seguito cambiato nome e direzione. Williams diresse il laboratorio per il primo decennio successivo alla sua fondazione nel 1946. Gli succedettero Jack Adams e Stanley Roscoe. Roscoe ha guidato il laboratorio durante un periodo altamente produttivo negli anni ’70 (Roscoe, 1980). L’attuale capo dell’Aviation Research Laboratory presso l’Università dell’Illinois è Christopher Wickens e le attività del laboratorio rimangono in prima linea nella ricerca sulla Psicologia dell’Aviazione.

Il Moderno Ruolo del Pilota

L’evoluzione dell’aviazione dai tempi dei fratelli Wright fino ai giorni nostri ha visto notevoli cambiamenti nelle funzionalità degli aerei. Il volo iniziale dei fratelli Wright non durò nemmeno un minuto e non ottenne altro scopo se non quello di dimostrare che un volo a motore più pesante dell’aria era possibile. Oggi i voli degli aerei commerciali durano regolarmente molte ore e collegano città separate da migliaia di kilometri di distanza attraversando interi oceani. L’aviazione commerciale non solo funge da trasporto per le persone che viaggiano fra terre lontane, ma permette anche di spostare posta e merci a velocità irraggiungibili in qualsiasi altro modo. L’aviazione militare ha visto incrementi ancora maggiori delle proprie funzionalità (Shaw, 1985).

Per quanto entusiasmanti e importanti siano state queste evoluzioni, non sarebbe stato possibile realizzarle senza influenzare la persona maggiormente responsabile di portare queste funzionalità alla effettiva fruizione, ovvero il pilota.

I primi piloti ricevevano quasi tutte le informazioni vitali riguardanti il volo dai propri sensi. Le funzioni visive e vestibolari aiutavano a mantenere l’orientamento sicuro dell’aeromobile e la navigazione veniva effettuata avvistando punti di riferimento, o addirittura segnali, a terra. Il pilota aveva solamente un acceleratore e un joystick per controllare l’aereo e spesso non doveva preoccuparsi d’altro che di salire in aria e tornare a terra in sicurezza. Da quei primi giorni il mondo del pilota è diventato molto più complesso.

In una famosissima foto, Wilbur Wright siede in una cabina di pilotaggio completamente aperta, il che evidenzia la semplicità di cui godevano i primi piloti. Tutte le informazioni necessarie per controllare il loro volo erano ottenute attraverso l’osservazione diretta del mondo. I pochi e semplici comandi a loro disposizione erano collegati direttamente alle superfici di controllo dell’aeromobile senza intermediari.

Buck (1994) descrive in dettaglio molti dei cambiamenti tecnologici che hanno dovuto affrontare i piloti nel corso del 20° secolo. Egli nota l’accattivante semplicità dei primi voli. Ecco il suo ricordo di un volo nel 1931 su un biplano ad ala Pitcairn Mail: “Immagina di volare attraverso New York City attraverso il corridoio nord-est senza traffico, senza ATC, senza radio ricetrasmittente, niente a cui pensare se non ai compiti base: pilotare l’aereo, navigare ed evitare il terreno. Era una vita bella e semplice”.
Continuando la sua carriera di pilota durante la Seconda Guerra Mondiale, attraverso gli anni di formazione del viaggio aereo commerciale moderno e fino ai tempi attuali, Buck ha delineato un crescente elenco di preoccupazioni e problemi che sono stati aggiunti al carico del pilota. In molti casi, le dotazioni aggiunte per aumentare la sicurezza o l’efficacia sono diventati potenziali problemi che richiedevano uno sforzo aggiuntivo di monitoraggio e di controllo. La stessa proliferazione di sistemi aggiuntivi da controllare è qualcosa che anche i piloti militari hanno dovuto affrontare, insieme ai cambiamenti nella tecnologia delle armi, a partire dal controllo delle impostazioni per sistemi di avvistamento sempre più sofisticati per le armi fino al controllo del lancio di missili aria-aria (Coombs, 1999).

Fino agli anni ’60, le informazioni aggiuntive erano fornite al pilota sotto forma di ulteriori strumenti, ciascuno dei quali controllava però soltanto un singolo dato (Coombs, 1990). I numerosi indicatori singoli potevano quindi costituire un grosso carico integrato di scansione visiva e cognitiva sul pilota; inoltre, man mano che l’aereo diventava sempre più complesso e la quantità di informazioni che dovevano essere presentate al pilota aumentava, la “proprietà” limitata della cabina di pilotaggio diventava un fattore limitante. Come afferma Coombs (1990): “è stato raggiunto un punto nell’evoluzione in cui il numero di puntatori, contatori numerici e spie non poteva più essere aumentato o le loro caratteristiche di visualizzazione migliorate”.

La svolta nell’aspetto della cabina di pilotaggio avvenne negli anni ’60, quando i display a tubo catodico (CRT) iniziarono ad essere utilizzati (Coombs, 1990). Poiché l’aspetto del display non era più limitato dai vincoli fisici legati allo spostamento dell’indicatore elettromeccanico, i CRT hanno consentito l’utilizzo di formati di visualizzazione innovativi. E, consentendo a dati eterogenei di apparire sullo stesso CRT in momenti diversi, i CRT sono stati un grande vantaggio per migliorare la situazione di affollamento nella cabina. La tecnologia CRT ha poi ceduto il passo ai display a cristalli liquidi (LCD) che hanno consentito anche formati multifunzione flessibili.

Il passaggio da strumenti e indicatori singoli a display multifunzione flessibili rende la cabina moderna molto diversa da quelle precedenti. Tuttavia, non è cambiato solo l’aspetto: oltre ai cambiamenti nella tecnologia di visualizzazione, gli anni ’60 hanno inaugurato l’uso dell’automazione computerizzata per assistere i piloti. Ad esempio, i sistemi informatici del Boeing 777 incorporano più di 2,6 milioni di righe di codice software per supportare le funzioni di pilota automatico, gestione del volo, navigazione e manutenzione (Norris & Wagner, 1996).

Pertanto, l’attuale pilota commerciale e militare è stato sempre più rimosso dal contatto diretto con le superfici di controllo dell’aeromobile. Sempre più compiti richiedono che il pilota lavori in cooperazione non solo con gli altri membri dell’equipaggio, ma anche con tecnologie informatiche avanzate (Buck, 1994; Coombs, 1990, 1999).

Sfortunatamente, queste tecnologie spesso si comportano in modi sorprendenti o inspiegabili per il pilota umano (Sarter & Woods, 1992, 1994). D’altra parte, i ricercatori (Weiner, 1993) hanno sottolineato che l’automazione ha spesso avuto effetti positivi anche sull’elaborazione cognitiva del pilota, consentendo risposte efficaci in situazioni di emergenza che non sarebbero possibili senza di essa.

Buck (1994), tuttavia, conclude il suo libro sostenendo che è necessario prestare maggiore attenzione al ruolo del pilota: “Il nostro appello, quindi, è quello di sviluppare e poi implementare soluzioni utili a ridurre piuttosto che aumentare l’onere del pilota, per semplificare il suo lavoro piuttosto che complicarlo. Per rispettare, infine, il fatto che il giudizio del pilota sarà sempre necessario e per fare spazio ad esso”.

Immaginare il Pilota del Futuro

Indubbiamente il ruolo del pilota nell’aviazione commerciale e militare continuerà a risentire della tendenza a sviluppare sistemi sempre più automatizzati. Si spera che man mano che questi sistemi diventeranno più avanzati, risponderanno alla richiesta di Buck di ridurre piuttosto che aumentare i compiti del pilota. Alcuni ricercatori ritengono che questo risultato positivo si avrà quando i sistemi automatizzati saranno abbastanza intelligenti da diventare “membri dell’equipaggio elettronico” (Reising, Taylor e Onken, 1999), più “consapevoli” dello stato attuale del pilota che dovrebbero aiutare (Taylor, Howells e Watson, 2000).

In un contesto più ampio, Fallows (200la, 200Ib) presenta un’altra visione intrigante del futuro dell’aviazione. Esaminando le crescenti strozzature e i ritardi dell’attuale industria aerea, Fallows ha evidenziato come un semplice ampliamento con più aerei e più piste negli aeroporti esistenti non sarebbe una soluzione pratica o economicamente sostenibile per tenere il passo con gli aumenti previsti dei viaggi aerei. Fallows ha avanzato un’argomentazione convincente sul fatto che la maggiore affidabilità dei sistemi meccanici degli aerei, combinata con la ricerca innovativa sulle interfacce della cabina di pilotaggio, non solo rivitalizzerà l’aviazione generale, ma porterà anche all’emergere di un più ampio servizio di piccoli velivoli “taxi”.

Nel contesto attuale, è importante sottolineare il ruolo che i fattori umani dovrebbero ricoprire nello sviluppo di questo sistema ampliato di traffico aereo. A lungo termine la civiltà continuerà il suo sviluppo verso una maggiore mobilità delle persone e il sistema aereo cambierà modalità per rispondere a tale aumento. A tal fine, la comprensione del pilota umano e la costruzione di sistemi che meglio si adattano ai punti di forza cognitivi dell’uomo, al contempo supportando le fragilità umane, rimarranno una componente vitale per rendere tali sistemi efficaci e sicuri.

Il ruolo della Ricerca di Base e Applicata nella Psicologia dell’Aviazione

Per raggiungere una maggiore considerazione dei fattori umani e della Psicologia dell’Aviazione nel prossimo futuro, sarà necessario mantenere l’equilibrio tra ricerca di base e applicata nel campo, un aspetto questo che è sempre stato importante, sia nella Psicologia dell’Aviazione che nel più ampio campo della Psicologia Ingegneristica. Questa sfida è stata apertamente raccolta 50 anni fa da Jack Adams (Adams, 1972) nel suo discorso presidenziale del 1971 alla Society of Engineering Psychologists, Divisione 21 della American Psychological Society (APA). In apertura del suo discorso, Adams dichiarava: “I nostri sforzi di ricerca sono stati e sono tutt’ora insufficienti. Il futuro della psicologia ingegneristica è a rischio, a meno di non esaminare realisticamente lo stato delle nostre conoscenze, chiedendoci cosa dobbiamo fare per migliorarlo” (p. 615). Adams aveva messo a confronto le attività di ricerca di base della Divisione 21 con quelle delle altre divisioni applicate dell’APA (come Psicologia Clinica e Psicologia dell’Educazione) e aveva trovato carente la Divisione 21. Nella sua disamina, Adams aveva individuato diversi esempi di attività di ricerca in Psicologia Ingegneristica che avevano avuto inizi promettenti durante la Seconda Guerra Mondiale, ma che non erano riuscite a raggiungere una conclusione soddisfacente. È interessante notare che molti di questi esempi costituivano le prime ricerche di Psicologia dell’Aviazione sulla progettazione di display aeronautici (ad es. display di assetto, display circolari vs display lineari, display di navigazione pittorica e display analogici di contatto per il controllo veicolare)

In una loro indagine, Gopher e Kimchi (1989) hanno esaminato le implicazioni del ritmo crescente dei cambiamenti tecnologici nel campo della Psicologia Ingegneristica in generale. La potenza dei microcomputer, in rapido aumento, e la loro crescente incorporazione all’interno di quasi tutti i tipi di sistemi uomo-macchina (soprattutto aerei) costituiscono un problema fondamentale per la Psicologia Ingegneristica. Non si è ritenuto fosse conveniente impegnarsi nella ricerca applicata a lungo termine per sistemi che sarebbero durati solo per brevi periodi. Per analogia, Gopher e Kimchi hanno paragonato la situazione che devono affrontare i ricercatori di Psicologia Ingegneristica a uno strumento che dovrebbe tracciare un input, che però supera le sue capacità di tracciamento punto per punto. La migliore di tale strumento è rinunciare a tracciare ogni leggera deviazione, concentrandosi invece su: (a) tenere traccia dei movimenti più importanti e lenti dell’input e (b) tentare di prevedere gli input futuri. Gopher e Kimchi hanno tradotto questa analogia nel campo della Psicologia Ingegneristica: “…l’analogia sottolinea il ruolo dei modelli teorici nel lavoro pratico. Solo con tali modelli possiamo definire dei principi e prevedere il futuro. Se esistesse un solo insieme limitato di tecnologie lente, rigorosi approcci empirici potrebbero essere sufficienti” (p. 432).

Allo stesso modo, Kantowitz (1992) ha identificato cinque vantaggi principali che l’approccio teorico ha fornito ai professionisti dell’applicazione pratica: (a) la teoria può fornire un’estrapolazione accurata e ragionevole per nuove situazioni, (b) la teoria può stimolare previsioni precise delle prestazioni di un sistema prima che quest’ultimo venga costruito, (c) la teoria può incoraggiare una generalizzazione efficiente attraverso una serie di problemi pratici (vale a dire, la teoria può impedire ai ricercatori di reinventare costantemente la ruota), (d) la teoria può fornire una base normativa per giudicare le prestazioni umane e del sistema, per stabilire se uno sforzo aggiuntivo potrebbe produrre miglioramenti significativi e (e) la teoria è il miglior strumento pratico.

L’ultimo punto riassume perfettamente i punti di vista di Kantowitz (1992), Gopher e Kimchi (1989).

Come nel campo più ampio della Psicologia Ingegneristica, il ritmo dei cambiamenti tecnologici nell’aviazione è stato per molto tempo troppo rapido per consentire una strategia di ricerca applicata del tutto reattiva. L’unica opzione razionale, quindi, è adottare la ricerca e le teorie di base come fondamenti per il campo della Psicologia dell’Aviazione, e farne un uso approfondito. Ci saranno ampie opportunità e un bisogno impellente di una ricerca applicata mirata per ottimizzare l’applicazione della teoria alle tecnologie emergenti, ma questa ricerca avrà più possibilità di successo se avrà l’approccio teorico come guida e ne farà buon uso.

Donald Broadbent, personalità visionaria, è stato uno degli esponenti più importanti della Psicologia Sperimentale e Applicata del XX secolo (Moray, 1995). Da studente, fu allievo di Sir Frederick Bartlett e divenne infine capo della prestigiosa Unità di Psicologia Applicata di Cambridge. Essendo lui stesso un rinomato teorico, non sorprende che Broadbent considerasse di primaria importanza il ruolo dell’approccio teorico nelle applicazioni, quanto Gopher e Kimchi (1989) e Kantowitz (1992). Broadbent ha inoltre sostenuto con forza il ruolo del lavoro applicativo nell’ispirare una buona teoria. I risultati della ricerca applicata, oltre alla loro utilità pratica, dovrebbero anche costituire un test e un possibile ampliamento della teoria che sta alla loro base. Nel riassumere la sua visione, dopo un’attenta considerazione del ruolo dei problemi applicati nell’avanzamento della teoria psicologica, Broadbent scrive: “la psicologia applicata è la migliore base per una genuina teoria della natura umana” (Broadbent, 1971, p. 29). Per illustrare il punto, Broadbent indica due meccanismi attentivi che erano stati scoperti nel lavoro applicato, e che poi hanno acquistato una particolare importanza nelle sue teorie attenzionali: “Tali meccanismi possono essere trascurati da psicologi puramente teorici, per i quali è possibile ignorare la natura complessa della maggior parte delle situazioni della vita reale. Ma una volta individuati, questi principi aiutano a comprendere una quantità di altre situazioni oltre a quelle che li hanno originati; si può affermare dunque che davvero rappresentino degli elementi “teoretici” nel senso migliore del termine.” (1971, pag. 30).

Il lavoro che si presenta dunque davanti agli psicologi dell’aviazione negli anni a venire è ispirato a queste idee di Donald Broadbent, cioè che l’elaborazione di teorie e di applicazioni non sono due scopi distinti della Psicologia dell’Aviazione, ma rappresentano due aspetti essenziali del progresso di qualsiasi scienza sana. Proprio come le buone teorie psicologiche saranno utili a guidare le applicazioni che aiuteranno il pilota, le applicazioni più complesse nel campo dell’aviazione forniranno un terreno fertile per sviluppare teorie solide.

 

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Autore/i dell’articolo

Dott. Alberto Infante
  • Dottore in Psicologia
  • Redattore Volontario per la ONLUS Il Vaso di Pandora - La Speranza dopo il Trauma
  • Content Creator per l'Istituto Beck

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