Testamento biologico, ansia della morte e Mindfulness
Testamento biologico, ansia della morte e Mindfulness
Il testamento biologico (o biotestamento) è stato approvato in via definitiva dal Senato il 14 dicembre. La nuova legge ha attraversato un percorso accidentato e arriva più di dieci anni dopo la morte tristemente famosa di Piergiorgio Welby il quale, affetto da distrofia muscolare, chiedeva che gli venissero interrotte le cure in quanto non più capace di muoversi, alimentarsi e respirare autonomamente.
Poiché si tratta di temi molto delicati, Parlamento e Senato sono stati teatro di scontro delle convinzioni personali, etiche e religiose dei vari onorevoli. In realtà, il favore accordato dagli italiani al testamento biologico nell’ultimo anno è salito (71,6%, contro il 67,5% nel 2015, dati Eurispes 2016), indicando come questa legge appariva già necessaria al nostro Paese.
Possiamo definire questo provvedimento un passo avanti nel diritto di autodeterminazione: lungi dall’obbligare, la legge in questione offre al paziente la possibilità di scegliere le proprie volontà relative alle cure a cui accedere o non accedere anche quando non sarà in grado di esprimersi. Potrà quindi dichiarare le proprie Disposizioni Anticipate di Trattamento e indicare un fiduciario che si occuperà di farle rispettare. Accanto a questo, viene anche riconosciuto il diritto del medico di rifiutarsi di interrompere le cure: a quel punto, la struttura sanitaria ha l’obbligo di trovare un altro medico.
Entrando nel merito della legge sul biotestamento, vengono definiti tre punti principali: il consenso informato, che ribadisce il diritto di autodeterminazione dopo essere stati informati delle possibilità di trattamento, dei rischi e delle conseguenze in caso di rifiuto del trattamento medico; l’interruzione di nutrizione e idratazione artificiali, considerati come parte di accanimento terapeutico in quanto posticipano il naturale sopraggiungere della morte; la possibilità di sedazione profonda, ovvero uno stato di coma indotto farmacologicamente, in modo da morire senza soffrire e non per stenti, come accadrebbe con la semplice interruzione di nutrizione e alimentazione artificiali.
I motivi per accedere alle nuove possibilità offerte dalla legge sono molteplici: malattia terminale, invalidante, cronica, persistenti e alti livelli di dolore, gravi complicanze dovute a incidenti, ecc. Tenendo conto che nella specie umana la mortalità è al 100%, sembra dunque una mossa saggia quella di mettere nelle nostre mani le decisioni di trattamento, non nelle mani di un medico o un familiare che, per quanto orientati al benessere del paziente, potrebbero essere di opinioni differenti. Quello che cambia ora è che è l’individuo in questione a fare una valutazione della qualità della propria vita relativamente alle sue condizioni di salute, una valutazione dunque personale, non definita a priori da una disposizione di legge. Pensate alla storia di Eluana Englaro, in stato vegetativo per 17 anni: grazie a questa legge, dando disposizioni in anticipo nessuno può essere obbligato a quasi due decadi di totale incoscienza e senza speranza di miglioramento.
La cultura occidentale ha sempre tenuto la morte a debita distanza. In ambito di psicologia sociale, si parla di terror management theory (teoria della gestione del terrore): il conflitto che deriva tra l’istinto di sopravvivenza e la consapevolezza dell’inevitabilità della morte produce terrore e ansia che impariamo a gestire con numerosi usi culturali, atteggiamenti, linguaggi. Per esempio, la giovinezza come qualità superiore all’anzianità (creme, chirurgia estetica, battute sulla senescenza, ecc.); il mito dell’immortalità presente trasversalmente in molte religioni; il modo in cui ci approcciamo alle malattie terminali, per le quali si parla di “battaglia contro il cancro” e “sopravvissuti al tumore”. Il messaggio che serpeggia è che la morte sia un fallimento, una sconfitta, quando invece è uno dei tanti aspetti della nostra vita. Converrebbe quindi aprire una conversazione sulla morte e cambiarne il lugubre aspetto di Tristo Mietitore con la falce.
La meditazione Mindfulness si è rivelata una risorsa molto importante per affrontare l’ansia relativa alla morte. In particolare, praticare Mindfulness riduce le reazioni negative all’idea della propria morte, reazioni come irritazione e aggressività verso coloro che violano la propria visione del mondo, credenze o valori morali, soppressione attiva dei pensieri relativi alla morte, negazione della propria vulnerabilità a malattie terminali o morte prematura; ma anche cambiamenti cognitivi e comportamentali positivi, come maggiore intenzione a fare esercizio fisico regolare o uso delle creme solari. La caratteristica della Mindfulness, che sottolinea la natura non reale dei propri pensieri, ne fa quindi la pratica ideale per una risposta emotiva più oggettiva ad argomenti che solitamente vengono visti come minacciosi e pericolosi. Anche una breve pratica di Mindfulness (per es. 10 minuti) migliora la regolazione emotiva e la tolleranza allo stress.
Benino Argentieri
BIBLIOGRAFIA