Pandemia e stress in gravidanza. Il rischio aumenta

Pandemia e stress in gravidanza. Il rischio aumenta

Pandemia e stress in gravidanza

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Pandemia e stress in gravidanza. Il rischio aumenta per le donne statunnitensi

Senza dubbio l’emergenza pandemica in atto ha causato  un impatto negativo su molti degli aspetti relativi al benessere psico-fisico delle generazioni che la stanno attraversando. Di significativa importanza sono le conseguenze drammatiche che il COVID-19 ha determinato nelle donne in stato di gravidanza e nella fase immediatamente successiva al  parto. Lo studio che approfondiremo sostiene che lo stress sperimentato durante la gravidanza possa addirittura ostacolare lo sviluppo del cervello del nascituro.

In particolare, negli Stati Uniti, secondo uno studio della Whashington State University (recentemente pubblicato sulla rivista BMC Pregnancy and Childbirth) la categoria delle “future mamme” ha espresso numerose preoccupazioni circa l’eventualità che il bambino possa contrarre il virus o che la necessità di recarsi in ospedale per il parto possa rappresentare un rischio troppo elevato di entrare in contatto con la malattia e dover essere allontanate dal neonato per esigenze mediche.

Secondo l’autrice principale dell’articolo, la Dottoressa Celestina Barbosa-Leiker : «Le donne in attesa si dichiarano come molto stressate. Sperimentano alti livelli di ansia e chiedono continua rassicurazione a chi debba fornirgli l’assistenza sanitaria necessaria».

I ricercatori hanno illustrato, anche, la tendenza delle donne a temere conseguenze sul piano economico, organizzativo (fissare gli appuntamenti necessari per le cure prenatali) e nutrizionale (ad esempio difficoltà nel reperire cibo sano). Si è constatato, altresì, che lo stress aumenta nel caso ci si rivolga a donne di colore e/o con un basso reddito socio-economico.

Il team di ricerca ha analizzato le risposte al sondaggio di 160 donne in gravidanza e nel periodo post-partum nel lasso di tempo: 28 aprile/ 30 giugno 2020. Il presupposto fondamentale dello studio, più volte accertato in ambito scientifico, fa leva sull’evidenza che lo stress prenatale ha un impatto fortemente negativo sullo sviluppo fetale.

Dunque, Si è visto che circa il 52% delle donne incinte e il 49% di quelle nel periodo immediatamente successivo al parto, sono preocupate dall’eventualità che i loro bambini potessero contrarre il COVID-19, tanto da richiedere maggiori informazioni sui protocolli sanitari adottati nell’ospedale in cui avrebbero partorito. Per quanto concerne l’indagine qualitativa delle risposte, le situazioni più temute sono da ricondurre a quanto accennato precedentemente: contrarre il virus e morire, essere isolate dai neonati per essere venute in contatto con l’infezione in ospedale, dover tenere il futuro papà lontano dalla stanza del parto.

Attualmente gli ospedali, negli Stati Uniti, seppure adottino politiche diverse, stanno portando avanti una linea generalmente orientata a tenere insieme mamma e bimbo, fatta eccezione per alcuni casi speicfici.

Durante il periodo di indagine si sono riscontrate, inoltre, problematiche in grado di esacerbare tali timori. Si è constatato che:

  • Il 27% delle donne in gravidanza ha riferito di non riuscire a reperire cibo sufficientemente sano
  • Il 25% di esse ha annullato/saltato gli appuntamenti di controllo prenatale
  • Il 19% ha subito una drastica riduzione del proprio reddito economico

Nel campione preso in esame, inoltre, sembra che lo stress abbia colpito maggiormente le donne durante il periodo di gestazione piuttosto che quelle in fase di post parto.

Questi dati si inseriscono all’interno di una situazione abbastanza “critica” già in fase di partenza negli Stati Uniti. Le donne incinte statunitensi, rispetto alle proprie coetanee facenti parte degli altri paesi industrializzati, affrontano di norma molti più fattori stressanti dal punto di vista sociale ed ambientale: ad esempio, il tasso di mortalità materna è tra i più alti al mondo e  i livelli di ansia e depressione femminili sono sempre maggiori. Tutto questo prima del diffondersi del COVID-19.

I risultati ottenuti rafforzano, dunque, la necessità di maggiori risorse e supporto per le donne in stato di gravidanza, specialmente durante il momento storico che stiamo affrontando. Gli operatori sanitari dovrebbero assicurare una costante disponibilità ed apertura nei confronti delle mamme, lasciando che esse possano esprimere liberamente le proprie preoccupazioni e garantendogli rassicurazione e supporto emotivo/pratico in una fase della vita così delicata sia per la mamma che per il bimbo.

Stessa accortezza dovrebbero utilizzare i membri del nucleo familiare allargato della donna, nei confronti del quale esse tendono a nutrire molti sensi di colpa. Le mamme si sentono in dovere di garantire a se stesse e ai propri bimbi maggiore sicurezza, limitando le visite parentali nel periodo successivo alla nascita. Ma questo può generare malumori e un forte senso di colpa nella mamma che sperimenta il timore di offendere le persone implicate. Spetta, non sono agli operatori sanitari, ma anche ad ognuno di noi la responsabilità di garantire maggiore sensibilità nei confronti di queste mamme.

Riferimenti

  • Barbosa-Leiker, C., Smith, C.L., Crespi, E.J. et al. (2021). Stressors, coping, and resources needed during the COVID-19 pandemic in a sample of perinatal women. BMC Pregnancy Childbirth.  21, 171 (2021). https://doi.org/10.1186/s12884-021-03665-0Barbosa-Leiker C. et al. (2021).

Autore/i dell’articolo

Dott.ssa Fantacci Chiara
Psicologa Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Iscritta all’Ordine degli Psicologi della Regione Lazio dal 15/10/2012 n. 19486. Esperta nel settore dei disturbi in età evolutiva e, in particolare, nell’attività diagnostica finalizzata all’individuazione di aspetti sintomatologici che possano rallentare e/o interferire con il benessere di natura psicologica ed emotiva del bambino. Si occupa, inoltre, del trattamento e di fornire sostegno psicologico a genitori ed insegnanti implicati nel processo di crescita del paziente. Ha conseguito il primo livello di formazione in EMDR e secondo livello in Terapia Metacognitiva Interpersonale dei Disturbi di Personalità.

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