La definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dà della dipendenza patologica è quella di “una condizione psichica, e talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.
L’American Psychiatric Association (APA) definisce la dipendenza come “un disturbo cronico derivante da fattori biologici, psicologici, sociali e ambientali che ne influenzano lo sviluppo e il mantenimento (APA, 2013).
È inoltre possibile definire una dipendenza come un’alterazione del comportamento che da un’abitudine diventa una ricerca spasmodica del piacere, o di evitamento del disagio, attraverso sostanze o comportamenti, arrivando a sfociare in una condizione patologica e provocando così uno stato di sofferenza e disadattamento all’interno di diverse aree di vita dell’individuo.
Tale definizione è importante in quanto allarga il focus delle dipendenze da quelle legate all’uso e all’abuso di sostanze a quelle legate alla messa in atto di un determinato comportamento.
Negli ultimi anni, infatti, è aumentata l’attenzione nei confronti di nuove problematiche di dipendenza, ossia le new addictions, nuove dipendenze, per distinguerle da quelle in cui è implicato l’uso di droghe e sostanze.
In questo caso, l’oggetto della dipendenza è un comportamento che diventa patologico nel momento in cui incide negativamente sul funzionamento dell’individuo. Tali comportamenti sono ripetitivi ed eccessivi e possono interessare oggetti, attività, stili di vita, consumi, stili di attaccamento e affetti. In questi casi, a volte, la dipendenza è particolarmente insidiosa e difficile da far emergere in quanto può coinvolgere comportamenti socialmente accettati o addirittura incoraggiati.
Nonostante precedentemente sia stata sottolineata la presenza di diversi tipi di dipendenze patologiche è possibile rintracciare una serie di caratteristiche di natura cognitiva, comportamentale e fisiologica comuni:
- compulsività, ossia l’incapacità di resistere alla tentazione di assumere una determinata sostanza o di mettere in atto uno specifico comportamento;
- craving, definito come quella sensazione di intenso e spasmodico desiderio che precede l’assunzione di una sostanza o la messa in atto di un comportamento;
- piacere e sollievo sperimentato durante l’assunzione della sostanza o il comportamento;
- sensazione di perdita di controllo;
- persistenza nell’assunzione o nel comportamento nonostante la consapevolezza da parte dell’individuo dei risvolti negativi ad esso conseguenti.
Allo stesso modo, è possibile distinguere una serie di sintomi che accomunano le varie dipendenze patologiche. Tra questi troviamo:
- tolleranza, ossia il bisogno di aumentare la quantità di una data sostanza o la frequenza di un dato comportamento;
- astinenza, intesa come la comparsa di sintomi psico-fisici spiacevoli qualora la persona non assuma la sostanza o non agisca i comportamenti compulsivi;
- mancanza di controllo, ossia difficoltà a smettere o a ridurre il comportamento problematico;
- ossessione, da intendersi come un’attenzione costante sulla sostanza o sul comportamento;
- perdita di tempo, in quanto la persona impiega molto del suo tempo a pianificare e a mettere in atto i comportamenti compulsivi e molto tempo per riprendersi dagli effetti negativi a essi conseguenti.
Le dipendenze patologiche racchiudono al proprio interno tutta una serie di comportamenti diversi, di conseguenza non è facile rintracciare cause comuni a tutte le varie forme di dipendenza: lo sviluppo di una dipendenza da sostanze, almeno in parte, poggerà su fattori di rischio differenti da quelli che hanno portato allo sviluppo di una dipendenza comportamentale.
Così come per altri disturbi, per comprendere le cause di una dipendenza patologica è necessario adottare una prospettiva di tipo bio-psico-sociale, sulla base della quale identificare:
- fattori di rischio genetici, tra cui possiamo rintracciare una componente di ereditarietà o un’alterazione della produzione di neurotrasmettitori endogeni;
- fattori di rischio psicologici e temperamentali, quali difficoltà nella regolazione emotiva, scarsa tolleranza alla frustrazione e compresenza di altri disturbi mentali (ansia, depressione, PTSD);
- fattori di rischio socio-ambientali, come ad esempio familiarità del disturbo, esposizione ad eventi traumatici e mancanza di sostegno familiare.
Quando si parla di dipendenze patologiche, soprattutto in riferimento a una dipendenza da sostanze, è opportuno adottare un approccio combinato tra farmacoterapia e psicoterapia.
L’approccio farmacologico nel trattamento delle dipendenze patologiche si rivela necessario nella fase di stabilizzazione del paziente al fine di ridurre i sintomi di astinenza da sostanze. I farmaci maggiormente utilizzati variano in base alla sostanza da cui la persona è dipendente:
- metadone o brupenorfina nel caso di una dipendenza da oppiacei;
- naltrexone, disulfiram o alcover nella dipendenza da alcool.
Allo stesso modo, una terapia farmacologica può essere utilizzata nelle dipendenze comportamentali. In questo caso i farmaci maggiormente utilizzati sono:
- stabilizzatori dell’umore;
- inibitori del re-uptake della serotonina (SSRI).
A partire dagli anni ’90 la Terapia Cognitivo Comportamentale si è dimostrata uno dei trattamenti maggiormente efficaci nel trattamento delle dipendenze patologiche.
Il focus della terapia sta nell’identificazione e nell’eventuale modifica di quei pensieri disfunzionali su di sè, sugli altri e sul mondo, antecedenti alla messa in atto del comportamento problematico da cui si sviluppa la dipendenza. Solo a questo punto sarà poi possibile apprendere e sperimentare strategie comportamentali più funzionali e gestire meglio le emozioni negative.
Anche la Terapia Dialettico Comportamentale (DBT dialectical-behavior-therapy), nel corso degli anni è stata riadattata per il trattamento delle dipendenze patologiche.
Obiettivo di quest’approccio è l’acquisizione, attraverso uno skills training, di abilità comportamentali più funzionali nel gestire i momenti in cui la persona è maggiormente a rischio di assumere la sostanza o di mettere in atto il comportamento problematico.
Rivestono un ruolo importante anche le abilità di Mindfulness, sulla base delle quali vi è un aumento della capacità della persona di mantenere la propria attenzione sull’esperienza presente, arrivando così a una maggiore consapevolezza nei confronti dei possibili comportamenti da mettere in atto.
Un altro approccio utilizzato nel trattamento delle dipendenze patologiche è quello del Modello Trifasico che fa riferimento alla Terapia Metacognitiva di Wells. Questo tipo di intervento, da una parte è finalizzato a ridurre pensieri, sia positivi che negativi, che la persona ha rispetto alla propria dipendenza e che la mantengono nel tempo, dall’altra ha lo scopo di diminuire quei meccanismi di pensiero, quali il rimuginio, che portano ad un aumento delle emozioni negative e alla conseguente messa in atto del comportamento problematico.
Infine, qualsiasi approccio si utilizzi nei confronti delle dipendenze patologiche, va ricordato come sia opportuno iniziare il trattamento solo dopo aver effettuato un accurato colloquio motivazionale al fine di permettere alla persona di acquisire una maggiore conoscenza e consapevolezza del proprio problema e di incrementare la sua motivazione al trattamento.
Un importante contributo nel trattamento delle Dipendenze Patologiche è dato dalle terapie di gruppo. In particolar modo, nel corso degli anni si sono affermati sempre di più i cosiddetti gruppi di auto-mutuo-aiuto, o self-help groups, molto spesso basati sul metodo dei 12 passi utilizzato nel gruppo degli Alcolisti Anonimi (AA), veramente molto efficaci.
I partecipanti a questi gruppi sono persone che condividono lo stesso tipo di problema e che perciò trovano un senso di appartenenza al gruppo.
Le finalità dei gruppi di auto-mutuo-aiuto sono:
- favorire una maggiore comprensione del proprio disturbo, in assoluta assenza di giudizio per sé e per gli altri;
- comprendere che non si è i soli a soffrire a causa di una specifica problematica;
- portare la persona a visualizzare e a identificare quali possono essere le cause scatenanti di determinati comportamenti disfunzionali;
- prevenire le ricadute: imparare a vivere secondo un nuovo stile di vita e aiutare gli altri che combattono con lo stesso problema.
- Maldonado, P. Calvé, A. García-Blanco, L. Domingo-Rodriguez, E. Senabre, E. Martín-García; “Vulnerability to addiction”; 2021
- Garland, M. Howard; “Mindfulness-based treatment of addiction: current state of the field and envisioning the next wave of research”; 2018
- Carroll, B. Kiluk; “Cognitive behavioral interventions for alcohol and drug use disorders: Through the stage model and back again”; 2017
- Kienast 1, J. Stoffers, F. Bermpohl, K. Lieb; “Borderline personality disorder and comorbid addiction: epidemiology and treatment”; 2014
- Marazziti, S. Presta, M. Picchetti. L. Dell’Osso; “Dipendenze senza sostanza: aspetti clinici e terapeutici”; 2015
- American Psychiatric Association (APA); “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th Edition)”; 2013
- Spada, G. Caselli, A. Wells; “A triphasic metacognitive formulation of problem drinking”; 2012
- Apa.org
- Asam.org
- Psicoattivo.com
- Difesa.it
- Intherapy.it
- Nuove dipendenze