La meditazione metta

La meditazione metta

La meditazione metta

La loving kindness

La locuzione loving kindness gentilezza amorevole traduce la parola Pali metta, che descrive uno stato d’animo aperto, fiducioso, benevolo, capace di sintonizzarsi sulla bellezza che splende in se stessi, negli altri e nella realtà.

Nella tradizione meditativa la loving kindness o metta dà il nome a un tipo di pratica finalizzata a suscitare un sentimento di prossimità fra tutti gli esseri viventi, abbracciandoli nell’aspirazione che possano stare bene ed essere felici (Wallace, 2001).

Questa meditazione stimola la consapevolezza che siamo tutti uniti nelle gioie e nei dolori dell’esistere, siamo tutti sul medesimo piano: non c’è creatura al mondo che non voglia essere amata, che non desideri sentirsi al sicuro e lontana dalla sofferenza.

Nel Buddhismo la metta è coltivata a partire da sé stessi (Salzberg, 1995; Coomaraswamy, 2015; Midal, 2017), perché – come insegna il Buddha – si può viaggiare il mondo in lungo e in largo senza trovare qualcuno che sia maggiormente bisognoso d’amore di noi (Hick and Bien, 2008).

Le origini della loving kindness

La storia della nascita della meditazione di gentilezza amorevole è narrata da una fiaba. Il racconto traduce poeticamente l’idea del sentimento di pace che la pratica suscita nel cuore di chi vi si cimenta.

Si racconta che al tempo in cui il Buddha era in vita un drappello di monaci a lui devoti decise di intraprendere un viaggio ai confini di una remota foresta, che era stata prescelta come luogo di meditazione. Una volta arrivati, i monaci vi stazionarono serenamente per i primi giorni. La foresta era quieta, gli alberi folti offrivano ristoro e riparo dai torridi raggi solari. Nelle vicinanze un ruscello d’acqua pura dava loro modo di bere e lavarsi indisturbati.

I monaci ignoravano che la sontuosa foresta fosse la dimora degli spiriti degli alberi i quali, non appena compresero che i meditanti non sarebbero ripartiti di lì a poco, si arrabbiarono terribilmente. Decisero quindi di spaventare gli ospiti sgraditi e mutarono i propri tronchi rigogliosi in forme terrificanti. Iniziarono, quindi, a emettere versi così raccapriccianti da spaventare anche i cuori più impavidi, tanto che in breve tempo i monaci finirono con il darsi alla fuga.

Rientrati al monastero, furono interrogati dal Buddha sul motivo del loro precoce ritorno. Spiegarono con dovizia di particolari la disavventura vissuta. Ma il Buddha, dopo averli ascoltati, consigliò loro di tornare nella foresta. Non lì mandò, però, a mani vuote, ma insegnò loro una meditazione nuova e potente – la mettā – da praticare a ogni passo lungo la via. I monaci erano incerti e frastornati. Come tornare proprio là dove le proprie speranze erano state disattese, in cui si erano sentiti smarriti e minacciati? Si affidarono comunque al maestro e seguirono le sue raccomandazioni.

Quando gli spiriti degli alberi scorsero nuovamente il drappello di devoto nelle loro vicinanze, vennero nuovamente assaliti da una profonda collera. Mutarono il proprio aspetto, rendendo orribili le proprie fattezze. Presero, quindi, a ululare e a prepararsi all’attacco. Nonostante ciò, i monaci – forti dell’istruzioni dell’Illuminato – continuarono ad avanzare verso la foresta praticando la gentilezza amorevole passo dopo passo e invocando il bene per gli alberi, così come per ogni altro essere vivente. Gli spiriti cominciarono a sentirsi inondare di pace. Quasi fosse una brezza estiva che dona refrigerio all’arsura cocente, il sentimento di benevolenza che li colmava a poco a poco spegneva il fuoco della loro rabbia e portava una quiete capace di alleviare ogni livore. A quel punto gli alberi, quasi senza accorgersi, ripresero il loro consueto aspetto e si animarono di un sorriso meraviglioso e lumeggiante. Come ringraziamento, alcuni spiriti si levarono spontaneamente dai rami e dai tronchi per andare a raccogliere acqua e a pulire i sentieri, altri accesero un fuoco. Erano così mutati dagli effetti della gentilezza amorevole che, una volta che i monaci furono arrivati, li invitarono a restare per sempre nella foresta e impararono a loro volta la mettā. Iniziarono presto a praticare tutti insieme e, giorno dopo giorno, conobbero la profondità della pace che l’amorevolezza può donare al cuore. Tutti ne beneficiarono. Così è un cuore rischiarato dalla loving kindness: esso batte pacato, stabile, sereno e, a ogni palpito, irradia con il suo ritmo armonioso chiunque lo incontri e in ogni dove.

Le qualità della gentilezza amorevole

La fiaba della metta parla di amore: amore sconfinato, amore incondizionato, amore che non conosce il pregiudizio. Si tratta di una visione della vita che inonda ogni cosa di luce, una luce che penetra negli angoli più ombrosi e solitari di noi e dello spazio che ci circonda, che arriva sin dietro le porte che chiudono stanze dov’è difficile mettere piede. Una luce che pervade, illumina, scalda, rischiara e dà nutrimento, come quella che il sole, la luna e tutti gli astri della volta celeste effondono sulla terra e su ogni essere vivente, senza eccezione.

La gentilezza amorevole è un antidoto all’ansia, in qualsiasi forma essa si manifesti. Che si provi preoccupazione, angustia, affanno, paura, worry, panico, questi sentimenti sopiranno un poco alla volta, via via che il cuore si colma di questa pacata benevolenza. Se si coltiva la loving kindness si dorme in pace e senza incubi, il riposo ospita sogni d’oro e il risveglio saluta il nuovo giorno con fiducia e serenità. Chi pratica la gentilezza amorevole finisce, a sua volta, con il sentirsi amato, accolto, ben voluto, protetto. Invecchia e lascia la vita senza turbamento e con la pace nel cuore.

Praticare la meditazione della gentilezza amorevole

La meditazione metta segue una sequenza particolare. La gentilezza amorevole viene in prima battuta indirizzata nei confronti di sé stessi. Successivamente il pensiero si espande al di fuori di noi, toccando dapprima le persone che amiamo e rispettiamo (i nostri benefattori, i nostri cari, i nostri amici), quindi le persone con cui abbiamo rapporti di routine, che non ci coinvolgono emotivamente (colleghi di lavoro, persone poco conosciute o incontrate occasionalmente in strada, sul bus, in un negozio). Come passaggio successivo l’attenzione si posa sulle persone con cui si hanno relazioni difficili (con un’espressione buddhista, sui nostri “nemici”). Infine su coloro che soffrono, su tutti gli esseri viventi in questo mondo e l’intero universo conosciuto e sconosciuto.

Quando ci si confronta con questa meditazione per la prima volta, è naturale che sia complicato rivolgere uno sguardo amorevole a chi – consapevolmente o meno – ci ha nuociuto. Ma con il tempo la pratica potenzia proprio la nostra capacità di aprirci anche a ciò che è impensabile, doloroso, respingente.

Per rendere più semplice muovere i nostri primi passi con la metta, è possibile utilizzare alcune frasi di supporto, che aiutino a abbracciare un atteggiamento teneramente aperto:

  • Possa tu essere felice
  • Possa tu essere al sicuro
  • Possa tu essere in salute
  • Possa tu essere in pace

Se queste frasi non risuonano con la nostra sensibilità, è possibile utilizzarne altre, che ci si addicano di più. Il punto è essere autenticamente disponibili a questa esperienza. L’amore è una scelta personale da confezionare su misura, ognuno per sé. Sentiamoci liberi, perciò, di dare forma alle espressioni più adatte a noi.

È importante fare in modo che le parole che pronunciamo abbiano un peso e una direzione. Come se stessimo gettando consapevolmente un sasso nell’acqua, vogliamo far caso al peso della pietra nel palmo della mano, alla sua superficie liscia e fresca, al rumore che fa quando arriva, alle onde che provoca cadendo e al ricordo che lascia in noi. Allo stesso modo, mentre ripetiamo le parole amore o gioiabenessere o serenità ne assaporiamo il significato sino in fondo, sentendole vibrare e ascoltando il sentimento che suscitano. Lasciamo che il nostro cuore, come uno splendido fiore, si apra all’augurio. Cerchiamo ci connetterci all’idea che la persona a cui pensiamo è proprio come noi, desidera ciò che noi vogliamo.

La loving kindness e la ricerca

Molti studi (tra gli altri: Bien, 2006; Feldman, Greeson, Senville, 2010; Kearney, Malte, McManus, 2013) testimoniano i benefici di questa pratica in termini di:

  • Abbassamento dei livelli di stress
  • Aumento delle difese immunitarie
  • Incremento di sentimenti positivi quando si è a contatto con altre persone, come gioia ed entusiasmo
  • Miglioramento della qualità del sonno
  • Aumento della capacità di problem solving e di lavoro in équipe
  • Sostegno alle terapie cliniche per la depressione, la depressione post traumatica e la schizofrenia (Barnhofer, Chittka, Nightingale, Visser, 2010; Hofmann, Grossman, Hinton, 2011; Boellinghaus, Jones, Hutton, 2014)

Liberamente tratto da:

  • Stahl, B., Meleo-Meyer, F., Koerbel, L. (2014). A Mindfulness-Based Stress Reduction Workbook for Anxiety. Oakland, CA: New Harbinger Publications

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