Mindful Eating: mangiare in modo consapevole è possibile

Mindful Eating: mangiare in modo consapevole è possibile

Mindful Eating

Photo by Alexander Grey on Pexels

Quando si parla di cibo e alimentazione, nell’immaginario collettivo, è consuetudine subito pensare, nella maggior parte dei casi, ad un regime che possa definirsi sano per la propria salute, magari uno schema prescrittivo che vada seguito alla lettera con tanto di grammatura e a seguire note di consolazione per qualche “sgarro” concessosi. Ciò è quanto la logica tipica della “diet culture” ha instillato nelle nostre menti per lungo tempo sino a costituire quella che oggi si definisce società grassofobica ad indicare proprio la specifica tendenza ad aver paura di quel grasso in più che demonizza taluni corpi, i quali non hanno nessuna colpa, se non quella di essere oggetto di approvazione sociale per gli standard convenzionali. Ci si è abituati a pensare al cibo non come mero nutrimento e piacere fisiologico ma quasi come un nemico da cui difendersi o rispetto al quale essere obbedienti per non incorrere in strategie di autocompensazione o punitive come possono essere, ad esempio, le abbuffate a seguito di lunghi periodi di restrizioni alimentari seguite da vomito autoindotto o esercizio fisico intenso (tipico di disturbi del comportamento alimentare come bulimia nervosa e binge eating disorders). C’è stata un’aggressione mediatica di diffusione di corpi perfetti ed elevati standard a cui aspirare che hanno utilizzato come mezzi pratici workout intensi, beveroni o pillole dimagranti, diete social senza l’ausilio di professionisti, il tutto con l’unico scopo di conformarsi a ciò che ritiene giusto la società dell’immagine e della bellezza che per decenni ha continuato a far credere che un corpo magro è sinonimo di un corpo perfetto e che quel grasso in più accumulato su fianchi e gambe sarebbe stato qualcosa da cui liberarsene velocemente poiché quasi non gradito agli occhi di chi guarda. Ecco, quindi, che a pagare le conseguenze di questi stereotipi e preconcetti è sì, l’immagine corporea, ma soprattutto l’autoefficacia e il senso di autostima di numerose persone, donne per lo più, che hanno perso quella naturale capacità di autoregolazione rispetto al consumo dei pasti e che, molto spesso, vivono costantemente nel senso di colpa per aver desiderato una pietanza o un cibo in particolare demonizzato per il contesto in cui si è abituati a vivere. A lungo andare, questo atteggiamento iper-controllante e punitivo rischia di essere il prodromo di specifici disturbi del comportamento alimentare dove protagonista, nella maggior parte dei casi, è la cosiddetta “emotional eating”: la fame emotiva o fame nervosa che canalizza, per l’appunto, tutte le emozioni sul cibo che diviene la valvola di sfogo, senza sintonizzarsi davvero sul bisogno che vogliono esperire. Si inizia a mangiare attivando il pilota automatico che non permette di prestare attenzione ai segnali di fame e sazietà di cui tutti, sin dalla nascita, disponiamo; si differenziano i cibi in “buoni” e “cattivi” rispetto alle credenze acquisite in merito; si utilizza ossessivamente la bilancia come unico metro di misura e monitoraggio per la propria salute fisica senza pensare che il peso non ne è il solo indicatore ma vi sono un insieme di fattori psicobiologici che concorrono a definire un corpo in salute; si va alla ricerca della dieta miracolosa perché la precedente non ha permesso di raggiungere i risultati sperati senza pensare al fatto che le diete, nella maggior parte dei casi, funzionano sì ma a breve termine perché non è fisiologicamente pensabile di poter relegare l’organismo ad un regime restrittivo per troppo tempo, ecco che il cervello si ribellerà e si ricomincerà tutto da capo. Numerosi sono stati gli studi scientifici a riguardo e le testimonianze che hanno riconosciuto come sbagliato sino ad ora sia stato l’approccio nei confronti dell’alimentazione, inconsapevole, incontrollata e punitiva. Ed è qui che entra in gioco una metodologia innovativa per regolare il proprio rapporto con il cibo, che sappia insegnare ad alimentarsi in maniera saggia ed equilibrata: la pratica di “Mindful Eating”, letteralmente “mangiare con consapevolezza”. Scopriamo come!

Mindful Eating

E’ quello stato di consapevolezza che si attiva quando si sceglie, si prepara e si consuma il cibo utilizzando i propri sensi, entrando in contatto in modo armonioso e curioso con le caratteristiche propriamente fisiche come i colori, la consistenza, i profumi, i sapori e anche i suoni. In questo modo ci si sintonizza con i segnali di fame e sazietà che provengono dal nostro corpo, donandoci equilibrio e saggezza e consentendoci di godere a pieno del momento presente, disinnescando il pilota automatico che, invece, porta a mangiare in modo veloce, inconsapevole, senza nemmeno rendersene conto. Importante, quindi, è rallentare nei processi e nei procedimenti adiacenti la consumazione del cibo, persino quando ci si trova al supermercato per fare la spesa. Mangiare in modo mindful è un’attitudine che si sviluppa lentamente e che aiuta a coltivare un atteggiamento di attenzione e intenzione, non giudicante. L’attenzione porta a capire come il cibo sia interconnesso al tutto: il sole, la terra, i contadini che lo hanno coltivato, sino a chi lo ha prodotto portandolo sulle nostre tavole. L’intenzione, invece, vuol dire impegnarsi in un’alimentazione consapevole prendendosi il giusto tempo per fare la spesa, per scegliere saggiamente i cibi, cucinarli e alimentarsi attraverso i conosciuti cinque pasti quotidiani.

Alcuni aspetti che possiamo sviluppare grazie alla Mindful Eating

Essere mindful, mangiare in maniera mindful, essere nel momento presente fonda le proprie radici in quella che è la pratica scientifica meditativa della “Mindfulness” di J. K. Zinn ideata nel 1990. Qualità mentale che implica presenza e che, una volta sviluppata con allenamento costante e pratica quotidiana, consente di vivere la vita in maniera più consapevole e attenta. Permette di connettersi con le proprie sensazioni, emozioni e azioni godendo appieno del “qui ed ora” e cercando di scardinare la tendenza della mente a vagabondare tra passato e futuro, distraendoci da quello che è per noi in quel momento l’oggetto di osservazione, come ad esempio il momento del pasto che solitamente viene consumato in modo frugale, veloce, automatico e meccanico per i ritmi frenetici a cui siamo assuefatti, ormai. Così, ecco che la Mindful Eating ci insegna a sviluppare alcuni aspetti come prestare attenzione al cibo che mangiamo in modo non giudicante, riducendo al minimo le distrazioni (si pensi, ad esempio, a tv e smartphone), entrando in contatto con i cinque sensi, rallentando la velocità di assunzione degli alimenti, sperimentando come un boccone possa cambiare sapore dall’altro, ascoltando i segnali del proprio corpo, conoscendo la differenza tra la fame (trigger biologico) e altri tipi di trigger (emotivi, mentali e sociali) che possono influenzarci: emozioni forti, pensieri sabotanti e pressioni sociali, essere consapevoli del valore nutrizionale del cibo che scegliamo con l’obiettivo di riscoprire una sana alimentazione e smettendo di preoccuparsene in maniera ossessiva e giudicante ma imparando a nutrire il proprio corpo con gioia e soddisfazione.

Le 7 abilità del mangiatore consapevole

Obiettivo della Mindful Eating è portare a divenire mangiatori consapevoli e ad acquisire le sue specifiche sette abilità che sono: la consapevolezza applicata all’alimentazione (lo sguardo attento, sereno e vigile che si coltiva attraverso la mindfulness ci permette di notare con estrema precisione la miriade di sensazioni che si sprigionano quando ingeriamo del cibo); l’osservazione di pensieri, emozioni e sensazioni fisiche connessi all’assunzione del cibo; vivere il presente facendo in modo che la nostra mente si sieda accanto a noi a tavola permettendoci di disattivare i nostri automatismi relativamente alle abitudini alimentari e di vivere il presente come un’opportunità: ogni boccone, se ingerito in questo modo, può essere un’esperienza nuova; la consapevolezza del contesto che ci consente di notare quali siano i fattori di innesco che ci spingono a mangiare in modo non consapevole; il non giudizio che permette di guardare con amorevole accoglienza le nostre difficoltà con il cibo e di essere più presenti e attenti alla nostra alimentazione; lasciare andare intesa come l’affrancarsi dal desiderio che le cose siano diverse da come sono, sviluppando un’attitudine più serena quando ci sediamo a tavola e con il tempo smettendo di servirci del cibo come strumento per regolare le forti emozioni ad esso connesse e infine l’accettazione che consente di aprire le braccia a tutto quello che semplicemente è.

Tutto ciò è il primo passo per guardare qualunque nostro problema connesso al cibo (e non!) da una nuova prospettiva e stemperare la tensione e la frustrazione da esso generanti.

Riferimenti:

Autore/i dell’articolo

Roberta Borzì
Psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Vanta esperienza clinica in ambito adulto, e si occupa prevalentemente di tutti i disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, problematiche sessuali, disturbi di personalità con la Schema Therapy, in cui è formata attraverso training specifici e supervisione con esperti del settore. Ha anche conseguito entrambi i livelli della formazione in EMDR. Socio AIAMC (Associazione Italiana di analisi e modificazione del comportamento e Terapia Comportamentale e Cognitiva.) e membro ISST (International Society of Schema Therapy).

Se hai bisogno di aiuto o semplicemente vuoi contattare l’Istituto A.T. Beck per qualsiasi informazione,
compila il modulo nella pagina contatti.

Back To Top
Cerca