Quando siamo esposti a segnali di pericolo ci sentiamo minacciati e siamo portati in maniera naturale a preparare una risposta adattativa. La percezione della paura e le conseguenti risposte comportamentali sono cruciali per l’adattamento all’ambiente e per la sopravvivenza delle specie. L’attivazione del sistema nervoso alla percezione del pericolo determina una reazione di lotta, di fuga o di freezing, tutte reazioni fisiologiche adattative allo stress. Le regioni cerebrali coinvolte sono parte di un sistema complesso, il sistema limbico, filogeneticamente antico, che non deve essere considerato un’entità anatomica quanto piuttosto un sistema neurofisiologico.
Il sistema limbico interviene nell’elaborazione dei comportamenti correlati, appunto, con la sopravvivenza della specie; elabora le emozioni e le manifestazioni vegetative che a esse si accompagnano, ed è coinvolto nei processi di memorizzazione.
L’amigdala ha un ruolo centrale in questo sistema correlato alla percezione della paura e all’elaborazione delle reazioni che ne conseguono. L’amigdala è considerata una sorta di porta di ingresso delle emozioni che vengono qui registrate innescando le reazioni fisiologiche adattative che coinvolgono:
- il talamo;
- i circuiti sensoriali;
- l’ippocampo;
- alcuni nuclei profondi del midollo allungato;
- le regioni corticali prevalentemente frontali.
Il trauma psicologico deriva dall’essere esposto a un evento che si percepisce come potenzialmente pericoloso per la propria vita o per quella altrui, oppure potenzialmente in grado di generare gravi lesioni fisiche a se stessi o agli altri.
Una simile esperienza, accompagnata da intensa paura, orrore, e da un senso d’impotenza, può portare allo sviluppo del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) ed è, inoltre, condizione necessaria affinché si ponga diagnosi di PTSD.
Inizialmente si pensava che il PTSD rappresentasse una sorta di risposta normativa, nella parte estrema di un ipotetico continuum reattivo allo stress, la cui gravità era legata soprattutto all’intensità del trauma. Tuttavia è diventato evidente nel tempo che la risposta di un individuo a un trauma dipende non solo dalle caratteristiche del trauma stesso, ma anche da fattori specifici dell’individuo.
Per la maggior parte delle persone, il trauma psicologico causato dall’esperienza di una grave minaccia ha una durata limitata nel tempo e si caratterizza con disturbi transitori acuti. Anche se transitorie, tali reazioni possono essere molto sgradevoli e sono tipicamente caratterizzate da fenomeni che si possono raggruppare in tre ambiti principali:
- il ricordo dell’esposizione traumatica (flashback, pensieri intrusivi, incubi);
- l’ attivazione (ipervigilanza, insonnia, agitazione, irritabilità, impulsività e rabbia);
- la disattivazione (compresi freezing, evitamento, fuga, confusione, derealizzazione, dissociazione).
Queste reazioni fisiologiche allo stress sono per definizione auto-limitanti e in generale provocano una modesta compromissione funzionale nel tempo. Per una minoranza significativa della popolazione, invece, il trauma psicologico causato dall’esperienza di una grave minaccia, soprattutto se prolungata nel tempo, porta a una sindrome a lungo termine clinicamente definita come PTSD, accompagnata da una compromissione funzionale grave e duratura.
Il PTSD si caratterizza per la presenza di segni e sintomi nei tre domini primari descritti sopra per un periodo superiore a un mese. I segni e i sintomi del PTSD, quindi, sembrano essere l’espressione di una persistente e anormale risposta dei sistemi neurobiologici allo stress del trauma subito.
Nella biologia del PTSD l’interazione tra stimolazione ambientale negativa, risposte/reazioni e insorgere della patologia deve essere valutata alla luce dell’interazione tra sistema neuroendocrino, alcuni neurotrasmettitori e alcuni circuiti cerebrali.
I macro sistemi neurobiologici che regolano le risposte allo stress sono tre (vedi le pagine a loro dedicate):
- la via neuroendocrina;
- i neurotrasmettitori;
- un network, sia a livello consapevole che inconsapevole, tra differenti regioni cerebrali profonde e corticali.
Molti aspetti della neurobiologia del PTSD, sia sul versante biologico che neuropsicologico, sono ancora sconosciuti, ma complessivamente siamo in grado di disegnare uno schema generale del complesso network cerebrale e neuroendocrino del PTSD.
Per una minoranza significativa della popolazione il trauma psicologico causato dall’esperienza di una grave minaccia, soprattutto se prolungata nel tempo, porta a una sindrome a lungo termine accompagnata da una compromissione funzionale grave e duratura nel tempo caratterizzata dall’alterazione di alcuni processi neurofisiologici soprattutto della memoria e dell’attivazione allo stress. I ricordi nelle persone che soffrono di PTSD possono essere frammentati, non accessibili o accessibili solo in parte. Possono essere caratterizzati da memorie invalidanti, dolorose e che le persone non riescono a gestire, spesso neanche a tradurre in parole, per questo spesso sono memorie fisiche, percettive, sensoriali, difficilmente verbalizzabili. Lo schema neurobiologico dei processi di riconoscimento, memorizzazione, attivazione, risulta compromesso, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, portando chi soffre di PTSD ad avere una grave compromissione in una delle più grandi abilità intellettive dell’essere umano che è quella di integrare tra di loro le esperienze.
Tutte queste alterazioni della struttura e della biochimica dei network cerebrali portano effetti a lungo temine, ben oltre l’evento traumatico e la sua risoluzione, come una sorta di traccia fisica neuronale del danno subito.
Riferimenti
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