Ogni 40 secondi una persona si suicida
Il 13 e 14 settembre si è tenuto a Roma il Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica, appuntamento annuale che da ormai 16 anni riunisce a Roma ricercatori e relatori da tutte le nazioni. L’iniziativa si ripete ogni settembre in quanto proprio il 10 di questo mese ricorre la Giornata Internazionale sulla Prevenzione del Suicidio voluta da International Association for Suicide Prevention, Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e World Federation for Mental Health.
Questa ricorrenza si rende necessaria in quanto molto si è fatto per sensibilizzare al problema e parlarne ma ancora molto occorre fare e i dati diffusi dall’OMS supportano questa necessità. Ogni 40 secondi una persona nel mondo si suicida, arrivando a 880.000 persone che ogni anno si tolgono la vita. Solo in Italia il numero di suicidi è di 4000 nell’arco di un anno, dei quali almeno 200 solo a Roma. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani e, seppure generalmente è un evento che coinvolge soprattutto gli uomini tra i 45 e i 50 anni, si è ultimamente assistito a un aumento di incidenza nella popolazione tra i 24 e 65 anni, probabilmente a causa della crisi economica e delle sue ricadute nella qualità della vita.
Ad aprile abbiamo parlato di Project 84, un’installazione artistica di Mark Jenkins che voleva sensibilizzare ai suicidi nel Regno Unito, appunto 84 uomini ogni settimana, con lo stesso numero di manichini incappucciati e posti ai bordi di alcuni palazzi a Londra, come fossero sul punto di saltare nel vuoto. L’analogo numero di suicidi evidenzia come possa succedere ovunque e, con le dovute differenze, a chiunque: non coinvolge solo persone con disturbi psichici, non riguarda esclusivamente alcune fasce economiche della popolazione.
La Giornata internazionale e congressi come questo fanno in modo che del problema se ne parli, in quanto parlarne è un grosso passo verso la prevenzione. Infatti, almeno il 70% di chi poi si è tolto la vita aveva espresso in qualche modo la volontà di farlo, con affermazioni come “Magari fossi morto” o “A che serve vivere”. Esiste il pregiudizio che, toccando l’argomento, si possa spingere la persona a fare il passo fatale: al contrario, parlandone la si può aiutare a confrontarsi con il suo disagio, sentirsi accolta e compresa e aumentare la possibilità che cambi la sua decisione.
È, infatti, importante sottolineare che, seppure si stia tentando o si sia tentato il suicidio, la persona vuole vivere: togliersi la vita non esprime la voglia di non vivere, bensì quella di trovare una soluzione definitiva a un profondo malessere che sembra, invece, essere senza via d’uscita.
Riferimenti:
- Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica;
- Project 84, inquietante installazione artistica per la prevenzione del suicidio.