Nessuno di noi può avere contezza del futuro. Ma una cosa possiamo dircela: quando l’epidemia finirà, è possibile che non vorremo tornare alla vita di prima. Ognuno di noi, tanti quanti siamo al mondo e ciascuno col suo carico personale e unico di sogni e riflessioni, porterà con sé il segno di questo tempo. Ma non pensate che il segno sia uno stigma; pensatelo, invece, come una forza. La forza di lasciare un lavoro che non ci soddisfa da anni; il coraggio di formare una famiglia o di dirci che non la vogliamo; la capacità di trovare le parole giuste per dichiararsi e uscire allo scoperto; oppure di tornare alla vita di sempre ma con altri occhi per guardarla.
Ogni giorno siamo sottoposti a centinaia di informazioni contrastanti sullo stesso argomento: il virus. La televisione, la radio, i giornali e anche i social, le finestre ideali dove ogni giorno si affacciano in tanti per raccontarsi e tracciare un segno in questo presente.
Eppure, a guardar bene, è proprio il presente il grande assente in scena.
Non il presente dei bollettini, delle voci degli esperti che ci indicano come utilizzare il nostro tempo a casa, della voglia di uscire e della preoccupazione per le economie incerte.
Ma il presente di una voce che parla proprio a noi stessi, così come siamo, ognuno unico con la sua storia.
Per chiunque viva una vita Mindful, o almeno si ispiri alla consapevolezza e al vivere “qui e ora”, il presente è un amico caro, l’ancora da gettare in mare aperto per radicare la nave al fondale durante la tempesta. Il passato, si sa, per quanti rimpianti possa costarci, non è cosa che possa essere cambiata; il futuro è ancora da scrivere e certo non può essere indovinato. In fondo, l’esperienza della pandemia ci insegna proprio questo: l’impermanenza che connota l’esistenza umana, per quanto siamo abituati a ignorarla nella ripetizione eterna della routine.
Dentro l’immobilità inscalfibile del passato e l’impermanenza incontrollabile dell’avvenire, quel che resta è oggi, è adesso.
E noi, come stiamo vivendo il momento? Come dovessimo svegliarci nella Los Angeles di Blade Runner, dentro un’umanità sconfitta e sfinita, o come i protagonisti di un film di Bollywood? Perché se a Los Angeles non c’è via di uscita, a Bollywood ogni personaggio impara ad aspettare i doni improvvisi che la vita porta col tempo: anche in mezzo a problemi insormontabili, salite dure, sconfitte, paure. A Bollywood si piange, come nella vita. Ma si trovano risorse per ridere ancora, per aggiustare le cose rotte, per rinnovare il cuore. La vita spesso sa essere dolce e rimettere a posto le cose: ci affina gli occhi, ci guarisce se a lei ci sappiamo affidare.
E noi, come vogliamo rinnovare il nostro cuore in questo tempo? A chi vogliamo affidarci?
Forse siamo già inchiodati davanti alla tv, ascoltando l’ennesimo notiziario; forse siamo alla ricerca di un articolo che ci dica cosa fare; forse condividiamo pareri, forse rispondiamo a haters, spalleggiamo gli amici sui social; forse ascoltiamo l’esperto che ci consiglia come amministrare il tempo in casa. Siamo alla ricerca di qualcosa: una rassicurazione, una distrazione, un riempimento.
Chi ha dimestichezza con la Mindfulness sa che, invece di riempire, questa reclusione può aiutarci a svuotare.
Contemplare l’assenza di impegni, di obiettivi, di oneri. Assenza di obiettivi significa non inseguire nulla, non sentirci obbligati a rincorrere qualcosa, esaurendoci nel corpo e nella mente. Significa poter contemplare i nostri desideri e chiederci se, in fondo, essi rappresentano quel che davvero vogliamo.
Lasciare che il vuoto ci parli, equivale ad avvicinarsi a noi stessi: silenziando l’orchestra delle abitudini quotidiane, possiamo giacere dentro una piccola pausa tra un movimento e l’altro della sinfonia e ascoltare quello che c’è.
Forse vediamo di nuovo quel quadro appeso alla parete; quello che non guardavamo più per abitudine e ritroviamo la gioia del momento in cui l’abbiamo acquistato. Forse inzuppando un biscotto nel caffè ne sentiamo per la prima volta il sapore vero. Proviamo ad ascoltare quei movimenti interiori, quei messaggi intimi che il corpo e la mente ci inviano e che, di norma, non siamo abituati a cogliere. Non abbiamo il tempo di cogliere. Oggi non posso sentire il collo che tira, lo stomaco che duole; non posso seguire il flusso del pianto, il nodo alla gola, la voglia di gridare un no!; oggi non posso dirmi che sono stanco, che vivo la mia vita col pilota automatico, che mi faccio dire da altri cosa vada bene per me. Mi dirò tutto domani, forse.
Perché aspettare domani? Io vi consiglio di puntare la sveglia, facciamolo ora. Puntiamola per domani, a un’ora ragionevole, che non sia tarda ma nemmeno così mattiniera da farci girare dall’altra parte e tornare a dormire. E trasformiamo domani nel nostro primo oggi.
Appena svegli, ascoltiamo il suono del nostro respiro, focalizziamo l’attenzione sul momento presente: quel che c’è, qui e ora, così com’è. Poi muoviamo qualche passo, sentiamo il nostro corpo: è vivo, i nostri piedi e le nostre gambe sono abbastanza forti da poterci sostenere, camminare, correre. Godiamo del miracolo di un passo: è il miracolo della consapevolezza e della concentrazione. Inspiriamo ed espiriamo. Lasciamoci guidare dal respiro sin dentro quell’intimità che nell’orchestra di ogni giorno non sappiamo incontrare.
Che cosa ci dice? Con pazienza e gentilezza amorevole, possiamo imparare il suo alfabeto.
Torneremo a uscire, a ballare, lavorare, fare shopping e cenare con gli amici. Ci baceremo, ci abbracceremo. E qualcuno ci dirà che sembriamo diversi.
Forse avremo fatto coming out. Forse avremo avuto il coraggio di iniziare a costruire una famiglia o forse di dirci che non la vogliamo. Forse avremo deciso che vale la pena non cambiare niente o ricominciare altrove. Forse avremo adottato un cane o deciso di innamorarci ancora.
Perché ciò accada, in questo tempo speciale non lasciamo che per noi parli l’esperto. Sintonizziamoci sul respiro, connettiamoci col cuore.
Ripartiamo dal battito.
Qui e ora.
Antonella Montano