La tecnica EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing – Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso Movimenti Oculari) si è sviluppata a partire dalla fine degli anni Ottanta e rappresenta una delle tecniche maggiormente raccomandate per trattare il trauma, stante la sua comprovata efficacia. Alcuni studi sperimentali hanno mostrato che l’EMDR produce una rapida (minor numero di sessioni di trattamento effettuate) e maggiore riduzione dei sintomi rispetto ad altri trattamenti (protocolli di stress inoculation, esposizione prolungata, esposizione immaginativa o rilassamento muscolare; McGuire et al., 2014), in particolar modo nei casi di sopravvissuti a un singolo evento traumatico. Inoltre, l’EMDR ha il vantaggio di poter essere inserita facilmente in qualsiasi protocollo di trattamento.
Il protocollo d’intervento prevede, durante la focalizzazione di alcuni elementi del ricordo traumatico, una “stimolazione bilaterale” sensoriale (oculare, tattile e uditiva). L’EMDR attiva il sistema cerebrale deputato al processamento dell’informazione relativa all’intensa esperienza traumatica che il cervello, fino a quel momento, non è stata in grado di processare e neutralizzare. Pensieri, emozioni e sensazioni vengono resi consapevoli, in modo che possano essere integrati con le restanti informazioni a disposizione del cervello.
L’effetto di distanziamento prodotto dalla stimolazione bilaterale fornisce alla persona la possibilità di focalizzarsi sulle memorie traumatiche senza esserne sopraffatta e “rivivere” (catarsi) l’esperienza traumatica (Lee e Cujpers, 2015).
Van der Kolk (2002) sostiene che l’EMDR:
a) “allenta e scioglie” i processi associativi, consentendo un rapido accesso a memorie e immagini dolorose del passato, consentendo alla persona di associare il dolore attuale agli eventi traumatici del passato;
b) esercita la sua azione terapeutica senza che il soggetto debba articolare verbalmente la causa della sua sofferenza;
c) attenua il dolore associato all’esperienza passata e aumenta i sentimenti di conforto emersi dal supporto altrui.
L’autore riporta la seguente considerazione di un suo paziente: “…questa volta i ricordi erano come un elemento unico. Ho percepito ogni singolo passaggio, ma come se insieme formassero un singolo evento, come se fossero un tutto anziché dei frammenti. Il ricordo mi sembra molto più gestibile ora”. La tecnica, dunque, aiuta le persone a generare delle associazioni tra delle “impressioni” che prima risultavano dissociate e frammentate.
I pazienti spesso non sono in grado di distinguere la differenza tra interno ed esterno. Lo scopo dell’EMDR, quindi, è prestare attenzione alle sensazioni minacciose che sperimentano, per poi collocarle nel posto a cui appartengono, nel tempo e nello spazio appropriati. Queste sensazioni, inoltre, devono essere ri-organizzate in armonia con la realtà attuale. L’EMDR “attiva e ripara” questi processi regolatori danneggiati.
A seguito del protocollo EMDR è stata riscontrata una riduzione dei livelli di arousal (p.e., riduzione della componente P3a; Lamprecht et al., 2004) e delle risposte fisiologiche allo stress (p.e., riduzione della frequenza cardiaca; Sack et al., 2007). Uno studio abbastanza recente (Farina et al., 2014) ha valutato l’efficacia dell’EMDR nel miglioramento della capacità di integrazione delle memorie traumatiche mediante la valutazione di misure di coerenza, potenza spettrale e variabili autonomiche prima e dopo sessioni di EMDR in cui venivano richiamate delle memorie traumatiche. L’EMDR consente, dunque, l’integrazione degli aspetti delle memorie traumatiche che risultano ancora dissociati e, conseguentemente, determina una diminuzione dei sintomi di iper-arousal.
Riferimenti
Farina, B., Imperatori, C., Quintiliani, M.I., Castelli Gattinara, P., Onofri, A., Lepore, M., Brunetti, R., Losurdo, A., Testani, E. & Della Marca, G. (2014). Neurophysiological correlates of eye movement desensitization and reprocessing sessions: preliminary evidence for traumatic memories integration. Clinical Physiology and Functional Imaging. doi: 10.1111/cpf.12184
Lamprecht, F., Köhnke, C., Lempa, W., Sack, M., Matzke, M. & Münte, T.F. (2004). Event-related potentials and EMDR treatment of post-traumatic stress disorder. Neuroscience Research, 49(2): 267-272.
Lee, C.W. & Cuijpers, P. (2015) What does the data say about the importance of eye movement in EMDR? Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 45(1): 226-228.
McGuire, T.M., Lee, C.W. & Drummond, P.D. (2014). Potential of eye movement desensitization and reprocessing therapy in the treatment of post-traumatic stress disorder. Psychology Research and Behavior Management, 7: 273-283.
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Sack, M., Lempa, W. & Lamprecht, F. (2007). Assessment of Psychophysiological Stress Reactions During a Traumatic Reminder in Patients Treated With EMDR. Journal of EMDR Practice and Research, 1(1): 15-23.
Seidler, G.H. & Wagner, F.E. (2006). Comparing the efficacy of EMDR and trauma-focused cognitive-behavioral therapy in the treatment of PTSD: a meta-analytic study. Psychological Medicine, 11: 1515-1522.
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Siegel, D. (1999). The developing mind. New York: The Guilford Press.
van der Kolk, B.A. Beyond the talking cure: Somatic experience, subcortical imprints and the treatment of trauma. In: Shapiro, Francine (Ed), (2002). EMDR as an integrative psychotherapy approach: Experts of diverse orientations explore the paradigm prism. Washington, DC, US: American Psychological Association.