Centro studi omosessualità

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Omosessualità

Da più di 25 anni l’Istituto Beck svolge un ruolo di prima linea contro la patologizzazione dell’orientamento sessuale e le conseguenze dello stigma ad esso associato nella popolazione LGBTQIA+. Questo perché le credenze e gli atteggiamenti discriminatori che queste persone sperimentano ogni giorno da parte delle principali istituzioni – famiglia, scuola, chiesa, stato e media – hanno profonde conseguenze negative sulla loro salute fisica e psicologica (Heise, L., Greene, M. E., Opper et al. Gender Equality, Norms, and Health Steering Committee, 2019; Loyd, D. T., Ramos, S. R. et al. Family Support and Sociocultural Factors on Depression among Black and Latinx Sexual Minority Men, 2021).

Questa parte del nostro sito vuole fornire informazioni per tutti coloro che vogliano comprendere meglio cosa sia l’orientamento sessuale e le principali tematiche che ruotano intorno alla popolazione LGBTQIA+.

Cosa significa orientamento sessuale?

Secondo l’American Psychological Association, l’orientamento sessuale si riferisce a “un modello stabile di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale verso gli uomini, le donne, o entrambi i sessi. Esso si riflette sul senso di identità che una persona sviluppa sulla base di questa attrazione, sui suoi comportamenti e sulla percezione di appartenenza a un gruppo che condivide la stessa attrazione”.

Sebbene sia più comune classificare le persone come omosessuali, eterosessuali o bisessuali, in realtà sin dagli anni ‘50 il ricercatore Kinsey ha mostrato come l’orientamento sessuale si estenda lungo un continuum in cui omosessualità ed eterosessualità esclusive rappresentano i due estremi opposti. Tra queste due polarità esistono, secondo lo studioso, una serie di sfumature su cui l’orientamento sessuale può autodefinirsi.

orientamento sessuale

Negli anni ’90 Fritz Klein ha sviluppato un modello che chiarisce ulteriormente il concetto di orientamento sessuale come costrutto multidimensionale determinato dalla combinazione di: attrazione sessuale, comportamento sessuale, fantasie sessuali, preferenze emotive, preferenze sociali, stile di vita e autodefinizione del proprio orientamento. Questi fattori devono essere valutati sulla base di tre dimensioni: il passato di una persona, il suo presente e le sue fantasie.

VariabilePassatoPresenteImmaginario
Attrazione sessuale
Comportamento sessuale
Fantasie sessuali
Preferenze emozionali
Preferenze sociali
Stile di vita
Autodefinizione del proprio orientamento

Rispetto all’orientamento sessuale di gay e lesbiche, l’Istituto Beck dà ai propri allievi questa definizione:

Un gay è un uomo che si riconosce come tale e che è attratto emotivamente ed eroticamente da un altro uomo con la stessa intensità di sentimenti e le stesse alchimie che caratterizzano l’amore eterosessuale.

Una lesbica è una donna che si riconosce come tale e che è attratta emotivamente ed eroticamente da un’altra donna con la stessa intensità di sentimenti e le stesse alchimie che caratterizzano l’amore eterosessuale.

Un errore molto diffuso nella popolazione, è considerare l’orientamento sessuale solo in termini di attrazione fisica e appunto, finalizzata all’incontro sessuale. L’orientamento sessuale, invece, è qualcosa di molto più complesso, come abbiamo spiegato sopra.

L’orientamento sessuale non è, dunque, sinonimo di attività sessuale, né di comportamento sessuale. Talvolta possono esserci individui che hanno comportamenti omosessuali (pensiamo al mondo della prostituzione maschile, ad esempio) ma che non si riconoscono come omosessuali. In altri casi, possiamo avere individui fortemente o esclusivamente attratti dal proprio sesso che, però, non hanno comportamenti omosessuali (ad esempio perché sono sposati) o che non hanno alcuna attività sessuale (ad esempio, perché hanno forti sensi di colpa rispetto alla propria omosessualità). Per riassumere, non basta che una persona abbia rapporti sessuali con altre persone dello stesso sesso per potersi definire gay, lesbica o bisessuale.

 Essere bi: che cosa è la bisessualità?

Ci sono molti modi di essere bi – cioè bisessuali –  e molti modi di vivere ed esprimere la propria sessualità. Ogni esperienza è valida. La bisessualità identifica qualunque forma di attrazione che non sia esclusivamente omosessuale o eterosessuale.

In passato il termine indicava una persona attratta soltanto da uomini o donne cisgender. Non si deve, però, più commettere l’errore di credere che le persone bisessuali siano per metà gay o lesbiche e per metà eterosessuali.

Molti bisessuali sono attratti anche da persone transgender o non binarie e molte persone bisessuali sono transgender o non binarie loro stesse. Non vi è dubbio, quindi, che oggi la parola bisessualità sia un termine ampio con cui intendiamo un orientamento inclusivo che comprende anche lo spettro del genere.

Robin Ochs, attivista bisessuale, descrive così il proprio orientamento:

Mi definisco bisessuale, perché riconosco di avere in me la potenzialità di sentirmi attratto – romanticamente e/o sessualmente – da persone di più di un sesso e /o genere, non necessariamente allo stesso tempo, non necessariamente nello stesso modo, e non necessariamente con la stessa intensità”.

Un’analisi del Center for Disease and Control del 2016 ha rilevato come le persone bisessuali rappresentino il gruppo più numeroso all’interno della comunità LGBTQI+. Nonostante questo, all’interno della stessa comunità, è diffuso il pregiudizio che la bisessualità non esista. Le persone bisessuali soffrono, quindi, di bi-invisibilità e sono spesso oggetto di uno specifico tipo di discriminazione che prende il nome di bi-fobia. Il termine, coniato per la prima volta nel 2015 dagli studiosi Ka’ahumanu e Hutchins, definisce la paura di intimità e vicinanza a persone che non si identificano con orientamenti eterosessuali o omosessuali e che si manifesta con eterofobia in contesti omosessuali e con omofobia in contesti eterosessuali. Il messaggio bi-fobico più pervasivo è: “I bisessuali sono gay e lesbiche e non vogliono ammetterlo”. Questa convinzione stigmatizzante finisce il più delle volte con l’essere interiorizzata dalle persone bisessuali, rendendo ancora più difficile il percorso di accettazione di un orientamento che è flessibile e plastico per definizione. La marginalizzazione di cui sono oggetto fa sì che i bisessuali siano particolarmente esposti alla possibilità di incorrere in esperienze traumatiche, che spesso faticano a riconoscere in quanto tali.

L’orientamento sessuale nella relazione

Nell’essere una caratteristica individuale, l’orientamento sessuale si esprime anche attraverso una serie di comportamenti che riguardano la relazione, di cui il primo e il più importante è la scelta del partner. Seguono da lì il tenersi per mano, il camminare abbracciati, il parlarsi utilizzando il pronome (lei, lui o noi) in cui sente di riconoscersi, e così via. In altre parole, l’orientamento sessuale concerne anche bisogni interpersonali – quali amore, affetto e intimità – da soddisfare nella relazione. Questa e l’orientamento sessuale non possono essere tenuti per sé, nascosti o vissuti in solitudine. Al contrario, servono a identificare quale sia il gruppo di persone in cui è più probabile costruire dei rapporti che possano sbocciare in legami di corpi e cuori soddisfacenti e appaganti. Questi legami – è importante ricordarlo – sono una componente essenziale dell’identità e del benessere personale, necessari come l’aria che respiriamo.

Cos’è l’identità sessuale? Sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale

Sesso biologico

L’assegnazione del sesso biologico avviene alla nascita sulla base di caratteristiche fisiologiche quali gli organi genitali, il quadro ormonale e la composizione cromosomica. Il sesso biologico è un concetto stabile, anche se più complesso rispetto ad una visione binaria, che divide rigidamente tra maschi e femmine. In realtà anche il sesso biologico, come il genere, si articola lungo un continuum, di cui il sesso maschile e quello femminile sono due polarità, cioè due estremi di un flusso di possibilità. Le caratteristiche fisiche che determinano l’ assegnazione del sesso alla nascita vanno interpretate come uno spettro, che non si manifesta in modo uguale in tutte le persone a cui è stato assegnato lo stesso sesso. Dal punto di vista dei cromosomi, inoltre, la divisione in due sessi (o in tre, quando si includono anche le persone intersex) risulta inappropriata, visto che se ne calcolano per lo meno 6.

Identità di genere

Il termine identità di genere nasce nel 1960 a indicare la percezione intima, profonda e soggettiva di una persona di appartenere – o meno – al sesso biologico (maschio/femmina) assegnato alla nascita. Con il tempo, il concetto ha superato questo binarismo per includere uno spettro più ampio di identità di genere in cui le persone possano identificarsi.

  • Cisgender

Una persona si definisce cisgender quando sperimenta una corrispondenza tra il proprio sesso biologico e l’identità di genere percepita. La maggior parte dei gay, delle lesbiche o dei bisessuali si identificano rispettivamente come uomini e donne e sono a proprio agio con il genere corrispondente al loro sesso biologico, ovverosia sono cisgender.

  • Transgender

Si tratta di un termine ombrello usato per descrivere quell’insieme di persone che hanno una percezione della propria identità di genere diversa dal sesso biologico assegnato loro alla nascita. I transgender possono intraprendere un percorso di affermazione di genere orientato a riallineare la loro identità fisica con la loro identità psicologica. Questo processo, che si definisce transizione, è diverso da persona a persona. In alcuni casi, può includere anche trattamenti di tipo medico come l’assunzione di ormoni o interventi chirurgici, finalizzati ad assumere i caratteri somatici del sesso in cui ci si riconosce.

Da notare che, a partire dall’identità di genere in cui una persona transgender si identifica, il suo orientamento sessuale può anche in questo caso essere eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Ad esempio, un individuo con sesso biologico maschile alla nascita, può sviluppare un’identità di genere femminile con un orientamento omosessuale, cioè provare attrazione verso le donne.

Ruolo di genere

È un ruolo sociale appreso direttamente o indirettamente attraverso l’educazione ed è trasmesso dalle principali istituzioni (famiglia, scuola, chiesa, stato, media). Include una serie di comportamenti e di attitudini generalmente considerati accettabili, appropriati o desiderabili per un individuo in base al suo sesso biologico. I ruoli di genere di solito sono focalizzati sul concetto di mascolinità o femminilità. Le aspettative che li riguardano variano da cultura a cultura. Mentre alcune caratteristiche sono trasversali, altre cambiano a seconda della localizzazione antropologica. I ruoli di genere comprendono norme di comportamento, usanze, regole e abitudini, che hanno il potere di limitare la variabilità delle inclinazioni e dei comportamenti individuali.

Orientamento sessuale

Cosa significa orientamento sessuale?
L’orientamento sessuale nella relazione

Che cosa vuol dire LGBTQIA?

Con l’espressione LGBT si intende Lesbiche/Gay/Bisessuali/Transessuali. LGBT è, quindi, un acronimo che tenta di rappresentare l’immensa variabilità di persone appartenenti a minoranze sessuali diverse. L’acronimo, a sua volta, si presenta in più versioni:

  • LGBTQ – Q come Queer

Queer è un termine generico utilizzato per indicare coloro che non sono eterosessuali e/o non si riconoscono come cisgender, o rifiutano l’idea stessa di doversi definire in base al sesso, al genere o all’orientamento sessuale. Il vocabolo della lingua inglese che all’origine significa eccentrico, viene oggi utilizzato da una persona che non vuole dare un nome alla propria identità di genere e/o al proprio orientamento sessuale, o perché si stia ancora interrogando sulla stessa, o perché, semplicemente, non intenda precisarla, rifiutando

  • LGBTQA – A come Asessuali:

L’asessualità è un tipo di orientamento sessuale caratterizzato dall’assenza di attrazione sessuale verso alcun genere. Essa non va confusa con la castità o la iposessualità, perché le persone che si riconoscono come asessuali possono comunque scegliere di avere rapporti sessuali, ad esempio per il desiderio di avere figli, o di compiacere il partner.

  • LGBTQI – I come Intersex:

È il termine con cui si identificano le persone che presentano caratteristiche sessuali innate che non corrispondo al concetto di maschile e femminile più diffuso. Nasce originariamente come vocabolo medico per descrivere alcune “anomalie” dei genitali esterni, degli organi riproduttivi interni, dei cromosomi sessuali o degli ormoni legati al sesso. Va precisato che queste peculiarità – fatti salvi alcuni casi specifici – di per sé, non rappresentano uno stato di malattia. Le persone intersex, come tutti, possono essere cis-gender, ovvero sentirsi a proprio agio con il sesso biologico assegnato loro alla nascita, o transgender, cioè avere un’identità di genere diversa da quella data loro da piccolissimi. Alcune persone intersex possono non riconoscersi nei due generi binari, ma rivendicare un’identità di genere che è, appunto, intersex. Il loro orientamento sessuale, infine, può essere etero, omo o bisessuale.

Perché abbiamo bisogno di tutte queste lettere? Perché il nostro mondo è composto di parole, e le parole sono il fondamento dell’identità. La comunità arcobaleno è ora in cerca delle sue proprie parole, di termini giustamente pesati e precisi, l’identità non può infatti costruirsi soltanto sul NON essere eterosessuali o sul NON essere cisgender.

Le prime forme di definizione risalgono agli anni ‘70, periodo in cui prendono piede in America i termini “gay” e “lesbica”. Nonostante il Movimento di liberazione omosessuale fosse stato guidato da una condottiera transgender (Marsha P. Johnson), la comunità ben presto si allontanò dalle persone transgender e dai bisessuali. Ci vollero anni prima che l’integrazione di bisessuali e transgender si compiesse: il termine LGBT iniziò ad essere utilizzato intorno agli anni ‘90. Da questo momento la sigla LGBT venne impiegata come termine “ombrello” per descrivere tutte le minoranze sessuali, anche quelle non incluse nelle diverse lettere dell’acronimo.

Come Istituto A.T. Beck, concordiamo con l’utilizzo della sigla LGBTQIA+ come termine ombrello per identificare qualsiasi variante dell’identità sessuale.

L’omosessualità è una malattia? Un disturbo mentale?

No. Come sostenuto dalla comunità scientifica internazionale, l’omosessualità è una variante non patologica dell’orientamento sessuale.

Nel 1973 l’American Psychiatric Association (APA) rimosse l’omosessualità dalla lista delle patologie mentali incluse nel Manuale Diagnostico delle Malattie Mentali (DSM).

Questo cambiamento ha gradualmente influenzato tutta la comunità scientifica internazionale della salute mentale. Nel 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso l’omosessualità di per sé dalla Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10). Di conseguenza, i dibattiti sull’omosessualità si sono gradualmente spostati dalla medicina e dalla psichiatria alle istituzioni sociali, religiose, governative, dei media ed educative. Queste, anche se sono state private della razionalizzazione medica o scientifica per la discriminazione, continuano a creare disagi alla popolazione LGBTQIA+

Perché alcune persone sono attratte da persone dello stesso sesso?

Per la stessa ragione per cui altri individui sono attratti da persone del sesso opposto. Non è noto cosa determini l’orientamento sessuale (qualsiasi esso sia), sebbene la ricerca negli ultimi decenni abbia cercato delle spiegazioni psicologiche, sociali, genetiche, ormonali e culturali. I vecchi pregiudizi secondo cui l’omosessualità sarebbe il frutto di dinamiche familiari disturbate o di un errato sviluppo psicologico non sono più considerati validi dalla comunità scientifica.

Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha perso molto dell’interesse iniziale volto alla ricerca delle cause dell’omosessualità, in quanto è una normale variante dell’orientamento sessuale, quindi altrettanta attenzione andrebbe data alla ricerca delle cause dell’eterosessualità.

Per tutte queste ragioni si preferisce parlare dell’omosessualità – lo stesso vale per l’eterosessualità- come di un orientamento spiegato dalla combinazione di più variabili bio-psico-sociali, caratterizzate dall’interdipendenza.

Come si diventa gay o lesbiche?

Sembra che l’orientamento sessuale inizi a manifestarsi fra metà infanzia e prima adolescenza. Le persone riferiscono esperienze molto diverse fra loro: alcuni lo avevano chiaro prima ancora di aver fatto esperienze sessuali, altri invece hanno attraversato numerosi momenti di esplorazione e dubbio. Ci sono persone che arrivano alla piena consapevolezza del proprio orientamento sessuale anche in età adulta, a volte, anche dopo aver avuto famiglia e figli.

Va considerato però, a tal proposito, che spesso sono i pregiudizi e le discriminazioni a rendere più difficile la consapevolezza e l’accettazione del proprio orientamento sessuale.

L’omosessualità è una scelta?

Non è una scelta, come non è una scelta l’eterosessualità. Qualcuno ricorda di aver scelto a un certo punto di essere eterosessuale o omosessuale? Quello che le persone omosessuali possono scegliere è se accettare il proprio orientamento e, quindi, sviluppare un’identità gay e lesbica serena, assertiva e integrata, o rifiutarlo per pregiudizi di ordine morale, sociale, religioso.

C’è una cura per l’omosessualità? Le terapie riparative

Chiariamo subito che non ci può essere una cura per l’omosessualità, perché l’omosessualità non è una malattia. Chiunque dica il contrario diffonde un pregiudizio privo di valore scientifico. La verità dal punto di vista scientifico è che l’omosessualità è considerata una “variante non patologica del comportamento sessuale”, sia secondo l’Associazione Psichiatrica Americana, sia secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Non esistono prove scientifiche che supportino l’efficacia di un trattamento mirato a cambiare l’orientamento sessuale. Purtroppo sin dagli anni ’80, e ancora oggi, esistono le cosiddette terapie riparative, chiamate anche “di conversione”, erogate in centri di ispirazione religiosa con l’obiettivo di “convertire” gli omosessuali in eterosessuali. Sono state ideate dalla psicologa inglese Elizabeth Moberly nel 1983, diffuse dallo psichiatra americano Socarides, e portate avanti dallo psicologo americano cattolico conservatore Nicolosi (morto nel 2017).

Le terapie riparative non solo non possono modificare l’orientamento sessuale di una persona, ma hanno numerosi e gravi effetti collaterali fra cui: depressione, ansia, perdita di interesse sessuale, aumento dell’omofobia interiorizzata, comportamento auto-distruttivo, aumento del senso di inadeguatezza, del senso di colpa, suicidio.

L’Ordine degli Psicologi italiano ha più volte ribadito che l’omosessualità non è una malattia, rigettando le cosiddette terapie di conversione e riparative e affermando che tali terapie non solo incentivano il pregiudizio antiomosessuale, ma “screditano le nostre professioni e delegittimano il nostro impegno per l’affermazione di una visione scientifica dell’omosessualità”.

I rapporti sessuali omosessuali sono naturali?

. Ci si dovrebbe prima chiedere che cosa è naturale e che cosa invece non lo è. Se è vero che è naturale ciò che si trova in natura, e che l’uomo è parte integrante della natura, anche i suoi comportamenti, inclusi quelli sessuali, sono naturali.

Anche nel mondo animale si possono riscontrare numerosi comportamenti, pratiche sessuali ed affettive tra animali dello stesso sesso. Numerose ricerche e osservazioni hanno documentato in coppie di animali dello stesso sesso, svariati comportamenti (giochi e comportamenti sessuali, affettività, formazione di coppie stabili, fino a veri e propri comportamenti genitoriali).

Gli animali osservati apparterrebbero a circa 500 specie, e tra queste sono inclusi insetti, uccelli e mammiferi come delfini, pecore, scimmie, leoni, cigni, pinguini, gabbiani, giraffe e libellule.

Come si capisce di essere gay o lesbica?

Guardando con sincerità ai propri sentimenti, a cosa si sogna, per chi si prova attrazione fisica.

Si può capire rimanendo aperti ed esplorativi, notando quali persone si trovano attraenti, con quali si desidera condividere del tempo e delle esperienze (romantiche e sessuali), con quali si vorrebbe costruire un legame, o una famiglia, o semplicemente a chi si pensa.

Alcuni individui sono molto sicuri dei propri sentimenti omosessuali già nell’infanzia o nell’adolescenza, mentre altri possono metterci più tempo a capire il proprio orientamento o semplicemente ad accettarlo ed esprimerlo. Se per le persone eterosessuali il percorso di scoperta della sessualità viene incoraggiato dalla società, per le persone omosessuali il processo è ben più difficile. L’omofobia sociale rappresenta un serio ostacolo allo sviluppo di una propria identità sessuale integrata e sana. Per alcuni può, infatti, essere difficile accettarsi e dichiararsi come gay o lesbiche, anche per molto tempo dopo aver capito di esserlo, proprio a causa delle pressioni a cui si sentono sottoposti da parte delle istituzioni (società, famiglia, scuola, stato, chiesa).

Da cosa si riconoscono i gay e le lesbiche?

È impossibile distinguere l’orientamento sessuale di qualcuno semplicemente guardandolo.

Così come non si possono riconoscere gli eterosessuali da caratteristiche fisiche e comportamentali o dagli interessi, lo stesso vale per le persone gay e lesbiche. Aleggia comunque lo stereotipo che basti individuare caratteristiche femminili negli uomini, e maschili nelle donne, per poter concludere che siano gay o lesbiche. Così come è radicata l’idea di assumere l’orientamento sessuale gay o lesbico di una persona, a partire dalla sua eventuale esuberanza o non conformità (vestiti, trucco, taglio di capelli, movenze, lavoro, ecc…). Non tutti gli uomini etero sono muscolosi e non interessati alla moda, né tutte le donne etero amano truccarsi ed essere seduttive. Non tutti gli uomini gay vogliono lavorare nel mondo dello spettacolo e detestano il calcio né tutte le donne lesbiche si interessano ai motori e odiano le scarpe coi tacchi…

…e se anche fosse va bene così!

Quali sono i principali problemi che gay e lesbiche devono affrontare?

La maggioranza delle persone gay e lesbiche si trova ad affrontare in primo luogo il medesimo problema: quell’insieme di atteggiamenti, pensieri e comportamenti discriminatori a cui diamo il nome di omofobia. Com’è noto, nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni, l’omofobia è ancora molto forte in Italia, a tutti i livelli sociali. Secondo la Rainbow Map and Index (Indice e Mappa Arcobaleno) della ILGA-Europe, ad esempio, l’Italia è al 35° posto su 49 paesi europei in tema di diritti LGBT. Tutto questo si traduce in una grande difficoltà per le persone omosessuali che non trovano modelli positivi di riferimento, che affrontano ogni giorno diversi problemi personali, professionali e sociali dovuti all’omofobia. Avviene poi di frequente che parte di questi messaggi negativi vengano interiorizzati dall’individuo gay o lesbica, causandogli delle ulteriori difficoltà nel vivere serenamente la propria vita (omofobia interiorizzata).

Riferimenti bibliografici

 

  • Bagemihl, B. (1999). Biological exuberance: Animal homosexuality and natural diversity.
  • Kinsey, A. C., Pomeroy, W. B., & Martin, C. E. (1949). Sexual behavior in the human male. The Journal of Nervous and Mental Disease, 109(3), 283.
  • Klein, F. (2014). The bisexual option.
  • Klein, F., Sepekoff, B., & Wolf, T. J. (1985). Sexual orientation: A multi-variable dynamic process. Journal of homosexuality, 11(1-2), 35-49.
  • Montano, A., & Rubbino, R. (2021). Manuale di psicoterapia per la popolazione LGBTQIA+. Aspetti socio-culturali, modelli teorici e protocolli di intervento. Erikson.

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