La polemica sul Gaming Disorder come categoria diagnostica

La polemica sul Gaming Disorder come categoria diagnostica

Polemica sul Gaming Disorder

A metà di quest’anno verrà pubblicata l’11a edizione della Classificazione internazionale delle malattie (ICD, dall’inglese “International classification of diseases“), che racchiude una lista di malattie definite da precisi criteri diagnostici. Grazie a questa classificazione abbiamo un sistema convenzionale comune di ricerca e di dati epidemiologici. L’ultima versione, la ICD-9, è stata pubblicata nel lontano 1994.

Una delle introduzioni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha voluto è stata quella del gaming disorder, ovvero la dipendenza da videogiochi. Questo disturbo viene descritto come un comportamento di videogioco caratterizzato da perdita di controllo per la quale il videogioco diventa una priorità su altre attività e interessi. Similmente ad altre forme di dipendenza, possono insorgere problemi la cui comparsa non influisce sul tempo speso a giocare: viene intaccata la sfera personale, quella familiare, sociale, scolastica, lavorativa ed altre. In genere il problema si evidenzia quando, per videogiocare, si cancellano appuntamenti, si fa tardi a lavoro o a scuola, si sottraggono ore al sonno. Quando questi comportamenti si protraggono per almeno un anno, si può diagnosticare questo disturbo.

Questa decisione è stata presa dal nutrito team internazionale che sta lavorando sulla nuova edizione dell’ICD ed è motivata dalla crescente ricerca sul fenomeno e dai risultati che vedono più persone evidenziare le difficoltà riportate nei criteri del gaming disorder.

L’obiettivo dell’ICD è anche quello di sensibilizzare al problema e preparare i professionisti della salute, mentale o no, a investigare e accogliere le richieste di aiuto relativamente alle difficoltà nell’uso incontrollato di videogame. In alcune nazioni è infatti un problema serio, come nella Corea del Sud: il governo si è visto costretto a emanare una legge che vietasse l’accesso ai videogiochi online sotto i 16 anni tra la mezzanotte e le 6 del mattino. Sembra che quasi 700.000 mila dei ragazzi tra i 10 e i 18 anni siano dipendenti dai videogame, con più di 20 ore alla settimana passate alle console (quasi tre ore al giorno).

Questa decisione dell’OMS, tuttavia, non è stata accolta da tutti con entusiasmo. Secondo l’Entertainment Software Association (ESA, che è un’associazione americana dell’industria dei videogiochi), le ricerche collegate all’introduzione di questo disturbo sarebbero “altamente contestate e inconcludenti” e non ci sarebbe “alcuna prova oggettiva per definire e diagnosticare l’abuso”, con il pericolo di fare diagnosi errate.

Neanche dal fronte della comunità scientifica sono tutti d’accordo con l’OMS e con l’introduzione da parte dell’American Psychiatric Association (APA) dell’Internet gaming disorder nel DSM-5, seppure l’APA è stata più cauta e ha definito questo disturbo una condizione che necessita ulteriori studi. Le obiezioni sono che queste decisioni sono premature e non sembra che i criteri diagnostici e i sintomi correlati al gaming disorder siano chiari e incontrovertibili, né che siano stati fatti reali sforzi per interpellare gli specialisti scettici sull’argomento, come i Ph.D. Christopher J. Ferguson e Anthony M. Bean. Secondo loro, c’è bisogno di molta più ricerca sull’argomento prima di prendere una decisione così importante.

Parte della motivazione per la decisione dell’OMS sta proprio nel fatto che pochi studi sono ancora stati presentati e l’organismo spera che l’introduzione di questa categoria diagnostica possa dare input per nuove ricerche.

Riferimenti:

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