Quanto le Intenzioni non Bastano: La Teoria del Comportamento Pianificato

Quanto le Intenzioni non Bastano: La Teoria del Comportamento Pianificato

Quanto le Intenzioni non Bastano: La Teoria del Comportamento Pianificato
Quanto le Intenzioni non Bastano: La Teoria del Comportamento Pianificato

Quanto le Intenzioni non Bastano: La Teoria del Comportamento Pianificato

Le lunghe vacanze natalizie sono ormai giunte al termine da un po’. Ci siamo lasciati alle spalle i cenoni, gli interminabili pranzi, gli immancabili pandori, panettoni, torroni e struffoli consumati per colazione, spuntini e merende.  Più che alle spalle, tutto il cibo più o meno salutare consumato durante le festività, ha fatto capolinea nella nostra pancia, che in questi giorni potrebbe sembrarci (ma solo sembrarci eh!) più tonda del solito, rispetto a come la ricordavamo a dicembre prima delle feste. Ed eccoci allora pronti e pronte a dire “dalla prossima settimana mi scrivo in palestra”, “per tutto il prossimo mese via tutto il cibo spazzatura”, fino all’immancabile “da lunedì dieta!” e così via di intenzione in intenzione, lasciamo trascorrere i giorni senza mettere in atto nessuno di questi comportamenti, così che la nostra pancia sembra crescere ogni giorno un pochino di più.

Tutto questo basterebbe a farci comprendere che le semplici intenzioni, quali ad esempio l’intenzione di aumentare l’attività fisica o di iniziare e mantenere una dieta alimentare salubre, non sono sufficienti all’effettiva messa in atto di un comportamento. Ajzen, nel 1991, elaborò la Teoria del Comportamento Pianificato, secondo cui un comportamento aumenta le probabilità di essere messo in atto, non solo se supportato ovviamente da un’intenzione, ma se sono presenti le seguenti 3 componenti: Atteggiamento, Norme Soggettive; Autocontrollo Percepito.

All’interno della componente Atteggiamento, rientrano tutte quelle credenze relative alla possibilità che un dato comportamento determini degli esiti specifici desiderati, nonché tutte le nostre valutazioni di questi esiti (Hayden, 2017). Nel caso specifico, ad esempio, dell’iscriversi in palestra: “Andare in palestra 2-3 volte a settimana mi farà perdere i chili presi durante le festività?”, “Mi farà mantenere una forma fisica normale e tutto sommato indicativa di un buono stato di salute?”, “Mi renderà bella e in forma come le supermodelle o definito e muscoloso come un body builder?” Chiaramente, in base alle aspettative che una persona si prefigge, varieranno non solo le credenze relative al fatto che il suo comportamento porterà agli esiti sperati, ma saranno influenzate anche le valutazioni degli esiti che sarà stata in grado di raggiungere. Una delle prime cose da fare, quindi, è quella di calibrare le nostre aspettative rispetto al comportamento che decidiamo di mettere in atto, così da poterci sentire soddisfatti man mano che raggiungiamo l’obiettivo. Solo in seguito sarà possibile spostare in avanti l’asticella della difficoltà e della frequenza del comportamento, che richiederà, quindi, un impegno maggiore da parte nostra. Così facendo, saremo in grado di valutare positivamente i nostri risultati, li potremo apprezzare di più così come potremo apprezzare maggiormente anche noi stessi, congratulandoci per gli obiettivi realizzati.

Le norme soggettive, invece, fanno riferimento a tutte quelle credenze su ciò che le persone a noi care o vicine si aspettano da noi, in relazione a quel comportamento (Brooks et al., 2017). Comprendono anche le nostre motivazioni ad adattarci alle aspettative delle persone a noi care. La nostra motivazione a iscriverci in palestra sarebbe la stessa se a farci notare i nostri chiletti in eccesso fosse nostra nonna o il nostro partner? Oppure, quanto è importante per le persone a me vicine che io sia in forma? Un conto è trovarsi all’interno di una cerchia di amici e avere un partner che, come noi, non ama fare sport e non tiene particolarmente alla forma fisica. Diverso, invece, sarebbe trovarsi a contatto con amici, fidanzata o fidanzato, che hanno fatto della propria forma fisica il principale obiettivo di vita. Per quanto possa piacerci, anche l’ambiente, inteso come tutto ciò che è esterno a noi, altre persone incluse, contribuisce a formare le nostre scelte, le nostre intenzioni e quindi i nostri comportamenti.

Infine l’Autocontrollo percepito si riferisce all’insieme delle valutazioni inerenti le risorse necessarie, le abilità possedute, le eventuali barriere ambientali, al fine di mettere in atto uno specifico comportamento (Koka & Hagger, 2017). All’interno dell’autocontrollo percepito rientra chiaramente anche la percezione della nostra capacità di mettere in atto quel comportamento. Un comportamento difficile, quindi, può essere messo in atto se la percezione di potercela fare è alta, altrimenti anche azioni semplici possono non essere messe in atto se si percepiscono delle barriere interne o esterne. Se una persona si percepisce come impegnata su mille fronti e lavora anche durante quello che dovrebbe essere il suo tempo libero, difficilmente si iscriverà in palestra, nonostante il suo atteggiamento e le sue norme soggettive, in quanto riterrà di non avere ritagli sufficienti di tempo per frequentare anche una palestra.

In conclusione, tra i principali contributi apportati dalla Teoria del Comportamento Pianificato, rientra senz’altro l’importanza delle credenze di una persona, che sono le principali determinanti del suo comportamento (Godin & Kok, 1996). Sono soprattutto le realtà soggettive, più che quelle oggettive, che ci spingono a sviluppare intenzioni e a mettere in atto comportamenti. Che poi tali credenze siano oggettive, basate su dati di realtà, o profondamente errate, beh, questo ha minore importanza.

Marco Salvati

Riferimenti

  • Ajzen, I. (1991). The theory of planned behavior. Organizational Behavior and Human Decision Processes50(2), 179-211.
  • Brooks, J. M., Iwanaga, K., Chiu, C. Y., Cotton, B. P., Deiches, J., Morrison, B., … & Chan, F. (2017). Relationships between self-determination theory and theory of planned behavior applied to physical activity and exercise behavior in chronic pain. Psychology, Health & Medicine22(7), 814-822.
  • Godin, G., & Kok, G. (1996). The theory of planned behavior: a review of its applications to health-related behaviors. American Journal of Health Promotion11(2), 87-98.
  • Hayden, J. A. (2017). Introduction to health behavior theory. Jones & Bartlett Learning.
  • Koka, A., & Hagger, M. S. (2017). A brief intervention to increase physical activity behavior among adolescents using mental simulations and action planning. Psychology, Health & medicine22(6), 701-710.

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