- Il Disturbo Evitante di Personalità: che cosa è e quanto è diffuso?
- Caratteristiche psicologiche del Disturbo Evitante di Personalità
- Sintomi della personalità evitante: come capire se una persona soffre di Disturbo Evitante di Personalità
- Quali sono le cause del Disturbo Evitante di Personalità?
- Conseguenze del Disturbo Evitante di Personalità
- Cura del Disturbo Evitante di Personalità
Il disturbo evitante è un disturbo della personalità caratterizzato da sentimenti di profonda inadeguatezza e ipersensibilità alle valutazioni negative, che determinano un modello pervasivo d’inibizione sociale. Si teme di essere ridicolizzati dagli altri, rifiutati o criticati: per questa ragione si è portati a evitare situazioni sociali nelle quali occorra interagire con gli altri, limitando nel tempo il normale sviluppo delle abilità sociali.
Le persone con disturbo evitante di personalità vivono generalmente isolate, spettatrici di un mondo al quale vorrebbero prendere parte, ma che percepiscono come al di là delle loro capacità, troppo complesso e spaventoso. Si vergognano di se stesse, tendono a pensare di non essere brave abbastanza, di poter essere rifiutate o ferite, di non piacere agli altri, di essere poco attraenti e socialmente inadeguate.
Questi pensieri conducono a elevati stati di ansia nelle situazioni sociali, nel lavoro e nelle amicizie e a evitare accuratamente le relazioni intime, nelle quali ci si aspetta di venire “scoperti” come persone indegne, quindi respinte e abbandonate. La condizione preminente è di “disagio e ansia sociale” che porta a svolgere una vita routinaria, al riparo dai potenziali rischi costituiti dalla novità.
Per poter vivere sensazioni positive e gratificanti, anche se momentanee, le persone con disturbo evitante coltivano interessi e attività solitarie (es. musica, lettura, chat). Il ritiro sociale conferma il loro personale senso di inadeguatezza, in una spirale apparentemente senza fine.
La parola chiave con cui descrivere questo disturbo di personalità è “ipersensibilità”.
Il disturbo evitante di personalità sembra essere ugualmente frequente nei maschi e
nelle femmine. La sua diffusione nella popolazione generale è tra lo 0,5% e l’1,0%.
È utile analizzare le caratteristiche psicologiche degli individui con disturbo evitante di personalità in termini di visione di se stessi e degli altri, credenze intermedie e profonde, minacce percepite, strategie di coping (affrontamento) ed emozioni principali:
- Visione di se stessi: si considerano socialmente incompetenti e inetti in situazioni scolastiche o lavorative
- Visione degli altri: vedono gli altri come potenzialmente critici, disinteressati e richiedenti
- Credenze intermedie e profonde: “se questa persona mi tratta così male, allora devo essere una cattiva persona”, “se a mia madre o mio padre non piaccio, come posso piacere agli altri?”, “dal momento che non ho amici, devo essere davvero diverso e difettato”, “non posso tollerare le emozioni sgradevoli”, “non vado bene”, “non valgo nulla”, “non sono amabile”
- Minacce percepite: “gli altri scopriranno che sono un fallimento”, la paura di essere sminuiti, squalificati, rifiutati
- Strategie di coping: evitare le situazioni in cui si può essere valutati. Quindi, rimanere ai margini dei gruppi sociali ed evitare di attirare l’attenzione su di sé. In situazioni lavorative, tendono a evitare di assumersi nuove responsabilità o di cercare un avanzamento di ruolo perché temono di fallire e di essere attaccati dagli altri
- Emozioni principali: l’emozione principale è la disforia, una combinazione di ansia e tristezza, correlata alla difficoltà a ricavare piacere dalle relazioni
intime e senso di padronanza dai compiti svolti. Sperimentano ansia, correlata al timore di uscire anche di poco allo scoperto nelle relazioni sociali o lavorative
Il disturbo evitante di personalità si manifesta tipicamente nella prima età adulta e include i seguenti sintomi:
- Evitare di farsi coinvolgere in attività che comportano un significativo contatto interpersonale a causa della paura di essere criticati, ricevere disapprovazione o rifiuto
- Indisponibilità a interagire con gli altri a meno che non si è certi di piacere
- Mostrarsi frenati nelle relazioni sociali a causa della vergogna e della paura di essere ridicolizzati
- Preoccupazione eccessiva di essere criticati o rifiutati nelle situazioni sociali
- Inibizione nelle nuove situazioni sociali a causa del sentimento di inadeguatezza
- Tendenza a valutarsi inadeguati socialmente, inetti, poco attraenti o inferiori agli altri
- Tendenza a essere riluttanti ad assumere rischi personali o a impegnarsi in nuove attività perché potrebbe rivelarsi imbarazzante
Le cause del disturbo evitante di personalità non sono del tutto chiare, sebbene si ritenga che al suo esordio partecipino fattori di ordine genetico, psicologico (temperamento della persona) e sociale (ambiente nel quale la persona è cresciuta). Da numerose ricerche è emerso che storie di abuso fisico e psicologico, rifiuto ed emarginazione dal gruppo dei pari possano anch’esse condurre a un eccessivo desiderio di accettazione e difficoltà a ricevere eventuali critiche.
Le persone con disturbo evitante di personalità, a causa degli alti livelli di ansia sociale e della percezione d’inadeguatezza, tendono a evitare ogni situazione nella quale, secondo loro, possono essere criticati, ridicolizzati o rifiutati.
Di solito sono percepiti come molto timidi e distanzianti, rigidi o limitati e, di conseguenza, l’isolamento sociale delle persone con disturbo evitante di personalità potrebbe essere quasi totale con contatti limitati a pochi familiari. Questo tipo di disturbo compromette, infine, anche il funzionamento lavorativo sia per quanto concerne la possibilità di trovare lavoro che di avanzamento della carriera.
Il ritiro sociale, tipico del disturbo evitante di personalità, sebbene protegga nel breve tempo dall’ansia di esporsi e dal malessere generato dal percepirsi inferiori e inadeguati, nel lungo termine conduce a una esistenza priva di stimoli, triste, permeata da un senso di vuoto.
L’umore depresso o le crisi di panico sono le motivazioni che possono spingere il soggetto a richiedere un intervento psicologico. L’abbassamento del tono umorale può diventare molto serio e sfociare, addirittura, in idee suicidarie. Per affrontare il malessere legato alla depressione, a volte i pazienti evitanti possono abusare di sostanze (alcool, droghe, psicofarmaci ecc…).
Tra i trattamenti di comprovata efficacia per la cura del disturbo evitante di personalità è possibile citare la Terapia cognitivo comportamentale e la Terapia metacognitiva interpersonale
La Terapia cognitivo comportamentale
Il trattamento cognitivo comportamentale per il disturbo evitante di personalità lavora sull’analisi dei pensieri automatici disfunzionali, distorti e imprecisi, che sono alla base del disturbo. Una volta identificati e condivisi con il paziente, tali pensieri sono messi in discussione mediante confutazione e sostituiti con nuovi pensieri più funzionali, attraverso la ristrutturazione cognitiva.
Supponiamo che il paziente creda fortemente, ad esempio, di essere inferiore agli altri e che questi vorrebbero che andasse via dall’azienda presso la quale lavora. Il terapeuta mette in discussione la validità dei pensieri, chiedendogli il nome delle persone che hanno piacere a trascorrere del tempo con lui o altre esperienze in cui si è divertito con loro. In questo modo, il terapeuta dimostra che esistono persone da cui è apprezzato, con le quali si diverte e che, in generale, le sue paure e insicurezze nelle situazioni sociali sono irrazionali e infondate.
Vengono inoltre mostrati al paziente i cicli interpersonali: le credenze personali riguardo se stessi influenzano anche la percezione che gli altri hanno di noi, determinando reazioni che alla fine non fanno altro che confermare la convinzione di base. L’obiettivo è quello di indicare al paziente eventuali strategie per affrontare le situazioni temute mediante tecniche comportamentali. L’analisi dei cicli interpersonali permette anche di migliorare la relazione terapeutica stessa, fondamentale per la prosecuzione e per il successo della terapia.
Terapia metacognitiva interpersonale
Un altro approccio terapeutico per la cura del disturbo evitante di personalità è la terapia metacognitiva interpersonale che, attraverso la narrazione della propria autobiografia, tenta di sollecitare le capacità del paziente di:
- Differenziare tra immaginazione e realtà, in particolare nel considerare le rappresentazioni negative di sé con l’altro come ipotetiche e non specchio di una realtà oggettiva
- Evocare rappresentazioni alternative che il paziente possiede, ma che sono mascherate dagli stati mentali problematici dominanti
- Promuovere nuovi comportamenti in sostituzione di quelli abituali
- Formare una rappresentazione integrata di sé che tenga conto delle contraddizioni psicologiche e degli errori di ragionamento del paziente, quali il notare sistematicamente intenzioni ostili nell’altro oppure strategie del tipo “se evito, di sicuro non subisco il giudizio negativo”
- Leggere con maggiore sensibilità le intenzioni degli altri
- Distinguere i segnali di ostilità attesi da quelli effettivi e decentrare, ovvero assumere il punto di vista dell’altro non influenzato dalle proprie aspettative negative
Trattamento Farmacologico
Varie classi di psicofarmaci, come gli antidepressivi di tipo triciclico, gli inibitori delle Mono-Amino-Ossidasi, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina e gli inibitori duali di serotonina e noradrenalina, possono essere utili nel ridurre la sensibilità individuale al timore del rifiuto, della critica e ai sentimenti di imbarazzo e vergogna. Le benzodiazepine sono indicate per il trattamento di stati ansiosi o di panico, nervosismo e tensione causati dal dover far fronte a situazioni sociali solitamente evitate. I β-bloccanti si sono rilevati efficaci per gestire l’iperattività del Sistema Nervoso Autonomo (sudorazione, tremori, arrossamenti, ecc.) che si manifestano quando si affrontano situazioni temute.