Gli “psicofarmaci” sono medicine sintetizzate in laboratorio efficaci nella cura di alcuni dei più diffusi disturbi psicologici come l’ansia, la depressione, la maniacalità e le psicosi. Proprio per questa loro specificità nei confronti di particolari disturbi si suddividono in ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e antipsicotici. Poiché gli psicofarmaci sono medicine sintetizzate in laboratorio non sono comprese in questa categoria tutte quelle sostanze che, pur avendo effetti sulla psiche (cosiddette sostanze psicotrope) sono di origine naturale (caffè, valeriana, camomilla, alcol ecc..) oppure quelle sostanze che, pur essendo di origine sintetica e avendo effetti sulla psiche (ecstacy, LSD, analgesici, barbiturici) non producono effetti su ansia, depressione, psicosi e manie.
Questa suddivisione in ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici e stabilizzatori dell’umore, accettata comunemente, ha il pregio di far comprendere (e ricordare) a grandi linee le caratteristiche principali di ciascuna categoria di psicofarmaci, ma va tenuto a mente che all’interno della stessa categoria ci sono differenze, anche importanti, tra un farmaco e l’altro e, soprattutto, che molti psicofarmaci hanno indicazioni terapeutiche multiple. Per esempio alcuni ansiolitici possono essere prescritti per disturbi del sonno, mentre alcuni antidepressivi possono essere prescritti come coadiuvanti nel trattamento dei disturbi alimentari e così via.
Gli psicofarmaci vengono prescritti dai medici e/o dallo specialista psichiatra (alcuni richiedono piani terapeutici specifici). Lo psicologo psicoterapeuta non può prescrivere psicofarmaci, ma è possibile che ritenga opportuno affiancare alla psicoterapia un supporto psicofarmacologico, inviando il paziente alla consulenza con lo specialista psichiatra. Da quel momento in poi psichiatra e psicoterapeuta collaborano costantemente tra loro per tutta la durata del trattamento.
I moderni psicofarmaci sono oggi farmaci sicuri e, assunti sotto controllo medico, non presentano particolari problemi in termini di effetti collaterali o di dipendenza. Lo psichiatra infatti è in grado di somministrare la dose minima efficace per il minor tempo possibile così da ottenere l’effetto terapeutico senza far incorrere il paziente in quegli eventi avversi che si verificano quando il farmaco viene auto prescritto o se ne abusa volontariamente per autolesionismo.
Per ognuna delle categorie di psicofarmaci che abbiamo individuato esistono differenze:
- nei principi attivi ovvero nelle sostanze chimiche attive sul disturbo. Queste possono essere identiche o molto simili per diversi prodotti presenti sul mercato farmaceutico indipendentemente dal nome commerciale che viene dato al farmaco;
- nelle modalità di azione del principio attivo, ovvero nei meccanismi attraverso i quali il farmaco esplica i suoi effetti terapeutici;
- nelle indicazioni terapeutiche (ogni categoria di farmaci è indicata per un certo numero di disturbi);
- nelle controindicazioni (pazienti affetti da determinate patologie o in caso di gravidanza e allattamento);
- nella farmacocinetica ovvero nei rispettivi processi di assorbimento, distribuzione nel corpo, metabolizzazione ed eliminazione dall’organismo ;
- negli effetti collaterali compresa la possibilità di assuefazione e dipendenza.
Come funzionano in generale gli psicofarmaci?
Prima di comprendere i meccanismi d’azione degli psicofarmaci è necessario conoscere a grandi linee il funzionamento delle cellule del sistema nervoso centrale.
I neuroni comunicano tra di loro attraverso strutture altamente specializzate chiamate sinapsi. Queste sinapsi possono essere elettriche o biochimiche.
Nel caso degli psicofarmaci facciamo riferimento a sinapsi biochimiche.
Come è possibile apprezzare nell’immagine a fianco la sinapsi è composta da alcuni elementi principali:
- il bottone presinaptico (sul neurone che manda il messaggio) che contiene delle vescicole al cui interno alloggiano delle molecole chiamate neurotrasmettitori
- uno spazio intersinaptico
- una membrana post-sinaptica (sul neurone che riceve il messaggio) che ha una serie di fessure chiamate recettori che raccolgono i neurotrasmettitori
I neurotrasmettitori in eccesso vengono riassorbiti nella membrana presinaptica (ricaptazione), o scissi in parti inerti da un apposito enzima.
I neurotrasmettitori possono essere eccitatori (dopamina, noradrenalina, serotonina) oppure inibitori (GABA).
Gli psicofarmaci agiscono interferendo con il meccanismo che abbiamo descritto nei seguenti modi:
- aumentano gli effetti inibitori del GABA legandosi a un suo specifico recettore (GABA-A). E’ il caso degli ansiolitici a base di benzodiazepine.
- inibiscono selettivamente la ricaptazione della serotonina, di fatto aumentandone la disponibilità a livello sinaptico. E’ il caso degli antidepressivi SSRI (Inibitori della ricaptazione della serotonina)
- sollecitano la produzione di serotonina, noradrenalina e della dopamina. E’ il caso degli antidepressivi triciclici.
- aumentano la disponibilità dei neurotrasmettitori eccitatori attraverso l’inibizione di alcuni enzimi (chiamati monoaminoossidasi) che, come dice il nome stesso, li inattivano per ossidazione. E’ il caso degli antidepressivi anti MAO
- Inibiscono la produzione di dopamina bloccando o riducendo il numero dei recettori post-sinaptici sensibili a questo neurotrasmettitore. E’ il caso degli antipsicotici.
Perché assumere psicofarmaci se si sta facendo una psicoterapia?
Generalmente gli psicofarmaci possono essere prescritti in associazione alla psicoterapia. Questo che segue è un elenco di alcuni più comuni esempi di uso degli psicofarmaci:
- per gestire i sintomi più gravi, quali deliri e allucinazioni nelle psicosi che rendono di fatto impraticabile il solo intervento psicoterapeutico;
- per gestire gli esordi psicotici o gli stati psichici di forte disorganizzazione (stati confusionali, stati dissociativi) che spesso hanno immediato rischio di suicidio;
- per ridurre l’impatto della depressione e i sintomi associati quali l’anedonia, la mancanza di volontà, i sintomi somatici, i deliri di rovina e di danno tipici del paziente depresso grave. Il farmaco e le riabilitazione psicoterapeutica sono sinergici sia per aiutare il paziente ad uscire dall’isolamento sia per metterlo in condizione di collaborare attivamente allo sforzo psicoterapeutico;
- per alleviare i sintomi dell’attacco di panico (paura di morte, di impazzire o di perdere il controllo) e permettere di mettersi in contatto con i presidi psicoterapeutici.
- per controllare i disturbi fisici e psicologici che accompagnano i disturbi d’ansia e permettere al paziente di concentrarsi più serenamente sui suoi conflitti o sulle sue difficoltà emotive e comportamentali;
- per fornire al paziente un maggior controllo sulla propria emotività e permettergli una comprensione più distaccata dei suoi problemi emotivi;
- per rinforzare alcuni comportamenti appresi durante la psicoterapia (ad esempio un ansiolitico può aiutare il paziente ad apprendere meglio le tecniche di rilassamento);
- per ridurre gli sbalzi d’umore eccessivi come accade nel disturbo bipolare;
- per alleviare i disturbi del sonno che talvolta accompagnano gli altri disturbi psichici e prostrano il paziente da un punto di vista fisico;
- per controbattere gli stati disorganizzati di alcuni disturbi di personalità;
- per lo scalaggio terapeutico di altre sostanze psicotrope;
- per controllare gli stati di agitazione psicomotoria;
- per la preparazione chirurgica.