- Quanto sono diffusi i disturbi alimentari?
- Come si presentano i disturbi alimentari nelle donne e negli uomini?
- Quali sono le conseguenze di un disturbo alimentare?
- I disturbi alimentari in Italia
- Principali cause dei disturbi alimentari
- Il trattamento
- La nuova frontiera del trattamento con le Neuroscienze
- L’importanza della prevenzione
E’ vero che i disturbi alimentari sono figli dei tempi moderni ma se ne trovano tracce anche nel passato: basti pensare ai patrizi romani che dopo i loro luculliani pasti solevano vomitare in modo da poter mangiare di nuovo. Il primo racconto di disturbo alimentare vero e proprio ha come protagonista la portoghese Santa Vilgeforte che, promessa al saraceno re di Sicilia, iniziò a digiunare in segno di rifiuto per le nozze imminenti. Al padre, che cercava di dissuaderla, esaltava gli aspetti positivi del digiuno come il non dover partecipare agli avvenimenti della vita mondana o l’arresto del menarca.
Secondo la definizione del DSM-5 i disturbi alimentari sono caratterizzati da comportamenti inerenti l’alimentazione che portano ad un alterato consumo o assorbimento di cibo tali da compromettere significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale. I disturbi alimentari sono caratterizzati da comportamenti specifici come:
- eccessiva preoccupazione per il proprio peso;
- eccessiva preoccupazione per la propria forma fisica;
- calo del consumo di cibo;
- diete;
- abbuffate;
- vomito;
- abuso di diuretici, lassativi o pillole per dimagrire.
I Disturbi Alimentari possono essere caratterizzati da una disregolazione emotiva e da uno scarso controllo degli impulsi. La Dialectical Behavior Therapy (DBT) è oggi riconosciuta come il trattamento psicologico gold standard per questi sintomi . Sei interessato a partecipare ad uno dei nostri gruppi DBT ? Clicca qui: Gruppi DBT a Roma oppure Gruppi DBT a Caserta.
Nonostante un certo numero di comportamenti e di caratteristiche psicologiche siano comuni, i disturbi differiscono sostanzialmente per decorso clinico, esito e trattamento. Inoltre alcuni sintomi correlati come il desiderio incontrollato e il pattern di consumo compulsivo sono tipici anche in chi fa abuso di sostanze. Questa somiglianza riflette il coinvolgimento dei medesimi circuiti neurali, fra cui quelli della regolazione dell’autocontrollo e della ricompensa.
É bene sottolineare che l’obesità non è stata inserita nel manuale diagnostico dell’APA tra i disturbi alimentari. L’obesità, infatti, è il risultato dell’introito di calorie continuato nel tempo ed eccessivo rispetto al consumo abituale. Fattori genetici, fisiologici, comportamentali ed ambientali contribuiscono al suo sviluppo, pertanto l’obesità non può essere considerata una malattia mentale. Esistono però associazioni tra obesità e patologie psichiatriche come disturbo da binge eating, depressione, disturbo bipolare, schizofrenia. Inoltre gli effetti collaterali di alcuni farmaci psicotropi contribuiscono allo sviluppo dell’obesità che, a sua volta, può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di alcuni disturbi mentali come, per esempio, la depressione.
I disturbi alimentari colpiscono soprattutto la popolazione femminile con un rapporto 9:1 (Hoek et al., 2003), ma questo rapporto si affievolisce nella fase adolescenziale dove la forbice può restringersi fino a 3:1 (Kjlesas et al, 2004). L’adolescenza infatti risulta essere il periodo della vita con il rischio più alto di sviluppare un disturbo alimentare, fino al 40% di nuovi casi l’anno (Herpetz-Dahlmann et al.,2011). Inoltre la letteratura mostra anche come l’aver avuto comportamenti di disturbo alimentare in adolescenza aumenta il rischio che questi continuino per almeno 10 anni (Neumark-Sztainer,2011). Il 70 % dei ragazzi americani che frequentano le scuole medie e superiori adottano metodi di controllo per mantenere il peso non sempre idonei come il digiuno, il vomito o l’uso di farmaci anche senza alcuna prescrizione medica (Gonsalves et al., 2013). In un recente lavoro la ricercatrice norvegese Klungland-Torstveit (2015) ha studiato 2451 adolescenti tra i 15 e i 17 anni che frequentavano tre tipi di scuola superiore: licei, istituti professionali e scuole a indirizzo sportivo. I risultati della sua ricerca mostrano che il 55% degli studenti soddisfaceva i criteri per il disturbo alimentare: i campioni significativi riguardavano le ragazze e gli studenti degli istituti professionali. In particolare la ricercatrice ha trovato che:
- gli adolescenti atleti sembrano essere i meno affetti da disturbi alimentari;
- la prevalenza dei disturbi alimentari è più significativa nella popolazione femminile (64%) rispetto a quella maschile (45%). Nonostante questo dato, però, lo studio evince come la forbice tra i due generi si stia riducendo (1.4:1);
- aumenta nei maschi l’attenzione verso la propria immagine corporea;
- indipendentemente dalla presenza o meno dei disturbi alimentari si denota un aumento della tendenza, in entrambi i generi, all’uso ripetuto di diete anche particolarmente restrittive.
Oltre questo studio norvegese anche altri studi su popolazioni di adolescenti arabi (Musaiger et al.,2013), messicani (Palma-Coca et al.,2011) e iraniani (Jalali-Farahani et al.,2014) concordano sul fatto che il sovrappeso o l’obesità aumentano la possibilità di incorrere in un disturbo alimentare rispetto a chi è normo/sottopeso.
Neanche i bambini restano esclusi dalla trama: già all’età di 6 anni è possibile il manifestarsi di comportamenti che riguardano l’attenzione sulla propria forma fisica e il proprio aspetto. Inoltre l’utilizzo di diete è frequente in bambini dagli 8 ai 13 anni.
Quanto sono diffusi i disturbi alimentari?
Si pensa che disturbi alimentari in forma leggera siano estremamente comuni, specialmente tra le adolescenti e le giovani di età compresa tra i 14 e i 30 anni. La bulimia nervosa colpisce circa il 4.5% delle giovani donne, mentre l’anoressia è più rara (1%). Il 2-3% della popolazione soffre di binge eating. Per quanto riguarda l’obesità, si calcola che negli USA una percentuale tra il 40 e il 50% della popolazione ne è affetta e in Europa il fenomeno sta subendo una rapida crescita (si calcolano già diverse decine di punti percentuali). L’8% degli obesi, inoltre, soffre di binge eating.
L’età più a rischio per l’insorgenza di un disturbo alimentare è tra i 15 e i 25 anni. Esistono anche casi di esordio in età infantile (quasi sempre casi di anoressia nervosa o di disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo). La complicanza medica più grave in età evolutiva riguarda la mancata o rallentata crescita ossea (che ha il suo picco massimo proprio in adolescenza) che in età adulta può portare a nanismo. Nei casi ad esordio tardivo, dopo i 40 anni (spesso dopo la menopausa o dopo diete intraprese per contrastare l’aumento di peso) è invece più frequente la bulimia nervosa, anche se sono stati descritti casi di anoressia nervosa in età avanzata.
Come si presentano i disturbi alimentari nelle donne e negli uomini?
Le donne
Il sesso femminile è quello maggiormente colpito dai disturbi alimentari, si stima che la frequenza nei maschi sia dalle 10 alle 20 volte inferiore. Negli ultimi trenta anni, si è assistito ad un aumento di interesse nei confronti del corpo femminile e dell’immagine “ideale” a cui si dovrebbe aspirare secondo i canoni dettati dalla moda, dai mass media, dalle riviste, da internet:
MAGREZZA = BELLEZZA = PROMESSA DI FELICITÀ
La donna di oggi deve essere ambiziosa, di successo, bella e assomigliare il più possibile alle modelle che sfilano in passerella. Oltre agli aspetti sociali e culturali che possono in parte dare una spiegazione della maggiore prevalenza dei disturbi alimentari nelle donne, non vanno tralasciati gli aspetti biologici. Uno di questi sembra legato al ruolo degli ormoni sessuali nella regolazione della serotonina (un neurotrasmettitore implicato nella regolazione dell’ansia, del tono dell’umore, dell’impulsività e delle sensazioni di fame e sazietà). Alcuni studi hanno rilevato che la riduzione della produzione di serotonina in seguito ad una restrizione calorica è molto più frequente nel sesso femminile, confermando quindi la presenza di un possibile ruolo degli ormoni sessuali femminili o di una differenza legata al genere.
Gli uomini
È stato rilevato che comunque, negli ultimi anni i disturbi alimentari si stanno diffondendo anche tra la popolazione maschile. Si calcola, infatti, che tra i casi di anoressia nervosa una percentuale tra il 10 e il 20% (5-10) riguardi soggetti di sesso maschile e tra quelli di bulimia nervosa, invece, la percentuale è compresa tra il 10 e il 15%. L’incidenza maschile del binge eating, invece, è pari a quella femminile. È stato inoltre stabilito che l’orientamento sessuale costituisce un fattore di rischio. In una recente ricerca sui disturbi alimentari in un campione di uomini adulti (40-81 anni), le studiose Reas e Stedal (2015) hanno trovato dei dati molto interessanti:
- alta comorbidità con malattie psichiatriche (in ordine di frequenza: depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e abuso di sostanze);
- alta comorbidità con altre patologie mediche tra cui malattie gastrointestinali, squilibri elettrolitici (sodio, potassio), disturbi polmonari o cardiovascolari, alterazione endocrinologiche, mancanza di minerali nell’apparato scheletrico, cambiamenti neurologici o dermatologici (pelle secca o perdita di capelli). In particolare si è visto come i soggetti che soffrono di anoressia nervosa siano più predisposti all’osteoporosi, a fratture e a dolori lombari;
- caratteristiche cliniche: diete restrittive, digiuno, rituali legati al cibo, preoccupazione eccessiva per la propria forma fisica o per il proprio peso, eccessivo controllo nell’assunzione delle calorie, abbuffate (binge eating) con conseguenti condotte compensatorie come eccessivo esercizio fisico, o vomito auto-indotto;
- fattori di rischio:
- alta correlazione tra obesità prodromica/anoressia in età giovanile e disturbi alimentari in età adulta. In particolare l’obesità prodromica risulta essere significativamente più presente nei maschi che nelle femmine;
- divorzio, morte del coniuge o difficoltà nella coppia;
- difficoltà economiche;
- traslochi;
- patologie mediche gravi come tumori o interventi chirurgici.
Uno studio australiano (Mitchison et al., 2014) ha poi messo in evidenza come negli ultimi anni, tra gli uomini siano aumentati i comportamenti di purgazione e le abbuffate (binge eating).
Quali sono le conseguenze di un disturbo alimentare?
È stato riscontrato che molte persone che soffrono di disturbi alimentari hanno un tono dell’umore basso o depresso. Inoltre, molte soffrono di ansia che spesso è associata al cibo, all’alimentazione, a preoccupazioni riguardo al peso e all’immagine corporea. Spesso i pensieri su questi temi polarizzano l’attenzione dei soggetti e non lasciano spazio ad altri quali, ad esempio, problemi nelle relazioni o bassa autostima. Alcuni studi indicano che un soggetto anoressico su 5 morirà a causa dei problemi sopracitati, per inedia o suicidio. Il digiuno, le abbuffate, il vomito auto-indotto, l’uso e l’abuso di lassativi possono condurre a:
- malattie del sangue;
- malattie dell’apparato gastrointestinale;
- problemi nell’equilibrio elettrolitico;
- malattie renali;
- malattie dell’apparato cardiovascolare.
Un recente studio di Jenkins e collaboratori (2015) ha sottolineato come la gravità dei sintomi legati ai disturbi alimentari (scarsa salute fisica, limitazione nello svolgimento delle attività quotidiane, stressor psicosociali) possa ledere anche in modo significativo la qualità di vita di chi soffre di disturbi alimentari. In particolare i ricercatori inglesi hanno sottolineato l’importanza del ruolo giocato dalle modalità di coping e dal supporto sociale. In particolare è emerso come il sostegno dei familiari e il coping centrato sul problema siano dei mediatori molto importanti nel migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da disturbo alimentare.
I disturbi alimentari in Italia
Dati estrapolati dal sito www.disturbialimentarionline.gov.it:
” […] Gli studi condotti in Italia sono relativamente pochi e per la maggior parte limitati a realtà regionali. Uno studio di Favaro e collaboratori fornisce uno spaccato della diffusione dei disturbi alimentari nel Nord-Est Italiano con dati epidemiologici concordanti con la letteratura internazionale e probabilmente estendibili alla realtà della maggior parte del nostro paese. Lo studio, condotto su un campione di 934 ragazze di età compresa tra i 18 e i 25 anni residenti in due aree contigue della provincia di Padova, stimava per l’anoressia nervosa una prevalenza puntuale dello 0.3% ed una prevalenza nell’arco di vita del 2.0%. La prevalenza puntuale della bulimia nervosa era dell’ 1.8% mentre quella nell’arco di vita del 4.6%. Le forme di anoressia sottosoglia registravano una prevalenza puntuale dello 0.7% e una prevalenza life-time del 2.6% mentre le forme atipiche di bulimia raggiungevano una prevalenza puntuale del 2.4% e una prevalenza nell’arco di vita del 3.1%. La prevalenza di tutti i disturbi alimentari nel campione era infine pari al 5.3%.”
Principali cause dei disturbi alimentari
Fattori fisici:
- ereditarietà;
- precedenti diete dimagranti;
Fattori psicologici:
- rapporti familiari problematici;
- traumi infantili;
- violenza sessuale;
- trasformazione dell’anoressia nervosa preesistente;
- tendenza al perfezionismo unita al senso di inefficacia;
- bassa stima di sé;
- depressione;
- stile passivo di comportamento;
- preoccupazioni relative al peso e alla linea.
Fattori sociali:
- influenze della moda attraverso i media;
- enfatizzazione della magrezza come attributo della bellezza, del successo e della felicità;
- derisione per il proprio aspetto fisico nell’infanzia e nell’adolescenza.
Il trattamento
Linee guida estrapolate dal Rapporto ISTISAN, Ottobre 2012 (www.salute.gov.it):
“[…] Il percorso diagnostico-terapeutico-riabilitativo dei pazienti con disturbi alimentari deve sempre includere sia gli aspetti psicologici e psicopatologici, sia quelli clinico-nutrizionali, metabolici e fisici, sia quelli socioambientali, sebbene in misura diversa a seconda dello specifico disturbo alimentare dal quale il paziente è affetto, del differente decorso, della gravità e complessità del quadro clinico e delle varie fasi del percorso. Deve essere basato sulle migliori evidenze disponibili, che allo stato attuale sono quelle dettagliate nel documento di consenso. Il percorso deve inoltre garantire:
- il coinvolgimento attivo degli utenti e/o dei familiari;
- la gestione specifica per età e per disturbo, sia dal punto di vista psicoterapeutico, psichiatrico o neuropsichiatrico infantile che internistico, pediatrico e nutrizionale;
- la presenza di personale con formazione ed esperienza specifica sui disturbi alimentari;
- il trattamento delle eventuali comorbilità e delle conseguenze generali del disturbo, in raccordo con personale formato sui disturbi alimentari.
Le figure professionali coinvolte devono essere, a seconda dell’età del soggetto, il medico di base o il pediatra di famiglia; psichiatri o neuropsichiatri infantili; psicologi, psicoterapeuti, nutrizionisti clinici, internisti o pediatri, dietisti; possono essere variamente rappresentati in fasi specifiche del percorso altri specialisti (endocrinologo, gastroenterologo, ginecologo ecc.), riabilitatori, infermieri, educatori, operatori sociali, ecc..
[…] La valutazione diagnostica delle persone con disturbi alimentari deve comprendere:
- l’esame delle condizioni di salute fisica e nutrizionale;
- l’esame dei bisogni psicologici, comportamentali, familiari e sociali.
[…] Il percorso diagnostico richiede inoltre un accurato esame obiettivo volto a evidenziare o escludere condizioni patologiche associate e/o complicanze, e una approfondita valutazione dello stato nutrizionale. Le persone con disturbi alimentari devono essere valutate e ricevere un trattamento appena possibile, prima di raggiungere condizioni fisiche preoccupanti; il monitoraggio ravvicinato e il trattamento di pazienti gravemente sottopeso o nei quali si evidenzia una diminuzione rapida del peso deve essere una priorità.
[…] L’intervento psicoterapeutico deve essere accompagnato da una regolare valutazione delle condizioni fisiche che includa la misurazione del peso corporeo e di specifici parametri in grado di segnalare un eventuale aumento del rischio per la salute fisica. La riabilitazione nutrizionale è indicata a tutti i livelli di trattamento per il recupero ponderale, la ristrutturazione dei pattern alimentari, il raggiungimento di una percezione normale delle sensazioni di fame e sazietà e la correzione di tutte le conseguenze biologiche e psichiche della malnutrizione. È importante che i programmi di rialimentazione siano applicati in contesti non giudicanti e che garantiscano un supporto emotivo adeguato al paziente.
[…] Il trattamento psicofarmacologico può invece certamente essere utile nell’appropriato trattamento delle condizioni di comorbilità psichiatrica, benché alcuni farmaci debbano essere utilizzati con cautela, in considerazione della vulnerabilità fisica di molti pazienti (…). L’impressione clinica suggerisce che possono essere utili nei pazienti che presentano resistenza al recupero ponderale, pensiero ossessivo o negazione della malattia. I farmaci non devono essere utilizzati come trattamento esclusivo per i disturbi alimentari.”
È stato dimostrato che la Terapia Cognitivo Comportamentale è molto indicata per i disturbi alimentari. Essa prevede l’uso di diari che consentono di monitorare l’assunzione di cibo, i comportamenti compensatori, un lavoro sulle emozioni e sui pensieri connessi al cibo, all’aspetto fisico, al peso. I pazienti imparano ad alimentarsi in modo corretto e a discutere i pensieri disfunzionali che producono emozioni spiacevoli e che perpetuano comportamenti di assunzione incontrollata di cibo, digiuno, vomito, esagerazione nell’esercizio fisico, ecc. Il trattamento di alcuni casi di bulimia nervosa può richiedere una terapia di 4-6 mesi, mentre per i casi di anoressia nervosa potrebbero essere necessari 1-2 anni. Per coloro che hanno un disturbo lieve, il ricorso ad un dietologo può essere sufficiente.
La nuova frontiera del trattamento con le Neuroscienze
Da qualche anno la letteratura scientifica ha evidenziato quali siano i substrati neuroanatomici legati ai disturbi alimentari:
- riduzione del volume della materia grigia in regioni coinvolte nella ricompensa, nel controllo degli impulsi e nella regolazione delle emozioni (Titova et al., 2013);
- anomalie nei networks che coinvolgono la corteccia cingolata anteriore (ACC) e l’ insula (Amianto et al.,2013);
- un’anormale attivazione in risposta a stimoli avversivi o di ricompensa (Wagner et al., 2010).
Lo studio di Dunlop e dei suoi collaboratori (2015) si è concentrato in particolare su una zona del cervello che prende il nome di corteccia prefrontale dorsomediale (dmPFC). Quest’area gioca un ruolo molto importante negli aspetti di self-control, inibizione dei movimenti, soppressione della risposta emotiva, controllo degli impulsi, “loss-chasing” presente anche nel gioco d’azzardo patologico. I ricercatori hanno dimostrato come un intervento non invasivo tramite stimolazione magnetica transcranica (rTMS) su quest’area migliorava l’azione di controllo top-down sulle regioni striatali associate ai comportamenti di disregolazione del controllo alimentare (abbuffate/purgazione). Il risultato finale è stato un significativo miglioramento delle connessioni all’interno del network neurale preso in considerazione e una diminuzione dei comportamenti disfunzionali presi in esame.
Altri studi sono attualmente in corso per dimostrare l’efficacia di interventi di questo tipo.
L’importanza della prevenzione
Gli interventi di prevenzione si dividono in primari (prima dell’insorgenza della malattia), secondari (alle prime avvisaglie dei sintomi) e terziari (a disturbo conclamato e quindi coincidono con il trattamento vero e proprio).