Ridi che ti passa! L’umorismo in Psicoterapia

Ridi che ti passa! L’umorismo in Psicoterapia

umorismo in Psicoterapia

Photo by Lesly Juarez on Unsplash

L’ho sempre saputo, giocare è una roba seria. Nel mio ultimo anno di università mi sono dedicato a questo, ho approfondito e sviluppato il sistema motivazionale di gioco sociale. Sono andato a sbirciare tra le neuroscienze, la psicologia dello sviluppo, l’etologia. Mostri sacri come Gregory Bateson, Konrad Lorenz, Eibl-Eibesfeldt, Jerome Bruner, Jaak Panksepp supportavano la mia idea, tutti dicevano la stessa cosa: il gioco consente di sperimentare e modulare i vari sistemi motivazionali e armonizzarne le transizioni. Negli ultimi anni l’interesse è cresciuto esponenzialmente e gli scienziati hanno cominciato a disegnare specifiche ricerche per comprendere meglio il ruolo e gli effetti dell’umorismo in psicoterapia.

I risultati di un nuovo interessante studio pubblicato su The American Journal of Psychotherapy (2018) suggeriscono che…ridere in terapia fa bene! L’uso dell’umorismo durante le sedute di psicoterapia sembra infatti essere associato a risultati migliori.

Numerosi ricercatori negli anni hanno prodotto abbondante letteratura in merito a rischi e benefici dell’uso di questo strumento terapeutico assai particolare. Ciò che mancava secondo lo psichiatra autore dello studio Christophe Panichelli, però, erano studi sulla relazione tra l’efficacia della psicoterapia e l’utilizzo di questo strumento. In effetti, fino allo scorso anno, era stato pubblicato un solo studio su questa associazione (Ventis, 2001), che coinvolgeva pazienti che soffrivano di aracnofobia sottoposti a psicoterapia comportamentale.

Allo studio condotto da Panichelli hanno partecipato 110 pazienti ambulatoriali, sia uomini che donne, con diverse diagnosi. Tutti i partecipanti hanno portato a termine almeno 10 sedute.

I pazienti e i loro terapeuti hanno valutato la frequenza e l’intensità degli interventi umoristici, nonché l’efficacia della terapia, l’alleanza terapeutica, la speranza percepita e il piacere di partecipare alle sedute.

Ciò che è emerso è che l’utilizzo dell’umorismo fosse associato a valutazioni migliori dell’efficacia della psicoterapia. Inoltre, i pazienti che avevano usato un maggior numero di volte l’umorismo riportavano un piacere maggiore nel prendere parte alle sedute ed un rafforzamento dell’alleanza terapeutica. I pazienti con diagnosi più severe riportavano invece un minor utilizzo dell’umorismo.

“L’umorismo è presente praticamente in ogni relazione umana, e anche all’interno delle sedute di psicoterapia. I pazienti fanno battute umoristiche sulla loro situazione, e anche sul processo terapeutico”, ha affermato Panichelli.

Certamente, è importante non dimenticare che non avendo incluso alcune diagnosi non è possibile generalizzare i risultati ottenuti. “Volevamo completare i dati già disponibili in letteratura seguendo il consiglio di W.E. Deming: ‘Di Dio ci fidiamo; tutti gli altri devono portare dati [a sostegno]’”, ha detto Panichelli.

Inoltre, questa ricerca ha trovato conferma della nota associazione negativa tra umorismo e depressione: all’aumentare di sintomi depressivi diminuisce sia l’utilizzo che l’apprezzamento dell’umorismo. Per di più, non è emersa alcuna prova riguardo la diminuzione di questi sintomi in seguito all’utilizzo dell’umorismo.

“I nostri risultati mostrano che circa il 15% della variabilità dell’umore è legato alla variabilità dell’efficacia della terapia, ma il nostro protocollo di ricerca non indica la direzione della causalità”, ovvero se sia A a causare B o viceversa, ha spiegato Panichelli.

Sarà senz’altro interessante capire infine se sia l’umorismo a migliorare effettivamente i risultati della terapia, o se siano i risultati positivi ottenuti con la terapia ad innescare l’utilizzo di umorismo.

“Come altri strumenti psicoterapeutici, l’umorismo può aiutare il processo di guarigione ma può anche nuocere”, ha aggiunto l’autore. Ciò a cui gli psicoterapeuti devono prima di tutto puntare è riuscire a trasmettere ai propri pazienti la loro empatia, mostrando comprensione e rispetto per la loro sofferenza.

Riferimenti:

Autore/i dell’articolo

Dott. Gabriele De Gabrielis
Psicologo, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, psicoterapeuta TMI (Terapia Metacognitiva Interpersonale). Ha conseguito il I livello della formazione in EMDR. Ha svolto la sua attività in diversi contesti: strutture semiresidenziali, centri clinici, U.O.C. Tutela Salute Donna ed Età Evolutiva – ASL Roma 2, U.O.C. Psichiatria – Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Da anni si dedica allo studio dei sistemi motivazionali nell’ottica cognitivo-evoluzionista contribuendo, attraverso diverse ricerche, allo sviluppo della Teoria Evoluzionistica della Motivazione (TEM). Attualmente collabora in qualità di psicologo e psicoterapeuta presso l’Istituto A.T. Beck di Roma.

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