Il ruolo delle emozioni materne sullo sviluppo fetale: “quando far del bene alla madre fa bene al bambino”

Il ruolo delle emozioni materne sullo sviluppo fetale: “quando far del bene alla madre fa bene al bambino”

Ecco spiegato il ruolo delle emozioni materne sullo sviluppo fetale: “quando far del bene alla madre fa bene al bambino”.

Photo by Dakota Corbin on Unspash

La gravidanza rappresenta un periodo di profonda connessione fisiologica ed emotiva tra la madre e il suo bambino, fin dai primissimi istanti dopo il concepimento. La maggior parte delle volte alla donna si attribuiscono emozioni positive come la gioia, la sorpresa e l’entusiasmo. Ma la pratica clinica racconta anche di donne che, contrariamente alle attese sociali, sperimentano emozioni diametralmente opposte che vanno dalla tristezza, al rifiuto, alla rabbia, all’ansia, fino a sperimentare veri e propri vissuti depressivi ancor prima che il bambino venga al mondo. Ma quale è il motivo di tanta ambivalenza emotiva? E che peso hanno le emozioni della mamma sul benessere del feto?

L’attesa di un bimbo sconvolge totalmente lo stile di vita della donna e rende necessario il riassetto delle molteplici aree della sua vita: lavorativa, dei cambiamenti corporei, relazionale e finanziaria. La futura mamma potrebbe sentirsi totalmente sopraffatta da tutti questi cambiamenti tanto da sperimentare un abbassamento del tono dell’umore, la comparsa di sintomi ansiosi e un aumento nei livelli di stress percepito. Parecchie forme di ansia e di stress prenatale potrebbero incrementare il rischio di difficoltà emotive o di autoregolazione durante i primi due anni di vita del bambino (Koria et al., 2017). L’eccessiva produzione di cortisolo, attivata in risposta a situazioni stressanti (o percepite come tali), è associata a malattie respiratorie e digestive dei bambini fino all’età di tre anni (Zijlmans et al., 2017). Sono proprio gli alti livelli di cortisolo materno prodotto durante la gestazione a incidere sulla regolazione precoce dello stress determinando, per esempio, una marcata reattività comportamentale (Nazzari et al., 2018).

Il periodo fetale (che va dalla nona settimana di gestazione alla nascita) merita particolare attenzione: “…è uno dei periodi più critici per lo sviluppo cerebrale. Lo stress prenatale potrebbe rendere lo sviluppo cerebrale più vulnerabile a fattori stressanti aggiuntivi come la depressione materna…” (Nomura et al., 2019). E’ stato riscontrato che la depressione materna prenatale ha un notevole impatto sul temperamento infantile e sulla regolazione delle emozioni. In particolare si sono registrati: livelli più elevati di stress e di paura nel bambino; una ridotta reattività alle cadute; una minore tendenza a sorridere; un’inclinazione alla tristezza (Nomura et al., 2019). La depressione materna non è così infrequente, infatti molte donne possono iniziare sin da subito a sperimentare un abbassamento del tono dell’umore e una generale percezione di inadeguatezza. Essa colpisce circa il 15% delle donne in stato di gravidanza (in una percentuale simile alle donne nel periodo post-natale) e può determinare difficoltà cognitive, comportamentali ed emotive nella prole (Pearson et al., 2018). È quanto emerge da uno studio che ha indagato la relazione tra i sintomi depressivi della madre (durante la gravidanza e nel primo anno dopo il parto) e la percentuale di disturbi del comportamento internalizzanti (sintomi emotivi / ansiosi e sintomi di ansia da separazione) ed esternalizzanti (iperattività / disattenzione, aggressività fisica) dei bambini all’età di tre anni. La percentuale di entrambi i tipi di disturbi è risultata più elevata nei bambini la cui madre presentava sintomi depressivi più gravi, sia nel periodo prenatale che nell’anno successivo al parto. Questi risultati, secondo gli studiosi, rendono necessario il monitoraggio della salute mentale materna, al fine di ridurre il rischio di esiti negativi associati sullo sviluppo socio-emotivo e comportamentale dei bambini (Kingston et al., 2018).

Per rendere possibile tutto questo è necessario organizzare una vera e propria rete di supporto che preveda l’intervento di diverse figure specialistiche, come ostetriche, ginecologi, psicologi e che abbia come finalità quella di stimolare: la condivisione della gestante dei propri vissuti emotivi; contrastare la frequente convinzione di inadeguatezza e il senso di colpa derivante dal fatto di non sentirsi felici come il senso comune vorrebbe; garantire alla donna la possibilità di entrare in contatto facilmente con specialisti di strutture pubbliche e private sia prima che dopo il parto.

L’attuale panorama scientifico e sanitario sta andando in questa direzione: la cura, l’ascolto e la tutela del benessere psico-fisico della madre sono diventati condizione imprescindibile per garantire lo sviluppo sano e armonico del bambino.

Riferimenti

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